Vaso di Pandora

La democrazia della scienza

Commento all’articolo di T. Pievani, “Le Scienze”, giugno 2017, p.14
Proprio in questi giorni nei quali la polemica sui vaccini, le dichiarazioni di Trump sui cambiamenti climatici, i presunti casi di malasanità e omeopatia, hanno esposto estremismi mai sopiti e lo show dell’opinionismo in ambito extraterritoriale a fronte dell’empirismo, mi è sembrato interessante proporre in questa sede di discussione le brevi ma fondate riflessioni di Telmo Pievani, comparse su una rubrica del numero di questo mese di Le Scienze.

Pievani riporta come sia democrazia che scienza subiscano “la prorompente invasività dei social, divoratori di tempo, in cui le discussioni trasudano di maleducazione civica, la costruzione argomentativa appare ormai come un lontano ricordo di lentezze paleolitiche e, di conseguenza, le posizioni antiscientifiche trionfano statisticamente su razionalità e buon senso”. I social media e più in generale Internet, ignorando totalmente che “libertà di espressione non significa libertà di mentire”, divengono spesso sede di violenza verbale e menzogna e, in assenza di specifica competenza critica, rendono difficile orientarsi e capire quali siano le fonti autorevoli.
In questo ambito quindi Pievani propone la “democrazia della scienza” come una riflessione sulle analogie e differenze fra le due e concludendo per un’etica “democratica”, imperniata sulla partecipazione diffusa, sull’innovazione data dalla libertà di espressione, da cui può derivare progresso ma con una base fondante generata da evidenze, che non sono democraticamente scelte secondo una maggioranza ma attraverso esperimenti ed indagini, controlli incrociati, revisioni tra pari, statistiche.
Pievani riconosce come substrato comune di scienza e democrazia il fatto che entrambe siano due invenzioni gloriose dell’umanità, il confronto fra pari, le revisione critica dei propri convincimenti, l’argomentazione razionale e non dogmatica, il valore del dissenso, la condivisione di un linguaggio comune, il rifiuto di autorità assolute, l’etica della trasparenza, l’importanza della reputazione e l’etica della comunicazione (onestà intellettuale, coerenza logica).
Ciò che scienza e democrazia non hanno in comune è che i risultati scientifici non si decidono a maggioranza, come sopra riportato, che il consenso scientifico consolidato su un dato tema non può avere lo stesso peso dell’opinione di un singolo scienziato eterodosso o magari appartenente ad un’altra disciplina (lo stato dell’arte può essere criticato e sfidato ma con nuovi dati e l’onere della prova).
Quindi le analogie tra scienza e democrazia riguardano maggiormente il metodo mentre le differenze riguardano i risultati, cioè i prodotti del processo.
Scelte democratiche dovrebbero essere basate su fatti accertati e dati condivisi, criticabili e rivedibili ma lontani dalle mistificazioni dell’informazione superficiale e a flusso incontrollato dell’era digitale e spesso generate dalla proliferazione di pseudo-scienza.
Purtroppo la scienza è imperfetta, ha per esempio proliferato nei totalitarismi (vedi teoria darwiniana della selezione naturale e liberismo selvaggio), così come lo è la democrazia.
“Scienza e democrazia” dice Pievani”sono sistemi imperfetti e vulnerabili, entrambi controintuitivi rispetto a molte pulsioni umane evolutivamente radicate, che ci porterebbero a scegliere scorciatoie assai più facili. Quindi hanno bisogno entrambe di continua vigilanza, di un’educazione precoce  di una buona comunicazione per essere capite e condivise” .
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Commenti su "La democrazia della scienza"

  1. Interessante l’intervento di Anna Bonfanti. Mi limito soltanto ad evidenziare un passo del commento che ha ingenerato in me qualche perplessità (ma mi scuso anticipatamente qualora avessi male interpretato) laddove si dice che “…la scienza è imperfetta, ha per esempio proliferato nei totalitarismi (vedi teoria darwiniana della selezione naturale e liberismo selvaggio)”. Comunque sia, a scanso di equivoci, mi preme sottolineare che non è la “teoria darwiniana della selezione naturale” in sé ad essere totalitaria, ovviamente, ma forse sono certi totalitarismi che si sono appropriati indegnamente della teoria darwiniana per giustificare ideologicamente le differenze di classe sociale o la presunta superiorità di un popolo rispetto ad un altro o per difendere radicalmente il laissez faire e opporsi agli interventi pubblici in economia diretti a “salvare dall’estinzione gli individui incapaci dell’autodisciplina necessaria a sopravvivere”. È vero che lo stesso Darwin ha utilizzato l’espressione “survival of the fittest” (“sopravvivenza del più adatto”) dando così la stura ad un “fraintendimento” monumentale, a voler essere indulgenti. Tuttavia, “fit” cioè “adatto” non vuol dire andare alla ricerca degli organismi “più adatti” tra quelli che sono adatti al loro ambiente e tra questi addirittura scovare “il più adatto” o “il più capace” insomma “il migliore” stravolgendo così totalmente il concetto di “fitness”, probabilmente, e riducendolo quasi ad una sorta di pratica “eugenetica ontologica e sociale in seconda battuta”. A meno non ci stiamo riferendo impropriamente ancora al “darwinismo sociale” nel tal caso staremmo parlando di Spencer e di “spencerismo sociale”, forse. Che è tutt’altra cosa, direi. Non c’è omomorfismo tra le teorie di Darwin e di Spencer, mi sembra. Sebbene anche nel caso di Spencer ci andrei cauto a definirlo tout court “il crudele sostenitore di certe piaghe sociali in nome di una presunta naturalità delle stesse”. Non so cosa ne pensate, mah…

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    • La sintesi non sempre è la migliore via della chiarezza: non intendevo certo presentare il darwinismo come sostenitore di un approccio eugenetico a giustificazione delle disparità sociali. Mi riferivo all’uso che viene fatto delle teorie scientifiche, come ben espresso nel commento

      Rispondi

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