“L’arte del perdono” di Massimo Recalcati parte ricordando come già Freud avesse impostato il discorso del rapporto e dell’equilibrio fra investimento narcisistico e investimento oggettuale. Contesta il pessimismo freudiano per cui ogni amore è in fin dei conti amore di sè stessi; ne ravvisa il limite riflettendo sulla esperienza del perdono che può seguire a un tradimento, divenendo un momento fondante del riconoscimento della alterità.
Ma per un uomo – prosegue sviluppando una visione lacaniana – perdonare è più difficile perchè mostra i limiti del potere fallico.
Queste riflessioni possono costituire un contributo della psicologia psicoanalitica al problema, di dolorosa attualità, del femminicidio, anche se questo è più frequentemente una risposta all’abbandono irrevocabile piuttosto che al tradimento che lasci spazio a una possibile ricomposizione.
Credo potremmo utilmente rifarci anche al concetto di Kohut di oggetto-sè , inteso come oggetto adoperato al servizio del Sè e del mantenimento del suo investimento pulsionale, oppure esperito come parte del Sè, ad esso ancora interamente connesso, non separato come indipendente e separato dal Sè. Al contrario, i veri oggetti sono amati e odiati da una psiche che ha acquisito strutture autonome, ha accettato le motivazioni e reazioni indipendenti degli altri, ha compreso il concetto di reciprocità.
Nell’impostazione narcisistica quindi l’abbandono è vissuto come intollerabile amputazione, possibile fonte di collera incontrollata e di conseguenti acting violenti, non di rado seguiti da atti autolesivi perchè rabbia e disperazione vanno di pari passo.
Continuando le riflessioni sulla guerra tra i sessi, prendendo spunto anche da quello che opportunamente scrive Pisseri relativamente all’articolo di Recalcati sul perdono, mi viene da dire che esistono varie forme di violenza, ovviamente quella più esplicita ed anche meno conveniente è il ricorso all’aggressione fisica, ma se leggiamo attentamente le dichiarazioni disperate dello’ avvocato di Verona che ha ucciso la sua amante, possiamo facilmente renderci conto , se non siamo eccessivamente falsi e bigotti che elementi passionali ed emotivi che creano dipendenza e trasformano il legame da adulto e in quanto tale discutibile sino al punto di tollerare una separazione modulandola secondo un percorso di lutto accettabile o attraverso una ridefinizione possibile del rapporto ( il perdono prevede a mio avviso l’assunzione reciproca di responsabilità attraverso un percorso di elaborazione depressiva del danno procurato), possono diventare drammaticamente prevalenti sugli aspetti razionali.
Quindi la percezione emotiva dell’uccisore è in questo caso di essere stato ucciso e vista l’incapacità di tollerare il dolore mentale che ne deriva nelle sue componenti psiconeurobiologiche, la conseguente azione a cortocircuito di aggressione fisica sino all’omicidio può diventare l’unica folle e tragica , inefficace via di uscita.
L’impossibilità di pensare e di tollerare la frustrazione violenta diventa la condanna più atroce di un essere umano che sulla dipendenza aveva creato la propria identità scambiando e confondendo valori come l’amore, il sesso, il possesso, il riconoscimento dell’altro e di se stesso.
G. Giusto