Vaso di Pandora

Oltre il posto letto: riabilitare la residenzialità. Perché serve una revisione del codice penale

Lavoro presentato al XV Congresso SIEP “Oltre il posto letto: Riabilitare la residenzialità”, Bologna 23-25 novembre 2023 – Sessione “Residenzialità e autori di reato” –

Abstract

A partire dalla legge 81/2014 che ha portato alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) viene fatto il punto sullo stato della sua attuazione, sui principali problemi aperti e sulle possibili linee di sviluppo.

La riforma va completata con una revisione del codice penale. Vi sono proposte di limitazione della non imputabilità ai soli disturbi psicotici (Progetto di Legge n 950/2023, Antoniozzi) e più radicali (Progetto di legge n. 1.119/2023 Magi) che supera il “doppio binario” abolendo (artt. 88 e 89) la non imputabilità, la pericolosità sociale e le misure di sicurezza. Una linea che tende ad assicurare a tutte le persone il diritto ad essere giudicate e al contempo il diritto alla salute a prescindere dalla condizione giuridica. Una posizione che riconosce la responsabilità come terapeutica e attribuisce con chiarezza i compiti alle diverse istituzioni.

Altri interventi legislativi potrebbero essere molto utili: l’abolizione delle misure di sicurezza provvisorie, la possibilità di misure alternative alle misure di sicurezza detentive, la revisione della legge sulle droghe, lo sviluppo di misure alternative alla detenzione. Sul piano operativo è essenziale il dialogo interistituzionale ed una visione unitaria del sistema comprendente anche Istituti di Pena e Articolazioni Tutela Salute Mentale, al fine di costruire un sistema di cura e giudiziario di comunità tenendo conto che nel territorio si trova la maggior parte dei pazienti autori di reato (stimati in circa 6000). I Dipartimenti di Salute Mentale stanno sviluppando una loro organizzazione per fare fronte ai problemi giudiziari (Unità di Psichiatria Forense) e in diverse realtà si stanno sperimentando diverse tipologie di strutture residenziali: REMS di accoglienza e trattamento, REMS diagnostica e riabilitativa, ad alta, media e bassa sicurezza, residenze per la profilazione, REMS-non REMS e post REMS ed al.

La costante collaborazione intersitituzionale dialogica con protocolli e formazione congiunta permette di costruire un sistema sicuro ed efficace anche per affrontare le nuove richieste (Codice Rosso, femminicidi e conflittualità di genere, baby gang ed al.) e dare attuazione alla giustizia riparativa. Per questo è necessario superare la posizione di garanzia dello psichiatra in favore del “privilegio terapeutico”.  (Parole chiave: Autori di reato, Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), legge 81/2014, imputabilità)

Introduzione

La legge 180 “fu definita dal grande filosofo e senatore a vita Norberto Bobbio la sola vera riforma dell’intero dopo guerra, se per riforma si fosse voluto intendere un profondo e totale cambiamento di ordinamento”.[1]

Ciò pone la questione del Patto Sociale al fine di dare realizzazione alla Costituzione che tende a costruire una società inclusiva, solidale nella quale la salute è diritto fondamentale e interesse della collettività (art 32) e la pena ha una funzione di rieducazione e reinclusione sociale (art.27). Negli anni si è sviluppata una concezione sociale individualista, competitiva, escludente e abbandonica nella quale la salute non è un diritto ma un bene a domanda individuale che sottostà alle leggi del mercato il quale deve essere tutelato dal crimine. Nel nostro Paese, da anni il welfare pubblico universale convive con uno a domanda individuale e a produzione privata ed ora il sistema è arrivato ad un punto di torsione critico.

In questo quadro l’applicazione della legge 81 è avvenuta attraverso i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) che ne hanno portato il peso psicologico, la responsabilità sociale e professionale.

A fronte di un risultato storico e per nulla scontato, chiudere gli OPG, la psichiatria italiana, si sente in crisi, provata e sovraccarica.

La chiusura degli OPG è avvenuta mediante la presa in carico da parte dei DSM e un crescente impegno della rete residenziale ma sostanzialmente senza risorse aggiuntive.[2] Questo sta creando disagi, il rischio di omissioni e di abbandono da un lato e l’utilizzo altamente inappropriato dei SPDC per ragioni giudiziarie dall’altro. Alla luce della lista di attesa e delle detenzioni “sine titulo”, condannate anche dalla CEDU, vi è una richiesta di più posti REMS anche superando il numero chiuso e la regionalizzazione. Una linea che richiede ulteriori investimenti[3] ma aumentare i posti REMS senza potenziare il territorio che deve svolgere prevenzione e trattamento, senza lavorare su appropriatezza e turnover, non risolve certo il problema.

Sul piano tecnico e organizzativo la chiusura degli OP e OPG è avvenuta tramite due riferimenti: il Settore francese e la Comunità Terapeutica inglese. Un impianto che si deve confrontare con la persistenza di alcune questioni:

a) il nodo ospedaliero della psichiatria come ambito ad alta intensità di cure ma anche di contenimento e coercizione che vede da un lato la lentissima evoluzione degli SPDC verso modelli “no-restraint” e dall’altro la crescita di una cultura restraint tecnicamente fondata, una limitazione della libertà orientata alla cura che si presta ad essere fraintesa ed utilizzata dall’ambito giudiziario;

b) il ruolo delle Comunità Terapeutiche come contesti assistenziali, di vita, magari con scarsa propensione alla riabilitazione ma protettivi, capaci di prendersi cura e per questo “gradite” alternative al carcere e alle REMS;

c) una limitata definizione dell’intensità di cura territoriale e su come rendere la casa della persona il primo luogo di cura e di vita evitando isolamento, solitudine/abbandono. Non è un caso che non si abbiano dati sui pazienti forensi in cura ai CSM; 

d) la crisi dei diritti sociali e la riduzione degli stessi a mere opportunità, ha aumentato disagio e povertà e molto resta da fare affinché le persone con disturbi mentali possano avere una piena parità di diritti.[4]

La legge 81 ha ampliato le contraddizioni della 180: cura/sicurezza, sorveglianza sanitaria/controllo sociale, volontarietà/coercizione, funzione della pena /diritto alla salute, posizione di garanzia e sicurezza delle cure.

Occorre definire con chiarezza gli ambiti operativi di ciascuna istituzione chiamata a dare applicazione della legge 81, che purtroppo, a differenza della 180, non prevede un diretto coinvolgimento del Sindaco. Tuttavia ritengo che i limiti della 180 e della 81, la residualità del TSO e della REMS ad esempio, costituiscano i punti di forza, in quanto hanno determinato un “paradigma istituente”, creativo, e non solo trasformativo di quanto esisteva. E’ questo paradigma che va mantenuto e rilanciato.

Un successo inatteso

Infase applicativa, tra i fenomeni non previsti, a mio avviso vi è da segnalare come la legge 81 abbia segnato una linea possibile per una diversa esecuzione penale.  Ciò che è un problema (lista di attesa, carico di lavoro, ed al.) è anche frutto di un successo, di un’attrattività derivante dalla caduta dello stigma dell’OPG sostituito da un sistema di welfare di comunità in grado, pur con tutte le difficoltà, di prendersi cura, di offrire accoglienza (migliore di quella degli istituti di pena), percorsi di cura e di inclusione sociale.

Questo ha aperto interrogativi sulle finalità delle misure di sicurezza, della pena, dei provvedimenti giudiziari. Essi possono rappresentare un momento nel quale la persona è costretta ad un esame di realtà in quanto deve in un qualche modo fare i conti con la legge e al contempo (può) affrontare il suo stato di salute. La chiarezza del momento iniziale è fondamentale e le misure giudiziarie non debbono coincidere con i percorsi di diagnosi e cura.  La definizione del reato nella sua concreta configurazione aiuta l’esame di realtà mentre il disturbo mentale è spesso disconosciuto dalla persona ed è di difficile e complessa rilevazione.

L’esperienza dimostra come le misure giudiziarie debbano avere vita propria nel rispetto del diritto alla salute nonché dei limiti della psichiatria che non ha la possibilità tecnico scientifica di operare previsione, prevenzione e controllo dei comportamenti delle altre persone.

Si è determinato un nuovo quadro di riferimento che può risultare fecondo nella misura in cui a partire dalle pratiche reali, caso per caso, si tiene aperto il dialogo alla ricerca di punti di incontro tra operatori della giustizia e della psichiatria, utenti, familiari, garanti, società civile, comuni, prefetture e il contesto sociale.

Uno dei punti critici che accomuna l’applicazione delle leggi 180 e 81 è la delega al solo sistema psichiatrico di tutti i bisogni, cura, gestione della violenza dei pazienti con disturbi psichici. Una delega che associata a carenti collaborazioni interistituzionali viene a creare situazioni pericolose per gli operatori e gli stessi utenti.

Invece in uno scenario “dialogico” possono/devono essere letti i fenomeni per trovare insieme soluzioni e risorse, documentando processi ed esiti evitando al contempo facili e fallaci automatismi (come liste di attesa più posti REMS) anche nella risposta ai rilievi della sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale.

Il valore e l’efficacia del dialogo intersitituzionale è testimoniato dal fatto che laddove viene praticato, anche tramite protocolli, incontri la situazione applicativa della legge 81 è nel complesso buona, la lista di attesa è contenuta o quasi assente.  

Tralascio la questione dell’attendibilità dei dati visto che solo per la lista di attesa sono piuttosto distanti quelli forniti dal sistema delle Regioni (SMOP) e rispetto a quelli forniti dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) e della mancanza di dati nazionali sulla libertà vigilata.

L’elaborazione dei dati 2021 rilevava come in sei Regioni – Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Lombardia e Toscana– si concentrava il 72,8% della lista di attesa nazionale pur una dotazione di posti REMS superiore alla media nazionale. Solo poco più della metà dei posti REMS sono destinati a persone con misure di sicurezza definitive mentre il 41% a misure provvisorie e ai sensi dell’art. 219 c.p..  I detenuti sine tutulo erano 64, la gran parte con misure provvisorie. Vi è un crescente utilizzo della rete residenziale e un aumento degli affidamenti di pazienti ai Centri di Salute Mentale con un mandato confusivo di cura e (un impossibile) controllo. Questi dati richiederebbero un lavoro regionale e una verifica dell’appropriatezza dei percorsi giudiziari e individuare le soluzioni possibili.[5]

La “rivoluzione gentile” della chiusura degli OPG richiede di essere rilanciata con interventi a diversi livelli evitando un cambiamento regressivo che riporti al centro la pericolosità dell’altro come dato ontologico del paziente psichiatrico e mediante una visione tecnicistica e confronti internazionali non tenga conto della peculiarità della psichiatria di comunità italiana. Ancora se al dialogo e alla collaborazione interistituzionale dovesse subentrare una posizione gregaria, di una “psichiatria dell’ubbidienza giudiziaria” ciò sarebbe dannoso sia per la psichiatria sia per la giustizia che sono invece orientate a cogliere le contraddizioni e la complessità.

Interventi legislativi

Il Codice penale Rocco del 1930 fa riferimento alla legge 36 del 1904 e non è in sintonia con la legge 180 e la 81. Esso si basa sull’etica dell’intenzione e prevede che chi commette un reato e non è imputabile debba essere prosciolto e poi, a seguito della valutazione della pericolosità sociale e in caso questa sia presente, prevede l’applicazione delle misure di sicurezza. E’ il fondamento del “doppio binario” che crea un sistema per imputabili e un altro per i prosciolti.

Un impianto che verrebbe abolito dall’approvazione della proposta di legge Magi n 1.119 /2023 che prevede l’abrogazione del difetto di imputabilità per vizio totale e/o parziale di mente (artt. 88-89 c.p.), con la conseguente abolizione delle misure di sicurezza correlate. Introduce lo status di imputato con “disabilità psicosociale” e afferma il principio della responsabilità e un diritto al giudizio.

Nella fase di esecuzione, per limitare l’ingresso in carcere di una persona affetta da disabilità psicosociale propone di introdurre un’ipotesi specifica di sospensione dell’ordine di esecuzione per novanta giorni, oltre a prevedere delle misure alternative alla detenzione ad hoc.

L’intento della proposta è quello di estendere la garanzia dell’individualizzazione dell’intervento alla fase di cognizione, anche attraverso la sostituzione del concetto di persona “inferma di mente” con quello, più moderno, di persona con “disabilità psicosociale” riconducibile anche ai fattori sociali. Una legge che se approvata avrebbe un effetto anche sulla posizione di garanzia.

In parlamento vi è anche la proposta di legge Antoniozzi[6] che limita il riconoscimento della non imputabilità a “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in evidente stato di grave alterazione delle condizioni psichiche, di tipo psicotico, e del comportamento, tale da escludere totalmente la capacità d’intendere o di volere”. Un tentativo di evitare il proscioglimento delle persone con gravi disturbi della personalità, il cui numero è aumentato a seguito della sentenza 9165 della Corte di Cassazione. Due proposte che meritano approfondimenti e nella parte applicativa una visione unitaria del sistema dell’esecuzione penale.

Altri interventi, meno organici, potrebbero migliorare la situazione:

– Abolire seminfermità (art. 89): una persona dopo avere scontato una pena viene sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva;

Abolire misure di sicurezza detentive provvisorie (art 206 c.p.) che riguardano il 40% delle persone in REMS e sono causa di circa l’80% delle detenzioni sine titulo.

Rendere flessibili le misure di sicurezza detentive (come le misure detentive) dando applicazione alla legge n. 67/2014 e quindi a misure alternative. Al contempo (al pari della detenzione) rendere le misure di sicurezza detentive eseguibili negli istituti di pena specie a fronte di un’elevata pericolosità criminale.

Abolire la posizione di garanzia dello psichiatra. Depenalizzare l’atto medico.

Dare coerenza anche terminologica al c.p. (all’art 222 è rimasto il ricovero in OPG quando questo è chiuso).

Adeguare i finanziamenti per il welfare, ed in particolare la salute mentale (il 5% della spesa sanitaria, abolire il tetto per il personale).

Rendere esigibili i diritti.

Ridurre la popolazione ristretta in carcere cambiando le leggi sulle droghe (in Italia il 34% dei detenuti è in carcere per droga contro il 18% della media europea, e il 22% a livello mondiale) e istituire le Case di Reinserimento Sociale nell’ambito di interventi territoriali strutturati.

Favorire ex lege le sperimentazioni di risposte detentive e trattamentali per sex offender, psicopatia ed al.

Strutturare un sistema di cura e giudiziario di comunità sulla base della positiva esperienza del diritto penale minorile.

Nel territorio si trova la maggior parte delle persone con misure giudiziarie (stimate in circa 6 mila), per lo più in libertà vigilata, senza che siano stati adeguatamente definiti strumenti, metodi, percorsi, competenze e responsabilità consolidando le collaborazioni interistituzionali tra giustizia, sicurezza, sanità.

Interventi amministrativi e organizzativi

In questi anni di applicazione della 81, vi sono stati pronunciamenti del Consiglio Superiore della Magistratura e del Comitato nazionale per la Bioetica, la stipula di protocolli regionali tra magistratura e psichiatria. Questo ha consentito conoscenze reciproche, la maturazione delle prassi innovative, la composizione di divergenze e lo sviluppo di linee comuni di fronte a difficoltà operative.

Coordinarsi e concertare i tempi può rendere residuali le misure di sicurezza detentive provvisorie in particolare quando applicate a persone ristrette in carcere, che diventano repentinamente “sine titulo”. E’ utile per gestire la lista di attesa, trovare alternative alle REMS per persone con le misure ex art. 219 c.p., migliorare il turnover nelle REMS, affrontare i problemi degli stranieri e dei senza fissa dimora (10% degli ospiti delle REMS).  Dare senso e un termine alla libertà vigilata ora prorogabile sine die.

Gran parte di questi argomenti sono presenti nell’Accordo Stato Regioni del 30 novembre 2022 che prevede anche l’attuazione del “Punto Unico Regionale” che ha l’obiettivo di supportare l’Autorità giudiziaria, di fungere da raccordo con i DSM e di promuovere Protocolli locali.

In questi 8 anni e mezzo sono emerse declinazioni delle misure di sicurezza, non previste dal Codice: libertà vigilata “terapeutica”, libertà vigilata “con obbligo di permanenza in Residenze”, misure di sicurezza a spiccato contenuto terapeutico, pericolosità sociale “psichiatrica”, misure di sicurezza psichiatriche.

Per quanto attiene i DSM sono nate “Unità di Psichiatria Forense“ e vi è stato un utilizzo crescente delle strutture residenziali per pazienti forensi nonostante il numero dei posti complessivo nel periodo 2016-21 sia diminuito di 3.780 unità passando da 31.593 a 27.813 posti, saliti a 28.738 nel 2022. Il costo della rete residenziale è di 1.449.199 Euro pari al 43,9% dell’intero finanziamento della salute mentale[7], che nel periodo dal 2016 al 21 è stato ridotto del 10,7%.[8]

Nella rete Residenziale è ospitato circa il 70% dei pazienti psichiatrici autori di reato i quali hanno caratteristiche in larga parte sovrapponibili a quelle degli altri ospiti. Servirebbero dati epidemiologici e una mappa nazionale e regionale delle strutture e i loro requisiti di qualità. Mancano anche dati sulle violazioni e recidive nei reati.  Per migliorare la sicurezza risulta essenziale il governo clinico e la collaborazione interistituzionale con Forze dell’Ordine e Magistratura, Giustizia. Regolamenti e Carte dei Servizi sono strumenti che andrebbero diffusi e valorizzati, anche il relazione alla sostanziale impossibilità di applicare nelle REMS ampie parti del Regolamento penitenziario.

Nella cornice delle leggi 180 e 81 il sistema residenziale e delle REMS è in movimento e si vanno delineando modelli di intervento[9]. In Campania ed Emilia Romagna vi sono esperienze di riconversione di “REMS temporanee” a strutture “non REMS” non più esclusivamente dedicate agli autori di reato ed orientate all’inclusione sociale mediante strumenti come il Budget di salute, l’IPS conservando al contempo gli strumenti maturati nell’esperienza REMS[10]. Un percorso che tende a costruire Servizi di Comunità e Prossimità per andare, faticosamente, oltre le REMS. In Sicilia vi è l’importante esperienza della Comunità Terapeutica Democratica di Caltagirone.[11]

In Veneto è stata attivata la Comunità Terapeutica Riabilitativa Protetta “Casa Tezon” a Veronella (VR), un progetto sperimentale con la mission di ospitare un’utenza femminile con patologie psichiatriche e in misura di sicurezza non detentiva.  Un’attenzione all’utenza femminile (il 10% circa degli ospiti delle REMS) che vede anche una REMS dedicata con 9 posti ad Empoli in Toscana.

Vi sono tentativi di differenziare le REMS per funzioni: REMS di accoglienza e trattamento, REMS diagnostico e riabilitative, REMS ad alta, media e bassa sicurezza, REMSD (detentive con la polizia penitenziaria?) e REMS terapeutiche (solo sanitarie).

Serve una riforma organica (comprensiva di istituti di pena, ATSM e territorio) per articolare le risposte, anche detentive sperimentali (ad esempio per i sex offender, al psicopatia ecc.).

Nel 2022 in Veneto, a Ficarolo (RO) è stato aperto il “CEPAC” (Centro di Profilazione e Analisi Criminologica), una Struttura Residenziale Psichiatrica per pazienti in attesa di processo o prosciolti per vizio di mente.

Nel 2022 il governo ha autorizzato la creazione di una REMS “nazionale” a Calice al Cornoviglio (La Spezia) superando il principio di territorialità e orientata ad accogliere autori di gravi reati. Una logica che richiede una riflessione specie per le possibilità dei DSM di creare continuità di cura e riaccogliere le persone nel territorio, magari dopo una lunga assenza.

Il processo evolutivo dovrebbe portare al superamento della prassi per la quale i ricoveri e le dimissioni dalla REMS ma anche da Residenze sono decise dal magistrato e non dal medico. In sostanza ciascuna istituzione deve sviluppare con la persona un patto, possibilmente coordinato ma dotato di una propria autonomia e logica e prevedere un obbligo di presa in carico sociale (art.47 ordinamento penitenziario). In questo approccio può essere visto anche un rinnovato ruolo del DAP.

Nodi critici per le prassi

a) Perché mantenere un modo di interpretare il fatto-reato alla luce dello stato mentale della persona, con particolare riferimento alle capacità d’intendere e volere? Una volta stabilita la non imputabilità, il fatto reato viene a perdere rilevanza e in primo piano viene la pericolosità sociale e l’applicazione della misura di sicurezza. Una prassi che, in fase di cognizione ancor prima della valutazione della imputabilità, può essere attivata, sulla base del sospetto del disturbo mentale e della pericolosità sociale, applicando alla persona una misura di sicurezza provvisoria.

Il complesso lavoro valutativo della capacità d’intendere e di volere avviene mediante strumenti e metodi sui quali da anni si interroga la psichiatria forense. Si chiede ai professionisti della salute mentale di esprimersi, dopo mesi e talora anni, sullo stato mentale al momento del fatto, lasciando al giudice la costruzione dei rapporti con lo stesso, in termini di nesso causale, di fattore favorente, di mera concomitanza.

Il doppio binario si basa su un modello dicotomico “o-o” di natura categoriale, fondato su entità diagnostiche precise, tendenzialmente stabili, se non addirittura immutabili, inguaribili/incurabili.  

b) La scienza attuale si basa sulla complessità, sulla contemporanea presenza di molteplici dimensioni e fattori reciprocamente interagenti, biologici, psicologici, sociali, culturali, ambientali. La vecchia contrapposizione tra geni e ambiente, oggi vede nella relazione tra genetica ed epigenetica un solido riferimento per una visione unitaria.  La psichiatria ha diversi livelli di intensità di cura orientati alla recovery.

Ne deriva un modello “et-et” nel quale fattori biologici, psicologici e sociali devono trovare risposte specifiche ai bisogni che in relazione ad essi le persone esprimono. Nessuno da solo è autosufficiente e l’insieme si crea non tanto nella sommatoria delle parti, quanto nella loro reciproca interazione. Si tratta di passare da modelli categoriali a quelli dimensionali, dove i diversi elementi sono sempre, seppure in misura diversa, presenti.

Il confine tra salute e malattia è sempre più sfumato ma la malattia come indica l’ICF[12] è sempre parte della salute. La realtà ci mostra con evidenza che il rapporto tra infermità (e quindi imputabilità) e disturbi mentali è in crisi e va profondamente rivista alla luce delle attuali conoscenze. Queste mostrano la necessità di fare riferimento alla complessità, alla multidimensionalità affrontando i fenomeni in base ai principi della rilevabilità e modificabilità con gli strumenti e gli interventi oggi disponibili, essendo essi stessi parte del problema e della sua soluzione.  L’osservatore è parte del campo e ciò mette in una dimensione di relatività ogni valutazione oggettivante.  In altre parole la definizione del problema e le modalità di affrontarlo sono dipendenti da tutti gli attori, dai contesti e dai tempi. E’ quanto viene dalle teorie della relatività in grado di rileggere spazio, tempo, energia e materia. Una consapevolezza che dovrebbe riguardare tutti e le Istituzioni.

Sul piano organizzativo non è possibile una psichiatria custodiale e “nel paradigma del no restraint dovrebbe inquadrarsi l’operatività della salute mentale di comunità.”[13]

Non esiste una “psichiatria delle certezze”, in grado di distinguere con certezza scientifica imputabili da non imputabili, di prevedere e prevenire, che supera esitazioni, limiti conoscitivi e delle terapie. Fino alla disposizione di un potere di coercizione che alla fine diviene non tanto cura ma custodia. In questo si potranno avere sicurezze professionali derivanti dalla comune condivisione di un approccio sostenuto e condiviso da psichiatria, giustizia, politica e opinione pubblica ed inevitabilmente si incentra sulle strutture e rischia di estendersi al disagio e a tutti i disturbanti. Creando così un sistema “escludente” più ampio divario con i servizi territoriali. Ridurre il reato a sintomo, quindi patologia e inscrivibile al suo interno, è confusivo e riduce la possibilità di comprendere ed elaborare.

La psichiatria fondata sul modello biopsicosociale, culturale, ambientale incentrata sulle relazioni, evolutiva, e basata sulla complessità. La psicopatologia come frutto evolutivo di un complesso di fattori sempre coesistenti e reciprocamente interagenti, cui consegue una valutazione relazionale dove le potenzialità di cambiamento si realizzano mediante un concorso di elementi educativi, sociali, sanitari, giudiziari e di vita. Epigenetica e plasticità cerebrale, modulazione dell’attività del SNC dipendono dalle relazioni, dalle circostanze di vita (fattori traumatici e protettivi) dai determinanti sociali della salute mentale.

La sentenza della Corte Costituzionale (253/2003) la misura di sicurezza non può arrecare danno alla salute psichica della persona, sancendo così, di fatto una priorità delle esigenze di cura. Il consenso non può essere eluso dall’obbligo/coercizione ma per la cura essenziali libertà e responsabilità (del paziente e del terapeuta). Condizioni che per altro sembrano fondamentali anche ai fini dell’efficacia delle misure giudiziarie. La psichiatria e giustizia “dispositiva” aprono a quelle dell’accordo e del patto con la persona. Invece della pericolosità occorre valutare i fattori di rischio, precipitanti e di protezione e prendere in considerazione i contesti familiari e sociali. La disabilità è psicosociale e quindi richiede ampie partecipazioni, diritti da realizzarsi mediante consensi allargati, sostenuti dalla presenza dell’altro. Un approccio che promuove l’inclusione e richiede confini allargati, permeabili, dinamici, piuttosto che coercizione, chiusura restrizione degli spazi.

Quindi il punto di vista della persona, consenso, motivazione, responsabilità sono parti essenziali della cura e del percorso giudiziario non incentrato sulla mera riduzione della libertà. Una psichiatria “gentile”, incerta, carica di dubbi, ma anche di potenzialità, speranza, creatività che ricerca punti di incontro attraverso il dialogo con la persona e i contesti e sa modulare l’organizzazione e andare oltre le REMS per creare altamente percorsi personalizzati (con Budget di salute) di comunità. Un modello che deve tutelare meglio gli operatori, superando la “posizione di garanzia” per affrontare meglio i rischi e promuovere i diritti. Un modello e un’etica della responsabilità e della reciprocità. Il reato non è sintomo di una patologia è vivo nel mondo interno e ciò dà alla persona sofferenze e al contempo apre alla possibilità di comprensione ed elaborazione, di revisione e riparazione.

Oscilleremo ancora tra questi due modelli… il dialogo e le contraddizioni sono il motore del cambiamento.

 c) E’ necessario un cambio di prospettiva che parta dall’attribuzione della responsabilità verso sé e gli altri a tutti i soggetti autori di reato e ai diversi attori istituzionali coinvolti, ciascuno per le proprie competenze. Il modello dicotomico porta a pensare che il carcere sia per i rei sani, mentre per i non imputabili la risposta prima assicurata dagli OPG, dopo la legge 81/2014 debba essere assicurata dal sistema di welfare del quale fa parte il DSM e al proprio interno operano le REMS. Un’ impostazione che mostra ogni giorno la sua inadeguatezza sia in ambito penitenziario nel quale il livello di sofferenza mentale (disturbi e dipendenze) in persone imputabili ristrette in attesa di giudizio o condannate, è assai elevato.

Nuovi bisogni e domande

A livello sociale le tipologie di reato più gravi e frequenti (femminicidi, violenze intrafamiliari, stalking, sex offender) sembrano spingere il sistema giudiziario e quello della salute mentale verso lidi nuovi.

Sempre maggiore è la richiesta di percorsi di prevenzione e intervento precoce di cui il ricorso alle misure provvisorie sarebbe una delle manifestazioni epifenomenica. A questo si aggiunge, di fronte a questi problemi, della consapevolezza dell’inadeguatezza e della relativa inefficacia della tradizionale misura giudiziaria detentiva ritenuta tardiva.

Sembra che il sistema si stia spostando dalla necessità di assicurare l’esecuzione di una misura di sicurezza al termine di un percorso processuale che esita nel proscioglimento ad una visione di tipo preventivo. Già nella fase delle indagini o comunque prima del processo si cerca di assicurare interventi trattamentali, terapeutici e sociali con risorse sistema di welfare ritenute più appropriate, evitando così, al contempo, inutili o dannose esperienze detentive e complessi iter processuali. Un’evoluzione che richiede ulteriori azioni affinché il sistema possa essere strutturato prevedendo percorsi altamente personalizzati attraverso il “doppio patto” uno per la salute e uno con la giustizia ed un’adeguata comune formazione.

Conclusioni

La legge 81, in continuità con la 180, ha inciso sul patto sociale e indicato modalità nuove di concepire cura e pena. I problemi aperti, rilevati anche dalla sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale, possono essere affrontati in ottica progressiva con interventi legislativi, organizzativi e adeguate risorse. Servono il superamento del doppio binario e una riforma organica dell’intero sistema dell’esecuzione penale. Si è sviluppata una collaborazione dialogica tra le istituzioni e i professionisti della salute e della giustizia e ciò costituisce un patrimonio inestimabile.

E’ necessario passare da un modello riduzionistico, oggettivante e dicotomico che affida in modo pressoché esclusivo al carcere o alla psichiatria i soggetti autori di reato ad una presa in cura multimodale e interistituzionale nella quale in modo concertato, ciascuna istituzione svolge la parte di propria competenza: medicina e psichiatria per la cura della salute, sociale per reddito, casa, formazione e lavoro, forze dell’ordine per sicurezza sociale e prevenzione di nuovi reati, giustizia per esecuzione e trattamenti,  e revisione delle misure, prefetture, avvocatura, garanti dei diritti  e così via. Un’assunzione collettiva della responsabilità, dei rischi/benefici, superando anacronistiche e ingiuste posizioni di garanzia a carico dello psichiatra.

Un modello complesso orientato alla soggettivazione e alla libertà consapevole che senza responsabilità, motivazione, consenso e partecipazione, fiducia e speranza, dignità e rispetto non vi sono possibilità evolutive e, per tutti, non restano che mere possibilità di custodia.

Occorre passare dal doppio binario a prese in carico multiple, che siano orientate al pieno rispetto dei diritti e doveri delle persone con disturbi mentali.

Il diritto alla salute da realizzarsi a prescindere dallo stato giuridico della persona, si invera se la persona è degna di ascolto, di avere il giudizio della legge su fatti che hanno un’ampia presenza nel mondo interiore, associandosi ad altri vissuti psicologici e psicopatologici. Il proscioglimento, nella sua ambiguità specie se ad esso fa seguito, la pericolosità sociale e la misura di sicurezza crea una situazione incomprensibile, kafkiana nei tempi e ambigua nei riferimenti. Tutte condizioni ostative alla cura che invece richiede chiarezza, sicurezze, certezza, fiducia reciproca che si sviluppa nel dialogo a partire dall’essere riconosciuti come persona dall’altro. Ciò è premessa per ogni possibile percorso di cambiamento sia clinico che riabilitativo ma anche di tipo rieducativo, di reinclusione sociale (anche con appositi percorsi e case) ed ancor più per ogni forma di riparazione e conciliazione. L’esecuzione penale può realizzare una modulazione delle pene per facilitare relazioni affettive, lavoro e misure alternative che mostrano una significativa efficacia nella prevenzione di nuovi reati.

Nel quadro della collaborazione interistituzionale, ciascuno secondo competenze e mandati, dovrà vedere come rispondere ai bisogni di base, sociali, sanitari, di sicurezza e protezione sociale. Azioni sinergiche che devono riconoscere i punti di forza e i limiti dei diversi sistemi.  Un modello fondato sulla responsabilità della persona, su un approccio olistico, biopsicosociale, culturale e ambientale, può essere di riferimento per le diverse istituzioni chiamate a collaborare. Se i servizi di salute mentale di comunità riescono a dare risposte ciò avviene per la motivazione, la professionalità e l’etica degli operatori che lavorerebbero meglio senza posizione di garanzia e viene facilitato dalla presenza di comunità accoglienti, curanti ed educanti.


[1] Zanetti M. La 180 non è ideologica, per questo è stato possibile applicarla. Fogli d’Informazione n 5-6 terza serie 01-6/ 2008, 154-5

[2] Il maggiore impegno economico è stimato in circa 300 milioni di euro.

[3] Il costo gestionale di una REMS di 20 posti è di circa 2.800.000 euro/anno

[4] Pellegrini P. Persone con disturbi mentali in ambito penale. Diritti e doveri: molto resta da fare! L’Altro, Anno XXIV, n. 2 Luglio Dicembre 2021, 25-30

Pellegrini P. e coll. Persone con Disturbi Mentali: diritti e doveri in ambito civile, L’Altro Rivista di Psichiatria Anno XXV, n.1 Gennaio-Giugno 2022, 26-34

[5] Pellegrini P. Liste di attesa per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive: analisi e possibili soluzioni. Diritto Penale E Uomo, 3/2021 136-147 https://dirittopenaleuomo.org/contributi_dpu/liste-di-attesa-per-lesecuzione-delle-misure-di-sicurezza-detentive-analisi-e-possibili-soluzioni/

[6] Proposta di legge 950/2023 Antoniozzi ed al.

[7]   Ministero della Salute Rapporto 2022 Analisi dei dati del Sistema Informativo per la Salute Mentale (SISM), Ottobre 2023

[8] Salute mentale sempre meno finanziata. Tra il 2016 e il 2021 taglio del 10,7% alle risorse di Pietro Pellegrini QS 20 gennaio 2023

[9] Lombardo G ed al. Gli imperdonabili e il diritto alla bellezza. Il modello Spinazzola. Percorsi di cura e di vita di pazienti psichiatrici autori di reato Erikson, 2023

[10] Pellegrini P. Per una psichiatria senza ospedali psichiatrici giudiziari, Franco Angeli, 2015

Pellegrini P. Liberarsi dalla necessità degli ospedali psichiatrici giudiziari. Alphabeta Verlag, 2017

[11] Barone R. (a cura di) Benessere mentale di comunità. Teorie e pratiche dialogiche e democratiche, Franco Angeli Ed. 2020

[12] OMS “ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” Erickson, 2001

[13] Rossi G. Trattamenti non coercitivi e diritti degli utenti le psichiatrie tra libertà e coercizione. Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici Volume 15 – 10 Novembre 2017

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