Durante la formazione in Psicoanalisi Multifamiliare, che si è svolta nel DSM di Cagliari nel 2022, ha preso forma il progetto di riattivare il gruppo in SPDC con l’intento e il desiderio che fosse il gruppo del Dipartimento di Salute Mentale, che potesse costituire la base per una rete di relazioni tra ospedale e territorio, tra operatori del Dipartimento sempre più soli e alle prese con interazioni conflittuali caratterizzate da accuse reciproche per i rispettivi limiti di intervento.
Il desiderio era quello di passare da un ring tra contendenti a un tavolo di confronto tra dialoganti, con il proposito di lavorare sulle interdipendenze patologiche e patogene che caratterizzano i Servizi così come le famiglie che si rivolgono ai Servizi.
Nel progetto del GPMF in SPDC era anche chiara e forte la necessità di costituire un unico gruppo per i due Servizi Psichiatrici, con la speranza di creare relazioni anche tra i due e non solo tra ospedale e territorio.
Il Servizio Psichiatrico di Cagliari è attualmente costituto da 2 articolazioni di un’unica struttura complessa che fino a qualche anno fa costituivano due Servizi distinti, nettamente e rigidamente separati pur essendo distanti pochi metri l’uno dall’altro.
Il Servizio Psichiatrico di Cagliari è stato unico dalla sua istituzione fino al 2009 quando è stato creato un secondo Servizio dopo un evento traumatico e le conseguenze che ne sono derivate.
La morte di un paziente dopo una lunga contenzione ha profondamente ferito la compagine umana e istituzionale e ha portato alla nascita di un secondo Servizio con un mandato “No restraint”, in dichiarata contrapposizione alle caratteristiche del Servizio originario. Sono state costituite, dalla Direzione di allora, due équipes che hanno assunto e consolidato connotazioni clinica e politica diverse, una espressione della nuova ispirazione, l’altra quasi depositaria della continuità. Esse, pur figlie del trauma originario, sono diventate contrapposte e rivali. Gli operatori dei due Servizi
erano in opposizione gli uni gli altri (come figli antagonisti di una famiglia traumatizzata e conflittuale, quali sono quelle afferenti ai nostri Servizi), tra loro non c’era riconoscimento reciproco, ma separazione, contrapposizione, rivendicazioni e
polemiche.
Gli operatori del nuovo servizio si sentivano fieri depositari delle nuove pratiche, ma anche molto fragili e poco riconosciuti, non sembrava possibile e non era allora contemplato che un SPDC potesse funzionare con le porte aperte e senza contenzioni. Erano considerati, o si sentivano, ingenui principianti, dai colleghi del primo servizio e si difendevano evitando il confronto.
Giudicavano negativamente l’equipe dell’altro Servizio per le pratiche che consideravano sbagliate e obsolete.
Il rifiuto dell’altro, diverso, era netto.
La prima esperienza di gruppo in SPDC era nata in uno dei due Servizi e in tale temperie era letteralmente impensabile poterla condividere con l’altro, non esistevano ancora una mente e un linguaggio capaci di pensare ed esprimere un
progetto comune.
Il progetto del primo gruppo, che ha costituto la base fondante del gruppo attuale, nacque durante un processo formativo con Fiorella Ceppi che si svolse nel CSM della Clinica Psichiatrica universitaria e al quale parteciparono alcuni psichiatri di uno dei due Servizi.
La prima esperienza di gruppo è stata sostenuta da altri percorsi formativi con Fiorella Ceppi che sono stati l’occasione per aprire il confronto anche con operatori del dipartimento non conduttori di GPMF.
In quella occasione era stata sollecitata, ma mai accolta, la possibilità di condividere il gruppo con l’altro Servizio.
Nel tempo, i problemi organizzativi (scarsità di risorse professionali, eccessivo carico di lavoro, turn over degli operatori) hanno ostacolato la regolarità degli incontri del GPMF fino a determinarne l’interruzione, che è diventata definitiva con il sopraggiungere della pandemia Covid.
C’erano anche altre ragioni che portarono alla chiusura di quel gruppo, in quel momento non immediatamente visibili, e sulle quali abbiamo riflettuto solo recentemente dopo l’attivazione del nuovo gruppo. Elementi più inconsapevoli
influenzavano le relazioni rendendole incapsulate e irrigidite, povere di parola, senza alternativa o possibile articolazione.
La formazione GPMF svoltasi a Cagliari nel 2022 ha costituito una svolta, ha favorito tra gli operatori partecipanti uno scambio fertile ed ha fornito gli stimoli giusti per la ripresa del gruppo in SPDC. Il progetto, a differenza del precedente, è stato spinto da una corrente “erotica” e unificatrice, forse anche inconsciamente riparativa, che ha coinvolto professionisti di diversi servizi del Dipartimento.
Dal 18 gennaio del 2023 il gruppo si tiene una volta alla settimana e viene celebrato alternativamente nella sala da pranzo di uno dei due Servizi.
Ogni mercoledì un gruppo di operatori e pazienti attraversa lo spazio prima precluso per recarsi nell’altro reparto.
Il gruppo di conduzione stabile è costituito da operatori del Servizio (3 medici, 2 educatrici e 1 psicologa) e da operatori dei CSM (3 medici e una psicologa) che sono conduttori di altri GPMF nei rispettivi CSM. Può capitare che partecipino,
sporadicamente, anche altri conduttori di gruppi dei CSM.
La partecipazione al gruppo è aperta agli specializzandi psichiatri, ai tirocinanti (educatori, psicologi), agli infermieri e allievi infermieri, oltre che a tutti gli operatori del Servizio. Mediamente partecipano al gruppo circa 30 tra pazienti e familiari. La cura del gruppo di conduzione passa attraverso la costanza e l’impegno nell’Ateneo. La presenza di ruoli, competenze ed età eterogenei nel gruppo di conduzione allargato, stimola un confronto vivace e creativo, attivando nuove possibilità di interconnessione e incrementando il clima di fiducia. L’assetto di laboratorio, che caratterizza questa esperienza, incrementa l’esplorazione, il confronto, la voglia di apprendere, al di là delle diverse impostazioni teoriche e dei contesti in cui si opera.
Partecipare al gruppo durante il ricovero permette di costruire un pensiero condiviso soprattutto sulla crisi, dando modo a curanti, familiari e pazienti di riflettere sul vincolo malato e ammalante di paziente e familiare, là dove malattia, sintomi e crisi rappresentano un tentativo disperato di cercare il cambiamento e, paradossalmente, di riprendere in mano le redini della propria vita.
La difficoltà che alcune famiglie (e tanti operatori) trovano in questa ridefinizione relazionale dell’intervento terapeutico è anche dettata dall’utilizzo paradossale del luogo, il servizio psichiatrico, che invece di chiudere e definire un sintomo ed un malato, si apre, invitando tutti i personaggi della storia, a raccontarla in modo diverso e a favorire ipotesi trasformative.
I Centri di Salute Mentale e i Servizi di Psichiatria, non diversamente dalle famiglie, possono funzionare con modalità poco sane. I funzionamenti mentali e relazionali tendono a essere ripetitivi, rigidi, caratterizzati da una forte tendenza al non cambiamento e forieri di sofferenza psichica.
La PMF ci offre un’opportunità per attivare processi normogenici e spinte trasformative.
Il gruppo può svolgere la funzione di terzo anche nelle dinamiche all’interno delle Istituzioni, creando un clima di fiducia e rispetto, uno spazio transizionale che permette di metabolizzare le angosce, anche quelle legate al cambiamento,
diventando uno spazio mentale dove si pensa meglio, perché si pensa insieme.
La storia dei 2 servizi è una storia complessa di morte e di vita, di contenzione e di libertà, di conflitto e vicinanza, di violenza e riconciliazione, di negazione dell’interdipendenza per difendere a spada tratta la propria identità separata,
legandosi rabbiosamente a vicenda, perché la reciprocità era inevitabile essendo un dono di nascita.
Nessuna istituzione di per sé o atto legale o scorno pubblico poteva (e può) riconciliare, sanare, perdonare quanto successo, per puro atto imposto; ci voleva un processo di consapevolezza, separazione e lutto e riparazione.
Il gruppo in SPDC è diventato il “laboratorio di cucito”, dove si riprendono le trame di una storia spezzata e rimossa.
Il processo terapeutico non è, quindi, unicamente quello dei pazienti, ma anche quello che coinvolge il gruppo di conduzione e l’Istituzione.
L’utilizzo del GPMF, attraverso il riconoscimento esplicito dei movimenti interni profondi nella mente dell’operatore e del gruppo di lavoro, addestra all’incontro, a tollerare l’incertezza e il non sapere (“capacità negativa”), piuttosto che comprimere in dimensioni di ruolo, di procedure e di risposte reattive.
La Psicoanalisi Multifamiliare è uno strumento eversivo e “anti istituzionale” mette in crisi la rigidità e la schizofrenia dei sistemi di lavoro, da un vertice di osservazione differente permette uno sguardo più creativo alla scoperta di una virtualità sana degli operatori che orienta nel significare e intraprendere cambiamenti strutturali dell’agire terapeutico.
Sono felice di aver dato il mio contributo alla nascita/crescita di questa nuova Creatura (come sempre figlia di una storia generazionale) che ambisce inconsciamente, com’è giusto che sia, a ricucire nuovi tessuti là dove avvenne lacerazione
Ne porto dentro in particolare la ricchezza stupita degli incontri tra diversi (soprattutto in Ateneo!), e l’intento di restituire alla Persona Che Soffre la capacità e dignità di prendersi cura di Sè attraverso l’Altro, cui lo legano relazioni di reciprocità sostanziali, oltre e attraverso teorie, dispositivi e farmaci