Donne che partoriscono oggi, strette fra le ordinarie procedure spersonalizzanti dell’istituzione e l’intramontabile ideologia del materno come perdita di sé per annullarsi nel figlio/a. Col risultato di un’esperienza estraniante di solitudine: questa la riflessione di Claudia De Lillo, a partire dal dramma della madre che, in uno dei maggiori ospedali della capitale, si è addormentata sfinita dal lungo travaglio mentre allattava il neonato, finendo per soffocarlo.
Superato il primo momento di sgomento, mi tornano alla mente le mie esperienze, ambedue lontane, di femminista, a partire dagli anni settanta/ottanta del secolo scorso. E anche di madre, lo sono diventata proprio in quegli anni. Comincio dal femminismo. Il movimento delle donne si è occupato da subito del corpo femminile, per meglio conoscerlo, per scoprire la dimensione del piacere, come parte importante nella ricerca di libertà. Si parlava anche di maternità, insieme alle donne in gravidanza che stavano per affrontare il parto o che l’avevano appena vissuto: per sottrarre quei momenti così importanti alla soggezione della medicalizzazione inutile: sempre in chiave di “riappropriazione” del proprio corpo nell’incontro con l’altro piccolo corpo. Tanto per intenderci: il contatto col corpicino del neonato subito dopo il parto doveva rappresentare un’iniziazione gioiosa alla maternità. Lo stesso per l’allattamento al seno, che fu “recuperato” – dalla consuetudine dell’allattamento col biberon- in quanto esperienza di rapporto intimo col bambino. Si supponeva che la madre dovesse imparare a “padroneggiare” l’allattamento al seno, coi tempi suoi, da conciliare con calma e sapienza coi tempi del neonato, magari con l’aiuto di qualcuno/a a lei vicino o vicina.
Questo nuovo modo di vivere la maternità è stato nel tempo stravolto in un “ritorno alla naturalità”. Che, calato nelle pratiche ospedaliere e in parte anche nel senso comune corrente, vuole dire: allattamento al seno come comandamento, tanto meglio se protratto oltre il primo anno d’età, con nessuna attenzione alle esigenze del corpo della madre, tantomeno ai suoi bisogni globali e al suo concreto orizzonte di vita. Insomma, la originaria ricerca di libertà dentro l’esperienza della gravidanza si è rivoltata nel più meschino rilancio dell’ideologia della madre oblativa. Forse proprio perché queste pratiche si sono fondate sul concetto scivoloso di “naturalità”. Vale la pena ribadirlo: mai come nel campo della maternità la “naturalità” c’entra poco. Piuttosto, le femministe cercavano di sedimentare un nuovo sapere dell’esperienza materna, a partire dalla critica di come il patriarcato aveva ridotto il corpo della donna e della madre a “corporeità” muta, senza alcuna considerazione della sua volontà, del suo desiderio, dei suoi tempi: in una parola, della sua soggettività.
Dunque, dalla soggettività, dalla nostra esperienza e dal confronto su questa direi di partire, ancora una volta. E metto in comune un pezzo del mio vissuto di neo-madre di allora. Non l’avrei fatto prima, trattandosi di una esperienza remota, ma la denuncia di De Lillo mi ha convinto che può essere ancora utile. Nel primo mese dopo il parto, ricordo di aver avuto molti problemi di adattamento. La mia bambina era molto piccola, doveva prendere otto pasti nelle 24 ore, non riuscivo a recuperare il sonno, perciò non avevo neppure fame e dimagrivo troppo. Soprattutto, dovevo psicologicamente adattarmi a passare da quel “essere due in una” della gravidanza, alla relazione con un’altra da me, ma da me totalmente dipendente. Si dice (anche De Lillo lo scrive) che le neo madri non dovrebbero essere lasciate sole. E’ vero, nel senso che hanno molto bisogno di aiuto concreto. Invece, in genere i buoni consigli abbondano, inversamente proporzionali al soccorso materiale.
Quanto a me, io mi sono salvata dalla depressione incombente nella solitudine. Non sono stata lasciata sola, ho scelto di essere sola. Era estate, ho lasciato il padre della bambina e i genitori e sono partita con mia figlia per una casa vacanze (col solido sostegno di una donna che mi aiutava in casa, beninteso). Lì, lontana dalle troppe voci che credevano di sapere che cosa fosse meglio per me e per il neonato, nel silenzio – lo sottolineo- ho imparato a decifrare meglio i bisogni della bambina e ho ripreso contatto con i miei di bisogni, a iniziare da quelli del sonno. E ho avviato una specie di “negoziazione” interna, fra me e lei, per costruire senza fretta e senza pressioni un “noi due”. Così ho trovato un ritmo comune di vita e finalmente ho scoperto il piacere di “stare insieme”, io e lei.
Un insegnamento concreto alla relazione interpersonale che permette il riconoscimento di sé e dell’altro pur nell’ambito dell’attaccamento.
mentre leggo questo ho nelle orecchie il pianto di mia nipote e l’ansia così forte in mia figlia da farla allontanare da noi due genitori (non la vediamo ma vediamo la piccina). Ha avuto una esperienza ospedaliera positiva attenta ma con un comando (era quello delle ostetriche …”sai mi sembrano di parte, dalla parte del bambino” allatta rispondi sempre ecc.) proprio quel contesto attento e perfetto ancora di più la può far sentire colpevole di un latte non sufficiente di una disponibilità insufficiente… provocare notti insonni colpe vergogna e viverre l”‘aggiuntina” non di suo latte colpevolizzante. E trovare in noi nella mamma sentimenti insopportabili indicibili… allontanarci
Aggiungo che certo anche lei è fragile ma cosa c’entra….appunto per questo invece di un tararsi sull’opportuno che ritengo indispensabile questo opportuno va tarato equilibrato raggiunto con persone diverse e con quella attenzione che non sia una regola. Odio i protocolli..odio le mutazioni imposte. amo il progresso e il cambiamento articolato e compreso..parto dalla sicurezza che non siamo cretini.
Poi i genitori restano i nonni a dire forse quello che non ha più un peso a fronte della sicurezza dei protocolli.
Detta questa esperienza attuale e personale mi firmo da nonna e da donna che mai ha partorito ma che ha allevato amato e cresciuto la sua figlia partorita dalla sua compagna ora unita legalmente dalla nascita,
nonna angosciata e perplessa….. ma la bimba va…..