A Casa Mioglia il gruppo “Arte Che Cura” è composto da pochi ospiti. Attualmente la stagione estiva, consentendo di lavorare all’aperto, stimola la curiosità e, qualche volta, il coinvolgimento di altri ragazzi che transitano vicino al gruppo.
I partecipanti più assidui sono molto entusiasti. L’idea di un diario, che circola tra le diverse strutture, viene percepito come un modo di incontrarsi e confrontarsi; un confronto non competitivo, ma che arricchisce e conforta nell’immaginare il pensiero dell’altro in un’esperienza comune: lo stare in comunità.
Quando si sfoglia insieme il diario, gli ospiti sono curiosi di guardare se trovano produzioni di compagni che conoscono, con i quali magari hanno condiviso un percorso della loro vita, oppure semplicemente trarre spunto per nuove idee o tecniche di espressione. Durante uno dei nostri incontri, un’ospite disse che questa esperienza le rievocava bei ricordi di quando, al liceo, scambiava il suo diario con quello dei compagni per lasciare loro una dedica, “tempi in cui ero serena e felice”, affermò con un sorriso.
Con la comunicazione non verbale, i pazienti si raccontano attraverso la scelta dei colori, delle forme, dei soggetti che decidono di rappresentare e dei materiali che utilizzano. Alcuni di loro si esprimono in modo spontaneo, altri richiedono il sostegno dell’operatore o del compagno vicino, ma l’espressività su carta, consente loro di comunicare i propri stati d’animo con meno filtri, avvicinandoli alle emozioni più profonde.
Tra tutti i lavori svolti dagli ospiti di Mioglia, due in particolare, dimostrano il significato intrinseco di questa attività.
Uno di questi, è il disegno di una casa, eseguito da due ospiti che nella loro storia, avrebbero voluto abitare. Una rappresentazione molto elementare, ma significativa nell’esprimere il concetto di casa come luogo di protezione, dove la ‘grande porta’ permette l’ingresso anche coloro che portano sulle spalle una ‘grande sofferenza’. Una casa che nella sua essenzialità, racchiude l’immaginario di un posto da costruire, per ritrovare se stessi e la propria stabilità emotiva.
Quest’altro disegno è il lavoro di un ospite da poco nella nostra struttura. Il frutto della sua prima partecipazione al gruppo. Una raffigurazione apparentemente astratta e caotica, che attira l’attenzione per la sua cromaticità e per la moltitudine degli elementi. Una confusione che, illustrata dall’autore, diventa invece chiara per la sua spontaneità. Essa racchiude gli aspetti caratteristici della storia del paziente, legati ai suoi vissuti più importanti: il mare, il canottaggio, i ricordi d’infanzia a spiaggia, i giochi, il sole e le stelle, parte di quel mondo sottostante la malattia.
Queste esperienze costituiscono un valore aggiunto nella terapia di comunità, perché sono espressione di un mondo interiore, che spesso sfugge alla quotidianità, stimolato tramite l’azione, il fare insieme e il sentirsi parte di un gruppo .
Come prossimo obiettivo, insieme ai ragazzi, abbiamo pensato di lavorare ad un progetto comune, dove ognuno di loro possa mettere una parte di sé, nel rispetto dell’individualità dell’altro, ma anche nella consapevolezza che, per raggiungere un traguardo, è importante la condivisione.