Il difficile percorso del ricongiungimento familiare e le sue conseguenze.
Da un decennio o poco più agli sportelli e ai Consultori dove opero giungono e si ascoltano storie di ragazzi venuti da molto lontano a raggiungere le madri emigrate nel nostro paese ai primi degli anni ottanta. Voci che nel ricordo risuonano cariche di dolore, di perdita, malinconia e solitudine.
Il lasciarsi per un po’ di anni interrompe la relazione primaria, facendo danni che si ripercuoteranno per tanto tempo sulla relazione madre-figlio. E un perdersi, correndo il pericolo di ritrovarsi estranei. Il danno è la mancata condivisione dei tempi di crescita del minore: vengono sottratte delle sequenze di vita e, come nella visione di un film, se perdi dei pezzi non sei in grado di goderlo o a volte comprenderli.
Sono state ascoltate anche tante madri che avevano lasciato i figli in patria, il cui pensiero impediva a volte di dormire, di gioire di qualsiasi cosa, mentre curavano i vecchi degli altri dopo aver lasciato i loro ad altri. Mentre accudivano i figli degli altri dopo aver lasciato i loro a figure sostitutive di caregiver: nonne, zie, fratelli maggiori, amici.. La loro partenza produce un Care drain, infatti la cura degli anziani e l’accudimento dei figli è visto nei paesi di provenienza come una responsabilità delle donne .Quindi l’altra faccia dell’emigrazione è la destabilizzazione della famiglia, che colpisce in modo particolare i minori e gli anziani, ovvero i soggetti fragili del nucleo famigliare. Quasi mai i padri, anche perché negli anni di ascolto è emerso che le figure paterne di questi sono quasi inesistenti, queste donne spesso lasciano la patria certamente per bisogno, ma anche cavalcando l’onda di un amore finito, di compagni persi per strada. L’espatrio come occasione di togliersi da una situazione di vedovanza, di indigenza perché prive di un compagno che le sostenti. Oppure la fuga da un marito violento, o la ricerca di ovviare ad una situazione sociale che non prevede la donna sola con figli a carico. La provenienza delle madri che e giunta a noi negli anni è in gran parte sudamericana o dell’est europeo. In entrambi i paesi la figura femminile è colei che procura le risorse economiche per il sostentamento della famiglia indigente. Nella famiglia sudamericana e in quella moldava o ucraina è la donna che si accolla grandi responsabilità, anzi è la madre che emigra, sottolineando la struttura matriarcale della famiglia. L’arrivo in Italia è sempre in appoggio a conoscenze e presso una rete di donne che le hanno precedute.
L’inserimento sociale, la lingua diversa, il dolore dell’abbandono dei figli, rendono l’arrivo quasi insostenibile. Ogni fase del processo migratorio attiva grosse emozioni. Quando si inizia a fantasticare la partenza si attivano sentimenti di grande aspettative e idealizzazione per il proprio futuro e quello dei propri figli. Partire costa caro e di solito vi è una cordata di più persone per attivare il progetto di migrazione. Spesso le migranti si sentono responsabilizzate come coloro che attraverso la partenza sono depositari di grandi aspettative di riscatto sociale . Infine laceranti sono i sensi di colpa e il dolore dell’abbandono dei figli piccoli a cui spesso non vengono comunicati con chiarezza la partenza, i tempi e le modalità. Spesso le madri lontane hanno molti disturbi psicosomatici, depressioni o attacchi di panico. L’ascolto di cui hanno bisogno è empatico e non giudicante. Certo questo tipo di ascolto interculturale non è stato facile ma e stato arricchente per l’apporto di realtà diverse e di diversi modi di viverle. Necessariamente si è dovuto mettere a fuoco l’esigenza di rivedere i nostri costrutti culturali per accogliere in modo incondizionato la comprensione dell’altro. E’ emersa a quel punto quale fosse la nostra funzione facilitante: accogliere il cliente e traghettarlo verso un modo nuovo di vivere la realtà che lo ha accolto.
“Ho capito solo ora dopo aver parlato con lei che in Italia gli uomini normali non bevono e non picchiano abitualmente le loro compagne. Quando avrò finito di studiare voglio un lavoro e un uomo tutto mio che rispetti me e le mie figlie se ne avrò ….”
Vale la pena sottolineare l’elevato uso dell’ascolto psicologico richiesto ai servizi da parte delle donne sudamericane per sè e per i loro figli, avendo ben in mente la loro funzione. Mentre le donne dell’est non ne fanno mai richiesta se non dopo aver ascoltato i loro figli a scuola.. Va anche sottolineato che in ogni mamma sudamericana c’è il progetto del ricongiungimento con i minori. Mentre è più raro trovare questo desiderio nelle donne dell’est europeo. Queste ultime lavorano duramente con la fantasia di ritornare o di migliorare le condizioni di vita dei propri famigliari nella loro terra..
I figli lasciati che ripercussioni hanno ? Il più delle volte, come già detto, vengono affidati a famigliari e si tengono contatti molto fragili, telefonate che negli anni si trasformano in frasi sempre uguali, non potendo le madri esprimere il proprio dolore per la separazione.
Ci sono bambini che a volte per anni non rivedono la mamma. Luis, piangendo dice, : ”lei telefonava, ma non me la ricordavo, non riuscivo, poi non sono più andato al telefono, e la zia diceva che ero cattivo…..”
Parlano con quella che ormai è la mamma idealizzata che un giorno verrà a riprenderli.
Ci sono bambini che soffrono così tanto per l’assenza della madre da non riuscire a rendersi conto di ciò che è presente nella loro vita . Il cuore di questi bambini è sempre altrove, e così anche la loro testa. Hanno problemi di concentrazione, perché la loro mente è assieme alla persona lontana di cui soffrono la mancanza. Il mondo intorno a loro perde ogni colore e tutte le cose e le persone appaiono prive di significato. Racconta una madre “ quando Mariana arrivò portata da una conoscente, non la riconoscevo più. Non sembrava la bambina che avevo lasciato anni prima, per tre mesi non ha parlato, aveva 8 anni……”
La separazione invece sugli adolescenti può avere altre dolorose ripercussioni. Essi sono sono molto provati e affaticati, come caratteristica tipica dell’età che è alla ricerca di una propria identità.
Vivono un momento in cui si perdono i propri riferimenti interni a causa
dei mutamenti del proprio corpo e della propria mente, e si perdono anche quelli esterni, con il naturale distacco dalle figure genitoriali, senza averne ancora trovati dei nuovi. Ma se realmente la figura genitoriale viene a mancare questo evento è una grossa ferita, che porta destabilizzazione. . Spaventa l’adolescente perché deve trovare in sé forze maggiori per proseguire il processo di crescita verso un mondo adulto che lo intimorisce per diversi motivi, dalla sessualità alla separazione psicologica dai propri genitori, che nella partenza di uno di loro diventa
anche fisica. Spesso nell’impasse della separazione l’adolescente può rimanere bloccato in uno stato d’animo di sospensione e di vuoto di pensiero.
Di qui al disagio, alla sofferenza mentale, alle difficoltà scolastiche, alle condotte antisociali, alle dipendenze , il passo non è lunghissimo.
La partenza della madre, la separazione dal compagno, il più delle volte già accaduta, la spartizione dei figli a volte affidati a diverse famiglie parentali, lascia la scena familiare vuota , in cui i componenti non sanno dove stare, sentendosi smarriti e disorientati. Il ricongiungimento tanto desiderato non è un punto di arrivo, ma solo di partenza, il più delle volte in salita.
Ci sono difficoltà concrete per i minori, una nuova realtà, nuova lingua, scolarizzazione. Il più delle volte in patria i soldi mandati dalla madre permettevano tanti privilegi che vengono a mancare ora che spesso si dorme in stanze di affitto condivise con altre persone. Ora che la mamma non si vede mai perché lavora, ora che c’ è il confronto con una realtà di beni e oggetti del desiderio che non si possono comprare.
Ci sono poi le grandi difficoltà emozionali che è mio compito ascoltare con incontri madri e figli, osservando la loro interazione, incoraggiando la comunicazione. Conducendo il confronto delle due diverse realtà interne ed esterne.
”Pensavo che arrivando Megan tutto sarebbe stato diverso, non capisco cosa voglia, è diventata una cattiva figlia, bugiarda e lontana, all’inizio diceva sempre sì, poi ha preso a saltare scuola, va con brutta gente, sono disperata”. “Quando sono arrivata, avevo malinconia della nonna, là tutto era più facile e tutti mi viziavano e mi volevano bene, la mamma non me la ricordavo più. Ora viviamo in una casa brutta, lei non sta mai con me, c’ è Amir sempre in casa (il convivente senegalese della madre) che pretende di dire cosa è giusto o sbagliato per me. Io non ho mai avuto un padre ….. Ho conosciuto amiche che sono false ……la mamma è sempre arrabbiata. So che Carlos è un cattivo ragazzo, ma mi vuole bene… forse andrò a stare da lui …” Megan 15 anni.
Si lavora sul confrontarsi, si invita lo scambio dei vissuti, si aiuta ad esplicitare le ragioni delle separazioni. Si invitano le parti a raccontare ciò che si è vissuto durante la lontananza. Tutto questo è molto doloroso ma è necessario per colmare il vuoto- spazio temporale. Raramente avviene spontaneamente. Si cerca sempre di rimanere in superficie, il genitore ha paura di sentire cose spiacevoli, essendosi cullato nell’illusione che il figlio era in buone mani ed era felice. Il figlio non racconta le sue tristezze e peripezie per timore di far soffrire, per paura di essere cacciato
Esistono però a volte “non detti molto gravosi” che poi si ripercuotono e si manifestano nei comportamenti.
Questi incontri di mediazione sulla relazione madre-figli sono l’ultima sequenza di un percorso iniziato ben prima su colloqui individuali ai minori, che su loro volontà posso estendere anche ai genitori.
Il minore fa questi colloqui che hanno la finalità di dargli la possibilità di essere accolto nell’ascolto delle proprie emozioni, dei propri desideri, di essere finalmente se stesso, non più inascoltato; di sentirsi finalmente libero di portare le proprie ansie per le decisioni che lo riguardano, di capire il confuso presente e di prefigurarsi l’incerto futuro.
Questa è la mia funzione guardare insieme al paziente il suo dolore, questo è il modo per traghettarlo verso una dimensione più sostenibile e progettuale. Il riconoscere insieme ad un professionista nel qui e ora perché sto cosi male, capire perché l’ansia lo invade , facilita nel paziente la capacità di trovare ed evidenziare le proprie risorse residue.