Vaso di Pandora

Oh mio dio, come farò a sopravvivere alla morte di Gillo Dorfles?

Oh mio dio, come farò a sopravvivere alla morte di Gillo Dorfles?
(le mie notti con Gillo Dorfles … e dopo)

di Emilio Maura
 
All’età di 108 anni, il 2 marzo, è morto, lucido fino alla fine, Gillo Dorfles. Solo la settimana prima era apparso sul Corriere della Sera un suo articolo a quattro colonne, profondo e brillante. La morte di Dorfles, oltre al cordoglio per la perdita di un grande studioso, è stata per me un’improvvisa tragedia personale e psicologica.

Ma perché questa sensazione così intima, al di là del normale rammarico per una grande mente che si spegne? Cerco di spiegarlo brevemente. Come tutti sanno, invecchiando, l’orizzonte esistenziale o, per dirla in modo tecnico-burocratico, l’orizzonte di vivibilità, si accorcia. Un giornale che parla di piani quinquennali, quell’autostrada che sarà completata nel 2028, quella ricerca i cui esiti si attendono per gli anni ’30, la crescita dei nipoti, la presenza alla loro brillante laurea e il certo bonne marriage: tutto ciò e tanto altro si colloca fuori dal mio orizzonte esistenziale probabile e razionale. Questi pensieri venivano poi ad incattivirsi nel mio classico senile, per fortuna singolo, risveglio notturno, tali da impedire un veloce ri-addormentamento. Ma, una volta, quattro anni fa, alle tre di notte, nel pieno di questi pensieri, quasi come qualcosa che viene dall’inconscio, pronunciai casualmente ed involontariamente per tre volte il nome di Gillo Dorfles. E, incredibilmente, si fece in me una grande serenità e pace: esisteva dunque ancora la possibilità di una vita ragionevolmente lunga e creativa, dimostrata dal fatto che un coetaneo di mio padre (nato nel 1909, Dorfles era del ’10) si trovasse in piena attività intellettuale? E che la “grande festa” del vivere, pur screziata di delusioni e dolori, ma nel complesso sempre una festa, continuasse per tanti anni?

E così, Gillo Dorfles divenne mio compagno prima di risvegli notturni, poi di vita. Una specie di oggetto transizionale winnicottiano, un salvifico amuleto montaliano. E ora, come fare? Ma prima, chi era Gillo Dorfles? Il fondatore della famiglia, l’austriaco-ebreo Hermann Dörfles era arrivato nel Settecento a Gorizia come magistrato. Gillo (Angelo) nasce a Triste nel 1910, da una delle famiglie più inserite nel mondo storico-culturale di fine Ottocento: la bisnonna era stata amica di Carducci e ricordava le Cinque Giornate di Milano; da bambino a Trieste frequentava con i genitori la libreria del poeta Umberto Saba; la moglie venne accompagnata all’altare da Toscanini, che lui chiamava familiarmente “Artù”; giocava a bocce con Italo Svevo; litigava con Eugenio Montale, detestava Quasimodo e il suocero era molto amico di Giuseppe Verdi. In seguito allo scoppio della Prima Guerra Mondiale la famiglia si trasferì a Genova, città di origine della madre, si stabilì in Via Interiano e Dorfles frequentò le elementari alla scuola Giano Grillo. Ricordando questo periodo genovese e l’amore di tutta la famiglia per questa città, nel 2005 l’allora Sindaco Giuseppe Pericu gli consegnò il Grifo d’oro, la massima onorificenza del Comune di Genova, e la cittadinanza onoraria.

Alla fine della guerra Dorfles rientrò a Trieste dove terminò il liceo classico. Iniziò nel 1928 lo studio della medicina a Milano per poi trasferirsi a Roma dove si laureò con una tesi di cui era relatore Cesare Frugoni. Si specializzò in psichiatria e praticò i primi elettroshock definendoli “efficaci ma brutali”. Durante il servizio militare, svolto nel Savoia Cavalleria, iniziò a sviluppare una passione per l’equitazione che durò tutta la vita. Lasciò poi la pratica medica a cui aveva sempre dato, secondo una sua dichiarazione, “parti residuali del suo impegno” per dedicarsi all’arte, specie la pittura, la critica, la poesia, anche se l’interesse per la psichiatria rimase nelle letture durate tutta la vita di Freud, Jung, Steiner. La sua fama deriva soprattutto dalla definizione del concetto di kitsch esposto nella monografia del 1968: “Il kitsch – antologia del cattivo gusto” che ne definì il concetto in modo definitivo in base all’assunto contrintuitivo per cui il pessimo gusto svolge la funzione di “mezzo di contrasto” per l’individuazione della vera arte e che spesso l’estetica rivela l’etica. Alcune sue definizioni sono rimaste memorabili: il turista frettoloso, onnivoro e superficiale ma anche la candelina elettrica al posto del cero nelle chiese: due oggetti volgari che depotenziano e corrompono in un caso il viaggio come formazione, nell’altro il senso del sacro. E così, sono sotto la sua lente critica i fenomeni comunicativi di massa, la moda e il design, spesso trascurati nel loro ruolo di massificazione banalizzante. Laico, senza pregiudizi e senza retorica, artista dell’eterno presente, per dirla con Achille Benito Oliva, era dedito allo studio della complessità “che non nuoce”, come ebbe a scrivere nel titolo della copertina del supplemento letterario del corriere della sera del 26/11/2012 che lui stesso disegnò. Fino alla fine Gillo Dorfles ha esplorato le forme e i linguaggi: il cosa, il come e il perché delle manifestazioni della modernità di cui è stato sempre fedele cultore per interpretare, smascherare, decifrare i diversi linguaggi e le diverse forme del loro esprimersi.

Gillo Dorfles muore il 2 marzo 2018. Ed ora che fare? Le notti sono più inquiete, i giorni virano su un mondo che progetta cose in tempi più lunghi che rimandano alla nostra futura assenza. I giorni passavano inquieti ma poi accadde qualcosa di strano, di appena definito, di non ancora del tutto comprensibile: una notte, durante il risveglio notturno, mentre ero in attesa del sonno, mi capitò di pensare “madadayo”: una parola giapponese pronunciata da Dorfles che rimase nella mia mente rasserenandomi, e, a poco a poco, sostituendo il ruolo del nome Gillo Dorfles. Questa parola, suggerita da Dorfles, come una nenia mi riaddormentava nella notte e mi leniva e rasserenava nel giorno. Madadayo, letteralmente significa “c’è ancora tempo” ed è il titolo dell’ultimo film di Kurosawa, il grande regista giapponese morto nel 1998 (autore di film straordinari come Rashomon, I sette samurai, La fortezza nascosta, Dersu Uzala – il piccolo uomo delle grandi pianure, Sogni, Ran), film che racconta la storia di un anziano professore che… ma, se volete, ne parliamo la prossima volta, prima vediamo se continua a funzionare…

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