E’ uscito ieri, 17 marzo 2023, su La Stampa, il racconto reportage “Cocaina Globale”.
La enorme e crescente diffusione dell’uso di cocaina nel mondo ha raggiunto proporzioni inaspettate, secondo gli analisti del fenomeno. Ma è proprio così? A me non stupisce affatto.
La salute è il bene più prezioso. Come tutti gli altri beni eravamo abituati a cercarli attraverso interlocutori capaci di adattare i nostri bisogni all’offerta. La carne dal macellaio, la verdura al banco del mercato, avevamo sempre un intermediario, direbbe Zapparoli, tra i nostri bisogni e i poteri che li detengono. Avevamo un rapporto.
Poi abbiamo scoperto che senza intermediazione ci sentivamo più liberi. Siamo corsi con i carrelli ai supermercati, perché risparmiavamo tempo e trovavamo tutto. Poi i centri commerciali e poi neppure siamo più usciti, abbiamo imparato a fare arrivare tutto a casa, neppure l’intermediario alla cassa, tutto nel telefono, tutto da soli.
È così che vogliamo la salute. Prendere quello che serve, scegliere liberamente, faticare poco.
A chi viene nei servizi pubblici è sempre più difficile rispondere che la cura si fa insieme, che si deve cercare, che curarsi è fatica. Abbiamo dispensato antidepressivi a pioggia e abbiamo capito, dopo molti anni, che all’inizio fanno bene, poi fanno così così, poi si deve lottare per toglierli, e spesso non si riesce.
La Coca Cola ha conquistato il mondo, è il prodotto tipico del novecento. Se la coca è il prodotto tipico di questo secolo io non mi scandalizzo affatto. Ci sono ancora molti mercati da conquistare, menti affrante da curare con la polvere magica che arriva a domicilio e corre tra le strade nelle tasche, invece che nei borsoni di Glovo.
Alla fine chi legge dirà: ma che c’entra la salute? La cocaina è droga.
Vista su vasta scala la cocaina sta diventando il doping della vita. O cambiano le regole del gioco, o sarà dura controllare il fenomeno.
Avidità, voglie di soddisfazione immediata, Mac Donald, rifiuto delle mediazioni, sviluppo squilibrato… Poco di nuovo sotto il sole. Giordano Bruno, 1584: “bastava il condimento della fame a far più suave e lodevol pasto le ghiande, li pomi, le castagne, le persiche e le radici, che le benigna natura administrava…che non possano far giamai tanti artificiosi condimenti ch’ha ritrovato l’Industria e lo Studio, ministri di colei, i quali, ingannando il gusto e allettandolo, amministrano come cosa dolce il veleno; e mentre son prodotte più cose che piaceno al gusto, che quelle che giovano al stomaco, vegnono a noiar alla sanità e vita, mentre sono intenti a compiacere alla gola. Tutti magnificano l’età dell’oro, e poi stimano e predicano per virtù quelle manigolda che la estinse, quella che ha trovato il mio e il tuo; quelle ch’ha divisa e fatta propria a costui e colui non solo la terra ( la quale è data a tutti gli animanti suoi) ma, ed oltre, il mare, e forse l’aria ancora… questi, a suo malgrado, crapulano, quelli altri si muoion di fame”.
Facciamo la tara, ovvio, alla mitica età dell’oro: ma queste parole continuano a riguardarci.
E vi preghiamo, quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: “è naturale” in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile.
Bertolt Brecht