Vaso di Pandora

L’esorcista:”Aumentano richieste d’aiuto per diavoli e possessioni”.

Commento alla notizia del 13 Aprile 2015 di Pasquale Pisseri e Redazione

Il cristianesimo non può abbandonare la pratica esorcistica né la teoria che la sottende perché, sulla base dei Vangeli canonici, riconosce in Gesù stesso il primo esorcista che più di una volta ha liberato un indemoniato (o due, a seconda delle diverse versioni evangeliche) da un manipolo di demoni, e una volta non senza una trattativa un po’ bizzarra: essi accettano di lasciare la loro vittima ma chiedono, in cambio, alloggio in un branco di porci, destinati però all’annegamento. Da notare che non si tratta del diavolo, di Satana, del supremo esponente del male, ma piuttosto di una sorta di marmaglia mal definita e che tutto sommato si accontenta di poco.

Costituiscono una popolazione fantasticata presente in uno spazio intermedio fra cielo e terra, un po’ come i Jinn degli arabi.
Il concetto di demone è ben presente nella cultura precristiana ma con accezione diversa, che può essere fortemente positiva come in Platone. Dal Simposio: “ Amore è qualcosa di mezzo fra mortale e immortale… cioè un gran demone, o Socrate: infatti ogni natura demoniaca sta di mezzo fra il divino e il mortale… interprete e messaggero per gli dei da parte degli uomini, e per gli uomini da parte degli dei… stando in mezzo a loro, colma l’intervallo, in modo che l’universo risulti intrinsecamente collegato… che la divinità non viene a contatto con l’uomo, e solo per opera d’Amore ha luogo ogni commercio e colloquio dei numi coi mortali, sia nella veglia che nel sonno…”. Nel pensiero socratico − sempre, come ben sappiamo, giuntoci con la mediazione di Platone − il demone torna, ma legato piuttosto alla cognitività, come ispiratore della riflessione critica del filosofo. Non è tuttavia un’entità personalizzata, ma qualcosa di simile a una metafora.
Molte cose cambiano con il cristianesimo, erede della cultura giudaica. Ancora una volta la svolta è espressa con chiarezza da Agostino (de civitate Dei): “ Non si può credere ciò che Apuleio e tutti gli altri filosofi che hanno la medesima teoria cercano di dimostrare, e cioè che i demoni sono di mezzo fra dei e uomini come intermediari e interpreti, poiché dalla terra presenterebbero le nostre richieste e dall’alto riporterebbero i soccorsi degli dei. Sono al contrario spiriti smaniosi di fare il male, completamente alieni dalla giustizia, tronfi di superbia, lividi d’invidia, astuti nell’inganno”.
Quella controversia è chiusa da tempo, e la visione agostiniana ha prevalso. L’immagine del demone buono sopravvive tuttavia in quella dell’ Angelo, d’altronde preesistente nel mondo classico pagano e fatta propria dai cristiani ma che in qualche modo fa parte anche del patrimonio di idee dei non credenti. È infatti interessante notare l’uso che ne fa un pensatore quasi nostro contemporaneo e certamente non cristiano come Walter Benjamin. Egli, stimolato dalla visione dell’“Angelus Novus” di Klee, pare riprendere l’impostazione platonica della figura dell’angelo-demone come strettamente legata all’Eros e ovviamente circoscritta al mondo interno: “Egli vuole la felicità: il contrasto in cui l’estasi dell’unicità, della novità, del non ancora vissuto, è unita a quella della beatitudine della ripetizione, del recupero, del vissuto. Perciò egli non ha speranza di novità per altra via che non sia quella del ritorno …”. Sta certo parlando dell’amore, rappresentato dall’icona dell’angelo; non mi pare avventato riconoscere, in questa concezione della gioiosa novità come ritorno, un riferimento a quella psicoanalitica, dell’amore dell’adulto come reviviscenza delle pulsioni infantili.
Forse abbiamo sempre ritenuto demoniaco ciò che, nel bene e nel male, sfugge al controllo dell’Io ispirando esperienze che in qualche modo lo soverchiano, e quindi la diversa concezione della figura demoniaca ha molto probabilmente a che fare con la diversa visione della sessualità. Proprio citando quell’Apuleio contrastato da Agostino, Federico Pastore fa notare che nelle “Metamorfosi” di quell’Autore si ha la sensazione di un rapporto sciolto e sereno con la sessualità; esso, d’altra parte, è tutt’altro che un’eccezione nel mondo classico precristiano.
Dal canto suo il cristianesimo tratta l’emergere dell’irrazionale e dell’incontrollato, così legati all’erotismo, con un meccanismo di tipo scissionale. Ai due estremi stanno da un lato l’estasi dei santi, dall’altro la possessione demoniaca, tuttavia di fatto non sempre agevolmente distinguibile dalla prima.
La prassi esorcistica è stata fortemente regolamentata e sistematicamente messa in atto dalla Chiesa cattolica. L’esorcismo ha preso non di rado l’aspetto di un corpo a corpo fra il supposto demonio e l’esorcista, chiamato a confrontarsi con reazioni clamorose e non di rado violente del soggetto. Queste giungono fino a un culmine, con effetto finale che si spera liberatorio. Per lo psichiatra, è forte la tentazione di considerare l’intervento come una psicoterapia intensa e brevissima di tipo catartico: può alla lontana ricordare lo psicodramma.
È chiaro comunque che esistono aree di sovrapposizione e confronto fra l’attività esorcistica e la visione e prassi psichiatrica. Di fronte allo svilupparsi di queste, la Chiesa ha in qualche modo ceduto terreno e i sacerdoti invitano alla prudenza, limitando la “diagnosi” di possessione ai soli casi di fenomeni (accertati?) non riconducibili a meccanismi psicologici e psicopatologici, come il dispiegamento di forza sovrumana o il parlare in lingue sconosciute.
D’altra parte, la nascente psichiatria ai suoi esordi si differenziava con difficoltà dalla demonologia. Narra Lady Wilde, madre di Oscar, ai primi dell’ottocento: “quando qualcuno nel villaggio mostrava segni di follia, lo si chiamava e dopo una buona bevuta di whisky l’esorcizzatore dei diavoli cominciava il suo lavoro con l’emettere ad alta voce un fiume di parole inarticolate… Poi con un bastone nodoso, rigido e nero, cominciava a picchiare vigorosamente il demente, che veniva stretto da tre o quattro amici e vicini. Quando la povera vittima era ridotta quasi senza senso e non poteva più urlare, l’esorcizzatore gridava che il diavolo era uscito da lui”.
Oggi, dando per scontato che esorcisti e psichiatri hanno rinnegato la brutalità, potremmo chiederci se rimane qualche traccia della comune origine delle loro prassi. Non possiamo escludere che nelle tecniche catartiche brevi e perfino nella psicoanalisi ai suoi inizi vi sia stata una lontana eco della visione esorcistica, nel progetto di cura volto a liberare il paziente “posseduto“ da forze ostili, angosce e conflitti ingestibili, e a far sì che dove c’era l’Es debba subentrare l’Io. Quanto all’apparentemente opposta visione organicistica, vi ha spazio l’idea che il turbamento mentale, il sintomo, non faccia veramente parte della mente, ma sia imposto dall’esterno, da una realtà somatica che costituisce sì indispensabile supporto alla mente, ma che non ne fa propriamente parte; è il suo disfunzionamento che impone al paziente una sorta di corpo estraneo, da eliminare.
Siamo ancora lontani parenti degli esorcisti?

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