Vaso di Pandora

Le more del gelso

Ho da poco un bonsai di gelso bianco, che in questi giorni sta mostrando i suoi piccoli e dolci frutti, tra foglie rigogliose di un verde chiaro e luminoso.
Sotto un grande gelso moro passavo parte delle mie estati e mi divertivo a mangiare i frutti maturi, un po’ nauseanti e stucchevoli, fino a farmi diventare lingua e labbra violette.
Sotto quell’albero dal tronco possente vi era fresco e ombra, l’erba cresceva rada e lasciava lo spazio a noi bambini che ci sdraiavamo per cantare o giocare insieme come ci insegnavano durante la nostra frequentazione scoutistica.

Il gelso è un albero antico, pieno di fascino, che cresceva forte ed utile nelle Langhe della miseria, intorno ai campi dei contadini che potavano i giovani rami per cibare i bachi da seta, prezioso patrimonio che veniva coltivato con cura, attenzione e tanta fede.
Si compravano le uova in inverno, si curavano con attenzione fino a primavera, quando venivano messe su dei graticci di giunco e si trasformavano in bruchi con un grande appetito; venivano alimentati con le foglie del gelso.

Valentino si ricorda il rumore del masticare le foglie da parte dei “bigatti”, che nutriti a dovere tessevano il loro bozzolo per diventare crisalide.
Se la produzione andava in vacca, ossia moriva il baco dentro al bozzolo, il guadagno sfumava.
Si portavano poi i bachi maturi (prima che diventassero farfalle e bucassero il bozzolo per schiudersi ), alla filanda, dove attraverso un complesso e delicato processo si ricavava la seta grezza.
Il guadagno era sudato ma certo, se tutto veniva curato con amore e puntualità.


Le filande nella zona delle mie radici familiari esistevano e davano lavoro a centinaia di giovani donne e ragazze. Le filandere lavoravano sodo, con le mani nell’acqua calda anche per 16 ore al giorno.
Per portare a casa denaro.
Un atto di fede.
Per la famiglia.
Per i fratelli e figli piccoli.
Per la terra.

Per rendere meno pesante un lavoro duro ed ingrato, cantavano. Canti di amore e di disillusione. Canti di unione, di tenacia, di fatica, di orgoglio contadino.
La fede cresce sul terreno fertile dell’etica e dell’amore diceva don Gallo.
L’amore e la tenacia, la fatica e la fede trasformavano il lavoro in denaro per l’inverno, sempre magro dalle nostre parti.

Ora le terre di langa sono ricche. In alcune zone la vite che non rendeva niente, solo vinaccio da bere a tavola ora è coltivata a barolo.
Una fortuna. Allora una miseria.
Ma la fede e l’amore erano vivi, crudi ed autentici.

Il Vangelo di Luca riporta una similitudine rispetto alla fede: “Se avete fede anche piccola come un granello di senape potete dire ad un gelso che ha radici profonde e poderose: sradicati e ripiantati in mare. Il gelso lo farà”.
La fede, la tenacia, la fatica e la convinzione senza calcoli o pretese producono trasformazioni e cambiamenti.
Ciò che serve per rendere utile il nostro lavoro. Qualunque esso sia.

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