Commento all’articolo: Scoperte le probabili cause biologiche della depressione, apparso su “La Repubblica” il 4 Aprile 2023
Nell’approcciare l’articolo in esame, mi è subito tornata alla mente l’importanza della sensibilizzazione rispetto la salute mentale ed i vari disturbi ad essa associati.
A questo proposito si può sottolineare come, negli ultimi anni, parrebbe che tal aspetti siano tenuti maggiormente in considerazione dai media di comunicazione di massa: non mancano, infatti, testate giornalistiche cartacee e online interessate a trattare questo tipo di tematiche, così come pagine internet e canali dedicati (spesso gestiti da una rete di professionisti) all’interno dei più noti Social Network.
Si può tuttavia sottolineare come non ci si possa permettere di “abbassare la guardia” in tal senso e di come tale sensibilizzazione rimanga una priorità, anche alla luce dell’aumento di incidenza di alcune tipologie di disturbo, per esempio il disturbo depressivo maggiore, riportato peraltro all’interno dell’articolo stesso.
In quest’ottica, l’articolo in esame non può che essere considerato positivamente. Nello specifico, si sottolinea la particolare utilità della divulgazione circa specifiche tematiche, relative gli ultimi sviluppi della ricerca, riportate attraverso l’utilizzo di un linguaggio accessibile anche al comune cittadino, privo di una specifica formazione in merito.
In questo senso posso ritenermi piacevolmente colpito dal modo in cui sono stati introdotti temi quali l’individuazione del recettore GPR158, la specifica funzione della glicina (a tratti eccitante, a tratti responsabile di segnali di rallentamento a seconda della cellula bersaglio) nonché delle possibili implicazioni terapeutiche utilizzando una terminologia perfettamente comprensibile anche da una popolazione non medica.
Da un punto di vista clinico, i risultati della ricerca paiono promettenti, seppur al momento ancora in fase di sperimentazione animale. Si può sottolineare come possibili sviluppi potrebbero avere particolare rilevanza considerando il (possibile e sempre auspicabile) impatto rispetto l’efficacia, la riduzione di effetti collaterali e la rapidità di azione: tutti aspetti che, come molti colleghi potranno confermare, possono acquisire una grande importanza anche a fini di compliance con il paziente e prevenzione del drop-out della terapia.
Da questo punto di vista non si può che incoraggiare i ricercatori nel proprio lavoro, evidenziando l’importanza di rimanere aggiornati su eventuali nuovi sviluppi.
Non si può che condividere il favore con cui si considerano i continui progressi delle neuroscienze e in particolare della neurochimica: oltre a promettere nuove frontiere nell’approccio farmacologico, contribuiscono a rendere il “male oscuro” meno oscuro, meno inquietante, un po’ più padroneggiabile.
Non è però da dimenticare un possibile risvolto negativo, che si possa ripetere quanto accaduto tanti decenni fa, già in era pre-farmacologica: ci si era messi in attesa delle “magnifiche sorti e progressive” della ricerca sulle basi organiche della follia, lasciando in penombra e trascurando le possibili modalità di intervento sociale e relazionale. E’ chiaro che le due dimensioni non vanno contrapposte e messe in concorrenza, ma integrate