Ne esistono molti e diversi tra loro, ma come funziona il test del QI? Hanno tutti lo stesso scopo e la stessa impostazione: una serie di domande a cui rispondere entro un lasso temporale preciso il cui risultato dovrebbe calcolare la nostra intelligenza. Con QI ci si riferisce al Quoziente Intellettivo, ossia quell’indicatore che definisce il funzionamento intellettivo di un individuo relativamente alla sua età anagrafica attraverso una serie di domande standardizzate da cui si ottiene un punteggio.
Ma come si può misurare l’intelligenza? Cos’è l’intelligenza? Ad oggi, non esiste una definizione univoca e scientifica: l’intelligenza è un complesso strutturato e di certo non etichettabile o misurabile con facilità e gli studi su di essi si sono sviluppati di pari passo alle formulazioni e studi per i primi test del QI.
Quando nascono i primi test del QI?
La nascita dei test del QI risale ai primi anni del ‘900, quando gli psicologi francesi Alfred Binet e Théodore Simon presentarono la Scala Binet-Simon. Lo scopo era quello di misurare l’età mentale dei bambini tramite un test e confrontarla con l’età biologica, così da individuare chi aveva bisogno di un sostegno per gli studi scolastici.
Il termine Quoziente Intellettivo viene però coniato solo in seguito dallo psicologo tedesco William Louis Stern. Stern perfeziona il test di Benet e Simon e definisce una formula per calcolarlo tramite un punteggio e una media fissata a 100, che veniva moltiplicata per l’età mentale e divisa per quella biologica.
Ma sarà solo negli anni Quaranta che si arriverà ad avere il primo test del QI per adulti per mano dello psicologo David Wechsler.
Il test di Wechsler ampliava i campi di indagine del test: le domande erano pensate per misurare la capacità lessicali, la cultura generale, la comprensione di testo e dei vocaboli, l’abilità di individuare correttamente dettagli visivi, connessioni e associazioni logico-sequenziali. Inoltre, il punteggio del test non si basava più su un quoziente relativo all’età, ma su una distribuzione normale standardizzata.
Com’è strutturato e come funziona il test del QI?
Chi ha provato a cimentarsi in un test del QI, tra i tanti disponibili online, avrà notato che non esiste un test univoco, ma si può strutturare in varie forme: alcuni si basano solo su determinati elementi e domande, altri si dividono in sezioni tematiche.
Solitamente un test del QI richiede una supervisione e di essere svolto in un tempo prestabilito. Il tempo limite può riferirsi a tutto il test o alle singole domande o sezioni, in base a com’è strutturato. Alcuni test del QI, in particolare quelli pensati per misurare quozienti intellettivi superiori alla media, non presentano supervisioni o limiti di tempo.
In ogni caso, tutti i test del QI elaborati seguendo gli standard ufficiali partono dallo stesso presupposto: i quesiti a cui la persona deve rispondere sono finalizzati ad ottenere un risultato su una scala da 1 a 100.
Il punteggio “medio” per una persona con un’intelligenza nella norma va dai 90 ai 110 punti. Al di sotto del 90 punti, il QI è ritenuto basso rispetto alla media e se inferiore ai 70 punti è considerato sintomo di disabilità intellettiva. Al contrario, fino ai 130 punti si parla di QI superiore alla media, ma oltre i 130 punti si può considerare “plusdotazione” intellettiva.
A cosa serve il test del QI?
I test del QI ad oggi ricevono più critiche che apprezzamenti: una serie di quesiti uguali per tutti e che non tengono conto dei tantissimi fattori esterni, quali quelli ambientali, dell’educazione, del contesto sociale e familiare eccetera, possono davvero essere lo specchio dell’intelligenza di una persona?
Le differenze tra i risultati dipendono dalle specifiche caratteristiche dell’individuo e un unico test universale può dunque essere fuorviante.
Ad oggi siamo inoltre consapevoli che l’intelligenza razionale non è l’unica forma di intelligenza che possediamo, ma un ruolo fondamentale è giocato anche dall’intelligenza emotiva di ognuno di noi, cioè da quella capacità di gestire gli stati d’animo, di controllare i propri impulsi, di provare empatia. L’intelligenza è dunque un insieme di razionalità ed emotività e questo la rende ancora più difficile da categorizzare e misurare secondo valori universali.
Il test del QI ha dunque qualche utilità?
Assolutamente sì! Nonostante i limiti esposti, i test hanno moltissime potenzialità e sono molto utili in diversi casi, soprattutto se fatti con la supervisione e la guida di professionisti. Ad esempio, si sono rivelati utili per conoscere meglio se stessi, per lavorare sulla propria autostima, per riconoscere problematiche cognitive e intervenire nel modo più adatto per risolverle.
Per i bambini, inoltre, i test del QI sono stati spesso lo strumento vincente per comprendere quale percorso di studio si sarebbe adattato meglio al singolo alunno e migliorarne i risultati scolastici, intervenendo con sostegni personalizzati e capendo quali potenzialità è più propenso a sviluppare.
Dunque, il test del QI non è forse un misuratore valido e affidabile, ma può essere uno strumento utile, soprattutto se utilizzato con la consapevolezza che il nostro intelletto non è solo un numero, ma anche molto altro.
Si dovrebbero fare già in età scolastica, in età adulta anche dai medici di base e durante le prese in carico nei CSM, negli ospedali psichiatrici e nelle cliniche anche per comprendere le possibilità occupazionali in base alle risorse residue cognitive di ognuno.