Sono in un letto di ospedale, morale a terra, devo subire un’operazione importante, anche se la cosa che mi spaventa maggiormente, è il futuro. Strana la vita, sei tutta concentrata sul lavoro, persa e presa completamente dalla vita e dai problemi dell’altro e poi ti ritrovi a dover pensare a te, al tuo corpo malandato inspiegabilmente e inaspettatamente, rimpiangi le giornate convulse precedenti. E ti incazzi perché la valigia doveva essere piena di costumi da bagno e abiti per le gite o per le cene serali ed invece ci sono pigiami, salviette, calzette di cotone.
Nella camera a fianco alla mia c’è una persona anziana, ieri l’hanno operata, questa notte ha sofferto, era agitata, chiamava e non arrivava nessuno, così mi sono alzata e sono andata nella stanza delle infermiere, con gentilezza ho chiesto se potevano andare a vedere di cosa aveva bisogno. Poi la signora si è addormentata finalmente in pace.
Oggi invece hanno dovuto cambiarla e cambiare anche le lenzuola, ruotando il corpo sul letto, i modi erano bruschi non tanto nei gesti quanto nel tono della voce, una Oss mi ha detto di tornare a letto, mi ero soffermata troppo a guardare, ma intanto il mio vigilare, forse, ha mitigato quei modi così inadeguati e colpevolizzanti: “Ma non poteva chiamarci prima di fare questo casino?”.
Poi tutto un parlare di problemi di turni, di ferie, di dispettucci tra colleghi, sospiri e sbuffate.
Questo è il fare senza pensare, senza considerare chi hai davanti, che è una persona sofferente nel fisico ma anche nello spirito, che ha bisogno di una parola di conforto un sorriso. L’ospedale non è una fabbrica, dove si contano i pezzi da produrre, l’ospedale deve rimanere un luogo dove prendersi cura del corpo e dell’anima, questo dev’essere.
Mirela, una tirocinante infermiera, durante il giro mattutino dispensa parole gentili e sorrisi. Mirela non cambiare, abbiamo bisogno di persone come te nei luoghi di cura.
In queste brevi note, c’è tutto quello che distingue un buon operatore da uno meno buono.
siamo tutti passati per le ingiustizie subite dai “colleghi che si approfittano” o attraverso atteggiamenti di contrasto per non dire persecutori da parte di chi ci stava sopra nella scala gerarchica, ma ciò non giustifica di potersi dimenticare che quello che sta male domani potrei essere io e potrebbe farmi soffrire essere trattato con sufficienza e senso di sopportazione. Quando si sta male, si vuole comprensione, perché si sta male fuori e dentro e la capacità di accorgersene e di ricordarlo, da parte degli operatori che si occupano di te, è fondamentale: Mirela non cambiare!
Hai proprio ragione Debora.. credo che anche noi, all’interno delle nostre strutture, sempre presi da mille impegni, rischiamo di dimenticarci che abbiamo davanti persone che soffrono. Non è facile lasciare fuori dalla porta i lamenti, la stanchezza, il peso delle nostre vite con tutti i loro accadimenti non sempre leggeri ma penso faccia parte del nostro lavoro. Come si diceva qualche anno fa “ Dovremmo cercare di essere felici se non altro per dare l’esempio” ( J. Prevert). Ma come altrettanto si diceva; siamo tutti nella stessa barca. E si fa quel che si può, nonostante le intenzioni. Ben vengano le Mirele. Dovremmo ripeterci ogni mattina quello che hai scritto e ricordarci che anche questo fa parte della cura.
Questo lavoro e senz’altro molto duro ed avere a che fare con sofferenze fisiche e mentali logora, forse per difesa si diventa cinici e distaccati, ma non bisogna mai dimenticate che è un lavoro dedicato alle persone, agli umani, e l’umanità è un obbligo sempre è indispensabile per esercitare questa professione! Vi prego non dimenticatelo mai! A nessuno piace state male ed in una struttura sanitaria. Grazie
Cara Debora,
quando siamo noi ad avere bisogno, la prospettiva cambia.
Ciò che facciamo spesso lo consideriamo lontano e rivolto all’altrui problema.
Quando il problema diventa nostro, ci rendiamo conto di superficialità, sgarbatezze e incompetenze.
Non si può certo generalizzare, sarebbe deprimente pensare che abbiamo lavorato tanto per la dignità, l’umanizzazione del gesto e la personalizzazione dell’intervento, invano.
Le Mirele esistono ancora, basta saperle trovare e valorizzare.
Anche ora sei la Debora che osserva reagisce parla riflette richiamando ad una umanità che non si deve perdere con le tue parole. La tua umanità.
Un grande abbraccio
Grazie
Cara Debora, ho letto da poco il tuo articolo e vorrei parlarti direttamente, ma anche dar seguito a quello che in modo straordinario riesci qui a comunicare: l’importanza di essere comunque sè stessi in ogni circostanza . Con un grande slancio di creatività il tuo saper cogliere i bisogni di quando si soffre dà sostegno ai valori della tua e nostra storia all’insegna del curare. Grazie di cuore
Carissimi colleghi ringrazio ognuno di voi per le parole e l’affetto che mi avete dedicato qui, ma anche attraverso messaggi e telefonate. Lo sgomento iniziale ha lasciato il passo all’accettazione della malattia e all’attesa impaziente delle cure. A presto
Debora