Ciò che colpisce della storia di Pier, trentatreenne autistico laureato in Pedagogia, è la speranza.
La speranza di Pier che lo ha portato fino alla tesi ma soprattutto la speranza di tutti coloro che hanno fatto sì che non si spegnesse nel travagliato percorso che ogni famiglia con un figlio disabile psichico conosce: le visite mediche, i tentativi di capire, le attese nei corridoi, le lotte con la burocrazia, le lotte per i diritti, le altalene di illusioni e disillusioni, le ore a scuola passate spesso in disparte a colorare pallini e riempire quadrati come ricorda Pier, l’esultanza per poche ore di sostegno in più guadagnate, il fantasma sempre presente nella mente del giorno in cui non ci saranno più e il figlio dovrà andare nel mondo da solo, con le proprie abilità e disabilità, o essere parcheggiato in qualche “gabbia dorata”, così il padre di Pier ha definito le strutture per disabili psichici in cui avrebbero voluto depositarlo finito il liceo. Indipendentemente dalle diatribe su quanto vi sia di Pier o del suo facilitatore nella sua tesi e sull’esattezza della diagnosi, sono il coraggio e la determinazione che hanno condotto tutta la famiglia di Pier fino alla laurea e il sistema assistenziale e scolastico che lo hanno in parte permesso a rendere questa storia una vittoria di tutti, per quanto ancora mosca bianca. Il termine autismo, dall’origine etimologica fino alle più contemporanee definizioni, rimanda da sempre al ritiro in sé stessi e al ripiegamento nella vita interiore, ricca e variegata in modi spesso sottovalutati. Così oggi si parla più correttamente di spettro autistico, proprio a evidenziare la grande diversità di funzionamento, di abilità e di autonomie che caratterizzano questa sindrome. Ricordo un ingegnere che aveva scoperto in tarda età di essere affetto dalla Sindrome di Asperger, forma di autismo ad altissimo funzionamento, che aveva così potuto trovare finalmente spiegazione a molte delle stranezze e dei fraintendimenti che avevano contraddistinto da sempre la sua vita relazionale a causa della sua difficoltà a comprendere e a mettere in pratica molte di quelle che per altri sono intuitivamente regole sociali basilari. Ma ricordo anche D., bambino autistico, ormai giovane uomo, estremamente comunicativo e affettivo a modo suo, anche se imprigionato in un vivido mondo interiore difficilmente comprensibile e accessibile agli altri. Per molti di loro la vera lotta rimane quella quotidiana per il raggiungimento delle autonomie di base che permettano loro di destreggiarsi nel mondo senza vivere una vita “bisognosa degli altri”. Ma se il termine “spettro” autistico ci aiutasse a pensare all’autismo, così come ad altre forme di disabilità psichica, come un contenitore in cui vi siano non solo diversi gradi di funzionamento ma anche le diverse attitudini, preferenze, caratteristiche caratteriali, gusti, inclinazioni e personalità, le diverse abilità dei diversamente abili sarebbe possibile pensare e sostenere percorsi individualizzati che renderebbero la storia di Pier non più un’isolata mosca bianca.
[L’articolo fa riferimento a La battaglia vinta di Pier: “Io, primo laureato autistico esco dalla prigione di cristallo” – Repubblica.it]