Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 16/02/2016
Per i professionisti della salute mentale non è certo una novità il potenziale terapeutico della musica: basta scorrere la copiosa bibliografia sulla musicoterapia, nella quale non mi pare il caso di addentrarmi in questa sede. Preferisco chiedermi quale possa essere la specificità di questo potenziale, al di là degli aspetti aspecifici che condivide con le più svariate tecniche terapeutiche su base relazionale: condivisione di esperienze ed eventualmente di compiti, esperienze di ascolto, di accoglienza, di affidamento, fiducia nell’aiuto, espressione di vissuti significativi in un ambito capace di contenimento, aumentata consapevolezza di sé…
Un dato di fatto – in contesto terapeutico o meno – è la capacità del messaggio musicale di risuonare – letteralmente e metaforicamente – dentro di noi, di risvegliarci dentro delle cose in modo forse più pregnante che ogni altra arte. Forte e privilegiato il rapporto con le emozioni, con le passioni, con l’erotismo, con l’esperienza religiosa. Un motivo di discoteca, una Passione di Bach, una canzone napoletana attivano emozioni diverse e tuttavia parimenti intense: ma ognuno di questi pezzi ha bisogno del proprio contesto adeguato e di un fruitore specificamente disponibile.
La musica ha potuto esser considerata la rivelazione all’uomo di una realtà privilegiata e divina, nella forma della conoscenza o del sentimento: fonte di esperienze tanto intense da poter divenire pericolose. I miti di Orfeo e delle Sirene ce la presentano come onnipotente, affascinante, salvifica o al contrario temibile: se ne può fruire ma è necessario saperci fare i conti.
Perché questo? Credo che la particolare forza del pezzo musicale nasca dal suo collocarsi e fluire nel tempo, certo non solo quello dell’orologio: tempo della coscienza, tempo vissuto anche nel senso di Bergson. La musica è, come la coscienza, un flusso di contenuti e temi che compaiono e svaniscono, in una presenza che si fa immediatamente passato: a un tempo incombente e inafferrabile. Questo aspetto di mutevolezza spesso mal prevedibile può esser radicale al punto di essere inquietante come in certa musica contemporanea; oppure moderato dal ritorno di un tema dominante quando non di un vero e proprio rassicurante ritornello.
In ogni caso la musica non lascia, come fanno le arti figurative, che l’esteriorizzazione di un contenuto mentale ricco di affetti e tecnicamente elaborato sia libera di svilupparsi per se stessa e di consolidarsi arrivando a un’esistenza per sé stante; al contrario, supera l’oggettivazione esterna e non s’immobilizza in essa fino a farne qualcosa di esteriore che abbia esistenza indipendentemente da noi. Lo aveva fatto notare Schopenhauer; certo, se ciò era indiscutibilmente vero ai suoi tempi, poiché ogni brano musicale andava ogni volta riprodotto e interpretato, richiedendo sempre l‘intervento di una rinnovata sensibilità umana, è forse meno vero oggi con la disponibilità di molteplici mezzi di registrazione e riproduzione meccanica. Questa è, però, una riproduzione molto meno affascinante, un po’ di seconda categoria, e pertanto non è sufficiente a considerare sorpassata la riflessione di Schopenhauer.
L’altra metà del discorso, correlata con questa, è lo stretto rapporto con il concetto di armonia, e dunque anche con la matematica: fin dai tempi di Pitagora si era scoperto che le diverse consonanze sonore corrispondevano a diverse misurabili frequenze di vibrazioni. Pare dunque che la scuola pitagorica abbia saputo collegare ambiti così apparentemente lontani come musica e matematica. Partendo anche da ciò Platone ha fondato la sua impostazione teorica, invitando a superare l’esperienza sensibile – in questo caso il mero ascolto del suono – per giungere a coglierne il fondamento numerico con l’intelletto: per lui, sola vera forma di conoscenza. Si era giunti, su questa strada, addirittura al concetto di “musica delle sfere”: si è ritenuto che i corpi celesti nei loro movimenti così regolari esprimessero un’armonia che non poteva non essere vera musica, pur non percepibile a orecchio umano. Galileo riprenderà parzialmente il discorso molti secoli dopo: i numeri sono l’alfabeto con cui Dio ha scritto l’universo.
La riflessione su questi aspetti ci induce a riconoscere che non per caso la musica può avere azione curativa. Forse il lavoro del compositore ha qualche punto di contatto con quello di noi psi: persegue un equilibrio e di un ordine nel rispetto ed espressione dei liberi e vivi affetti e scelte personali.