Vaso di Pandora

“…Perché eravate in casa”

Perché eravate in casa”. È questa l’agghiacciate risposta alla domanda: “Perché ci fate questo?” che una delle figure mascherate da alla terrorizzata famiglia protagonista del film “The Strangers” diretto da Bryan Bertino. L’interrogativo, semplice quanto fondamentale, che le povere vittime atterrite avevano rivolto ai loro aguzzini è quella che immancabilmente ci poniamo ogni volta che assistiamo a un crimine efferato tramite i mass media. E poco importa che esso non ci riguardi direttamente, e che fortunatamente non si sia nelle condizioni degli sventurati protagonisti del film appena citato, presi di mira e assediati in casa loro da un gruppo di sconosciuti armati il cui unico scopo è massacrarli tutti. Certi accadimenti, per la loro brutalità e il loro apparente non senso, non possono lasciare indifferenti.

Proprio in questi giorni, l’ennesimo episodio di “ordinaria follia” nel quale un ragazzo senza fissa dimora ha aggredito apparentemente senza motivo una giovane donna alla stazione di Roma infliggendole diverse coltellate e riducendola in fin di vita, ci fa riflettere su quanto non solo sia precaria l’esistenza umana, ma anche quanto nell’Altro ci sia uno Sconosciuto, spesso indecifrabile e non sempre animato da buone intenzioni. Oggi stesso, una persona che lotta coraggiosamente in psicoterapia con i suoi demoni mi ha detto: “Il punto è che non tutte le persone sono buone, ed è fondamentale capirlo per proteggersi”. Non potrei essere più d’accordo, ma allora dobbiamo presupporre che vi sia un qualche tipo di Male intrinsecamente annidato nell’animo umano con il quale inevitabilmente fare i conti? Che ne è quindi della privatio boni, ovvero di quella affermazione di Sant’Agostino secondo la quale il Male in realtà altro non è che l’assenza del Bene, poiché la natura del creato e di Dio è pura bontà?

Sebbene possa essere confortante pensarla in questo modo, la quotidianità ci obbliga a rivedere questo paradigma. Sono troppi gli omicidi e gli episodi di crudeltà gratuita a cui assistiamo per non convincerci del fatto che dentro ogni essere umano alberghi contemporaneamente una parte buona e una malvagia. Jung era fermamente convinto dell’esistenza di un Male “archetipico”, ovvero facente parte della nostra natura umana, a prescindere dalle esperienze individuali. Come egli amava ricordare, nessuno può sottrarsi alla nera Ombra collettiva dell’Umanità, e tentare di evitare questa consapevolezza è paradossalmente più rischioso per la psiche del confronto diretto con l’Avversario dentro di noi.

Molto spesso tuttavia, nel tentativo di negare l’esistenza di questa componente umana, si è preferito proiettare sull’Altro i nostri nuclei oscuri: ed ecco che un accoltellatore come quello citato prima diventa preda di un non ben definito “raptus di follia”, che la persona con psicosi diventi un “matto da legare” con conseguente ricovero in un manicomio ed allontanamento dai “sani” o che si vada alla frenetica ricerca di un passato traumatico per spiegare le azioni di un mass murderer esecutore di una delle purtroppo tante terribili stragi nelle scuole d’oltreoceano.

Intendiamoci, non che non vi possano essere delle cause scatenanti, o delle fragilità o persino degli episodi che possano portare a un punto di non ritorno dove al pari del protagonista di “Un giorno di ordinaria follia” anche un ingorgo in pieno centro può trasformarsi in una occasione per lasciare la valigetta del lavoro e imbracciare un mitra. Tuttavia accanto al doveroso aiuto e alla necessaria prevenzione verso chi commette tali crimini deve affiancarsi una profonda e dolorosa comprensione: ciò che vediamo è in un certo qual senso presente in ognuno di noi.

Chi si è preso la briga di leggere Freud potrà infatti trovare nei racconti e nei sogni dei pazienti riportati dal padre della psicoanalisi gli stessi semi del Male presenti in coloro che scelgono di storicizzarli, compiendo violenze e reati. L’Uomo dei Topi ad esempio era tormentato dal segreto desiderio di sottoporre il padre defunto a una indicibile tortura nell’aldilà, così come il piccolo Hans, un bimbo di 5 anni, dietro alla sua fobia dei cavalli covava inconsciamente l’ardente desiderio di castrare il padre per ottenere il fallo più lungo della famiglia.

Tentare in questo scritto una ipotesi sull’origine di questa componente “malvagia” temo sia impossibile, da millenni la filosofia, la teologia e la psicoanalisi si sono interrogate su questo tema, fornendo risposte spesso contrastanti ma comunque feconde. A me piace pensare che il nostro povero ma coraggioso Io sia sempre alla presa con queste due potenti forze. Come diceva con un pizzico di ironia Jung: “Dato che dal male può scaturire il bene e dal bene il male, noi non sappiamo se in ultima analisi la creazione sia un bene o un deplorevole errore e Dio ne soffra. È un ineffabile mistero. In ogni caso non rendiamo giustizia né alla natura in generale né alla nostra stessa natura umana quando neghiamo l’immensità del male e della sofferenza e distogliamo lo sguardo dall’aspetto crudele della creazione. Bisognerebbe riconoscere il male come tale e non ascriverlo alla natura peccaminosa dell’uomo. Non si offende Dio se lo si teme”(2016 pag.422).

Timore, non paura, ecco la parola chiave: il timore ci ricorda dell’esistenza di qualcosa e della necessità di mettersi in guardia e di vigilare contro di essa. È proprio essendo consapevoli del male in noi che si evita la sua comparsa nella storia. Ricordo un aneddoto nel quale un giudice, dopo aver condannato a morte un delinquente, mentre osservava i soldati condurlo al patibolo per l’esecuzione, confessò amaramente al pubblico ministero: “Povero diavolo: in circostanze diverse, se la mia vita fosse andata diversamente, potevo esserci io al suo posto”. Pensare che essere dalla parte “virtuosa” della barricata ci esenti dall’influenza del male è pura utopia, e solo sapendo che anche in noi ci può essere l’accoltellatore, il terrorista o il “pazzo furioso” può renderci in qualche modo capaci di integrare questi “personaggi in cerca d’autore” per evitare che rubino completamente la scena, con le tragiche conseguenze che ne derivano. E magari, alla fine, sempre per citare Jung: “Se poi tutto finisce bene, non è neanche male”.

Note Bibliografiche
1

Agostino d’Ippona Le confessioni. Palermo : Augustinus, 1984.

2

Freud, Sigmund Casi clinici Torino : Bollati Boringhieri, stampa 2002.

3

Jung, Carl Gustav Risposta a Giobbe : 1952 Torino : Bollati Boringhieri, 2019.

4

Jung, Carl Gustav: Jung e la fede in La vita simbolica Torino : Bollati Boringhieri, stampa 2016 Fa parte di: Opere 18 pag.422.

5

Jung, Carl Gustav Lettere; a cura di Aniela Jaffe ; in collaborazione con Gerhard Adler Roma : Magi, 2006.

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Commenti su "“…Perché eravate in casa”"

  1. Per caso ho rivisto oggi “Quo vadis, Aida?” di Jasmila Zbanic che descrive crudamente la distruttività umana e l’inevitabile cattiveria collettiva che si esprime con la strage di Srebrenica.
    In questo caso, non spiegabile dal raptus o dal giorno di ordinaria follia, ma dalla cattiveria che alberga in ciascun essere umano e che viene utilizzata nelle guerre per l’interesse di qualcuno.
    Sì, sono d’accordo in questo caso con Jung.
    Rimane il dato di realtà, però, che vale per i femminicidi, come per la guerra russo ucraina: chi è l’aggressore e chi l’aggredito, o ancora più interessante, chi inizia l’aggressione.

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  2. si, credo che avere chiaro che essere da una parte o dall’altra del tavolo sia una questione di dettagli ci aiuta molto, non solo con i nostri pazienti, ma anche nel cercare di fare i conti con ciò che ci viene così comodo incasellare nella scatola del Male e di fronte a cui, come diceva Gaber, non resta che lo sgomento

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  3. Convivere con la percezione di quanto possiamo essere malvagi cattivi vendicativi e distruttivi non è un male… aiuta a capirci e a capire..

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  4. Il male è assordante è terribilmente destabilizzante, il bene è silenzioso, discreto quasi ovvio! Si dovrebbe parlare più del bene, urlarlo, ripeterlo, amplificarlo e forse il male diminuirebbe?

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