Credo che sia necessario, ma difficile esprimere con moderazione e cioè più utilmente quanto ci attraversa, ci sollecita e opprime in un contesto caotico e angosciante come quello che stiamo vivendo. E’ stato, l’ultimo mese, un continuo confronto tra impotenza e immaginazione… non riesco a descrivere meglio come mi sentissi spesso trascinata altrove con la mente.
Perciò, rimanendo tra noi, mi fa piacere riprendere lo spunto poetico della recensione al film “La mia Africa” di Monica Carnovale, intanto perché mette a fuoco la pregnante suggestione di luoghi, tema su cui voglio tornare, poi per come mi pare di poterla associare all’ “immaginazione del cuore” quando diviene corridoio privilegiato dell’interiorità come pensava Hillman da poco recensito “quando l’anima ricomincia nel silenzio a riempire il mondo tramite l’immaginazione”, a guardare queste cose attraverso il filtro dell’emozione che ci procurano, divenendo in grado di eliminare aspetti materiali dell’immagine per andare più dentro, in profondità… mi pare che ne “La Mia Africa” Karen Blixen realizzi qualcosa di questo processo dell’andare all’essenza, come riprende Monica, attraverso un percorso che comporta la necessità del “lasciar andare…”, la “tristezza composta” dell’essere parte di un tutto che non si può controllare. Dimensione forse femminile nello stare in equilibrio tra i sentimenti e la corporeità…
Ancora a proposito di immaginario, ho avuto riscontro che la lettura de “L’ultima immagine” ha avuto un forte impatto su molti proprio per un’attualità particolarmente angosciata, come ci sottolinea A.F. Spata, anche attraverso i suoi interrogativi su una declinazione della distruttività che disvela il rischio di gravi perdite a cui ci espone uno stato mentale sovreccitato e maniacale potenziato da un uso irresponsabile della tecnologia.
Insomma, lo scontro tra polarità di modalità umane di reagire, essere ed esprimere l’aggressività e la rabbia accumulata.
In contemporanea stava per me funzionando il rifugio della lettura come lavoro e il tentativo di guardare dalla prospettiva della straordinaria metafora medioevale SULLE SPALLE DEI GIGANTI da dove potevo percepire l’entusiasmo e la disciplina del pensiero scientifico di Antonio Damasio. Leggendo “Lo strano ordine delle cose” ci si può sentire all’inseguimento di traguardi lontanissimi che tuttavia ci indicano costantemente la via maestra nella necessità di rimettersi in cammino per conoscere e per vivere .
A questo proposito spero presto di potervi recensire, e quindi introdurre nel dialogo che progressivamente stiamo intrecciando, anche il cammino di Bashō ne “Lo stretto sentiero del profondo nord” e la grazia, in qualche modo in opposizione de “La struttura dell’Iki” di Kuki Shüzӧ, particolarmente riguardo alla sostanza interiore di luoghi e cose.
Il filo conduttore del vagare della mente e dei sogni e delle riflessioni di questo momento, che probabilmente comprenderemo meglio in un tempo futuro, secondo me riguarda particolarmente un tema cruciale: ciò che mi sembra di poter definire “la sostanza della speranza” in quanto nella sua banalità apparente, la speranza, mi pare invece una complicatissima dimensione umana che forse a volte si collega ad aspetti eroici del desiderio di essere “umani” sostenendo un compito impossibile… Come in altri termini ci ricorda Massimo Prelati, muovere altre ali, per sollevarci dal mondo del misurabile banalizzante e, mi viene da dire, rifuggire da istanze perverse di controllo della realtà che confinano l’umano in una dimensione carceraria così come le diverse, ma parimenti invalidanti ideologie autoritarie che così faticosamente molti stanno cercando di superare.