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Insoddisfazione cronica: perché non si è mai contenti?

Quando proviamo insoddisfazione è perché c’è qualcosa che non va. Non siamo felici, non ci sentiamo appagati, stiamo procedendo in una direzione errata o, magari, ci sentiamo intrappolati in una relazione che non fa più per noi. Questi sono alcuni casi comuni ma, naturalmente, ve ne sono molti altri possibili. L’insoddisfazione in sé non è negativa. Agisce da spia, ci segnala che dobbiamo migliorare qualcosa se vogliamo raggiungere uno stadio di benessere superiore. Di fatto, è una sorta di incoraggiamento, di motivazione ad agire in maniera differente rispetto a come stiamo facendo. Quando però diventa insoddisfazione cronica, il discorso cambia e si fa più preoccupante. A questo punto, infatti, la sensazione diventa disfunzionale e occorre fare attenzione. Ci ritroviamo immersi in uno stato di dispiacere permanente e non riusciamo a mettere a fuoco il presente e a viverlo pienamente.

L’insoddisfazione cronica come stato d’animo segnante

L’insoddisfazione cronica mina la nostra quotidianità. Essa ci rende perennemente insoddisfatti, impedendoci di accettare la nostra identità e facendoci giudicare male le situazioni che viviamo ogni giorno, indipendentemente da quanto comportino. L’insoddisfatto cronico vive una sorta di scissione. Da una parte colloca la persona che vorrebbe essere, il suo io ideale in termini psicologici, mentre dall’altra quella che è o, più di frequente, percepisce di essere. Naturalmente, la prima sarà ricca di pregi e vivrà una vita ricca di successo. La seconda, invece, sarà percepita come l’esatto contrario. Si fa molta fatica a trovare l’origine dell’insoddisfazione cronica. I pazienti vittime di questa condizione riferiscono di sentirsi demotivati, annoiati e, generalmente, di cattivo umore. Il loro mal di vivere è difficile da capire e da spiegare. Può diventare addirittura invalidante e uscirne è molto complicato.

Le origini dell’insoddisfazione cronica sono spesso molto lontane e vanno rintracciate nelle prime esperienze relazionali. È infatti all’interno di questo quadro che si formano le immagini di sé, degli altri e del mondo circostante. Potremmo dire, semplificando, che i primi rapporti sono le radici della nostra intera storia relazionale futura. Per capire e gestire l’insoddisfazione occorre indagarli e approfondirne lo sviluppo. Esistono convinzioni errate, maturate in questi contesti, che continuano a influenzare l’insoddisfatto ancora oggi? È una domanda per un bravo terapeuta, ma è anche la chiave per capire le origini di questa difficilmente sondabile condizione.

Al fine di costruire un quadro soddisfacente dell’insoddisfazione cronica e porla in una prospettiva più esauriente per il lettore, proviamo a leggere le principali caratteristiche di questo stato d’animo. Un corretto esame della condizione può rivelare disturbi sottostanti anche piuttosto preoccupanti, come quadri di personalità patologici (tipicamente disturbi narcisistici) o sindromi ansiose e depressive. Possiamo individuare fino a 10 segnali che attivano un collegamento tra insoddisfazione cronica e disturbi della psiche.

Sintomatologia dei disturbi psicologici collegati all’insoddisfazione cronica

Insoddisfazione cronica: un uomo visibilmente insoddisfatto
L’insoddisfazione cronica può essere sintomo di altri disturbi
  • Delusione e frustrazione: un insoddisfatto cronico raggiunge raramente la soglia della soddisfazione. Anche l’eventuale conseguimento di un obiettivo, nelle rare volte in cui viene raggiunto, è accompagnato da sentimenti negativi, solitamente frustrazione e delusione.
  • Tendenza al perfezionismo: spinge a fare ogni giorno di più, e meglio, nel tentativo di raggiungere una soddisfazione utopistica che, ad ogni modo, non verrebbe comunque percepita. Sentirsi perennemente insoddisfatti comporta una serie di costi, in termini emotivi e pratici, che non consentono di godere a pieno del risultato raggiunto.
  • Ipersensibilità: chi soffre di insoddisfazione cronica fa fatica a tollerare qualunque esperienza. Particolarmente quelle legate a un fallimento. Quando un obiettivo non viene raggiunto, senso di colpa, responsabilità e frustrazione sembrano essere le sole reazioni emotive possibili. A livello cognitivo la ruminazione è la strategia mentale più utilizzata. Il fallimento, più che rivelarsi un’opportunità per trarre una lezione positiva per il futuro, tende a far precipitare l’insoddisfatto in una cascata emotiva negativa, dalla quale avrà difficoltà ad uscire.
  • Lamentosità eccessiva: l’insoddisfatto non perde mai occasione per lamentarsi. Da solo o con gli altri. Difficilmente è soddisfatto, neppure nelle scarse occasioni in cui ottiene ciò che vuole. E non perde mai occasione di farlo notare in maniera lamentosa. Per queste persone, non sarà mai un buon momento e non giungerà mai la giusta risposta.
  • Natura ossessiva: l’insoddisfazione può assumere le caratteristiche di una vera e propria ossessione. Ciò avviene quando la maggior parte dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti girano senza sosta, e senza utilità alcuna, intorno al sentirsi poco soddisfatti. In questa maniera, l’insoddisfazione prende più spazio di quanto sarebbe opportuno.
  • Autocritica eccessiva: quando l’insoddisfatto cronico fallisce, si autoinfligge aspre critiche ed eventuali punizioni. L’attitudine a criticarsi è marcatamente associata all’insoddisfazione. Si ipotizza che ciò potrebbe essere riconducibile a un’educazione centrata sul l’attribuire più importanza agli errori che alla gratificazione.
  • Irraggiungibilità dell’obiettivo: l’obiettivo autoimposto può superare le capacità delle quali si dispone. In questo modo si crea uno scarto tra sogno e realtà. Alternativamente, l’obiettivo da raggiungere potrebbe essere sfocato, poco chiaro o mal definito.
  • Rapporti con gli altri e messaggi ricevuti: chi soffra di insoddisfazione cronica è convinto di non fare mai abbastanza mentre le persone che lo circondano potrebbero inviargli messaggi del tutto diversi. Tali feedback potrebbero essere percepiti come critiche, soprattutto se ripetuti con costanza e insistenza, e denotano una scarsa comprensione da parte dell’altro. Raramente sono d’aiuto, dal momento che l’insoddisfatto cronico non ha la capacità di leggere il proprio comportamento sotto una diversa prospettiva, più sana.
  • Assenza di aspettative: Le aspettative dell’insoddisfatto, da un lato si rivelano oggettivamente alte (standard eccessivi), dall’altro sono quasi sempre impossibili da soddisfare. Chi si trovi in questa condizione invia, dal proprio punto di vista, i segnali necessari all’altro ma in realtà non gli fornisce la possibilità di percepirli e rispondere adeguatamente.
  • Felicità utopistica: Spronato dal bisogno imperativo di avere sempre di più, e sempre di meglio, l’insoddisfatto si trova nell’impossibilità di essere pienamente felice. Qualcosa, al suo interno, lo spinge a continuare sempre la propria, incessante ricerca di quel che non ha ancora ottenuto ma sente di meritare. La difficoltà sta tutta nel non riuscire a pensare che esista già un qui e ora, quasi sempre sufficiente a sentirsi felici e appagati.
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