Quando uscì il bombarolo fu un colpo per le istituzioni alle prese con l’eversione. In quei tempi chi stava con i terroristi, nel senso dalla loro parte, non lo diceva, ed erano pochi.
Tutti gli altri erano un coro unanime di disapprovazione e condanna. Eppure c’era qualcuno che pensava “qui chi non terrorizza si ammala di terrore e c’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo”. Sono queste le parole che ancora oggi mi scivolano giù senza sforzo, le ho stampate nella mente.
Un ragazzo che cammina rasente ai muri, ha diciotto anni, è arabo, è nato e cresciuto in Austria, ha un fucile a baionetta in mano. Non ho mai avuto esitazioni sulla guerra di odio lanciata dal terrorismo islamico, soprattutto non posso neanche immaginare che si possano alzare armi in nome di una religione, qualunque sia, un complesso di idee, rituali e credenze che rispetto profondamente ma che mi suonano dentro come antichi retaggi delle paure dell’uomo.
Ma di quella figura sottile, che richiama per tratti e postura quella di tutti i nostri figli, o fratelli a seconda delle generazioni, non riesco a provare che compassione. Era noto, conosciuto come violento a scuola, radicalizzato.
Il bombarolo e il settembre nero
Per me oggi che ha conquistato le pagine di tutti i giornali del mondo cercando di celebrare con l’odio e la follia l’anniversario delle gesta di settembre nero, quando il terrorismo palestinese scelse le olimpiadi per mostrare le lacrime di un popolo, quel ragazzo è il bombarolo. “Non dobbiamo permettere ai nemici della società aperta di distruggere la nostra libertà e il nostro modo di vivere”, ha detto il capo delle comunità ebraiche in Germania.
Se non vediamo in Emrah il bombarolo di Fabrizio non potremo fare altro che difenderci dai nemici, pensare che abbiamo davvero una società aperta e una libertà per cui combattere. Oggi abbiamo solo guerre da concludere. I chioschi di giornali sono quasi estinti e i cinquecento poliziotti armati contro il bombarolo e il coro di soddisfazione per avere evitato una strage, a cui mi associo profondamente, non asciugano le lacrime di un lungo giorno di pioggia.