Commento all’articolo apparso su “La Repubblica” il 21/11/2019
Lingiardi ci parla del dono come importante momento relazionale, che presuppone un passaggio: dall’Io al Tu.
Un buon dono implica una condivisione di un paesaggio emotivo: un regalo centrato significa “ti porto dentro di me”. Ma c’è l’insidia della proiezione: regalo all’altro davvero ciò che risponde al suo desiderio oppure invece a quello che gli attribuisco o che voglio attribuirgli? Il dono, di fatto, non è completamente gratuito: ci aspettiamo sempre un ricambio, anche se non necessariamente materiale: può essere anche solo un grato riconoscimento . Non è escluso anche il regalo opportunistico, con secondi fini di captatio benevolentiae.
Il tema è grosso, e ci suggerisce ulteriori riflessioni sparse.
Il primo dono è il seno offerto dalla madre al figlio: da qui nasce forse il legame, forte anche se non esclusivo, del femminile con il concetto di dono: “forse madri qui tante non sono? Forse il braccio onde ai figli fer dono …”. Ciò ha radici arcaiche: in un mito boscimano il matrimonio ha avuto origine da ripetute offerte di cibo dalla donna all’uomo. Analogo il senso di un mito bantù: Dio concede il dono del fuoco solo a una donna (“angelo del focolare”?).
Il discorso del dono, secondo Freud, riappare nella fondamentale ambiguità della fase anale: lo sterco può essere un dono alla madre accudente, ma il desiderio di ritenerlo e trattenerlo sarebbe il prototipo dell’atteggiamento parsimonioso.
E’ possibile donare sé stessi, e ne abbiamo una testimonianza nella parola “Omaggio”, che deriva da “omo”, poiché il nuovo vassallo giurando fedeltà al signore si dichiarava suo uomo: si trattava quindi di un dono, dono di sé stesso. Successivo il passaggio a indicare doni meno impegnativi e globali, doni di oggetti ma comunque offerti, quando si usa questo termine, con una replica del rispetto e riverenza dovuta al Signore( poi sminuita dall’accezione vagamente ironica che vi si è sovrapposta) .
Connesso al topos del dono e anzi dell’omaggio quello del sacrificio: si dona alla divinità qualcosa di importante (in certe culture come, pare, nei fenici, addirittura il figlio). E’ un dono propiziatorio, che evidentemente aspetta qualcosa in cambio: lo avvicina – non paia un sacrilegio – a quei doni opportunistici di cui parla Lingiardi. E’ connesso al senso di colpa e a un bisogno di riparazione: magari accade qualcosa di analogo in certi doni fra umani (per esempio fra coniugi)? E può costituire un voler ricambiare i doni che immaginiamo Dio ci abbia dato , inclusa la vita (pur se sarebbe più appropriato anche per un credente definirla un prestito, dato che dobbiamo sempre restituirla).
Sfioriamo appena il grosso discorso dell’incontro sessuale felice, con dono reciproco di piacere e forse – parola grossa – di sé stessi. Se è vero, come giustamente afferma Lingiardi, che il dono parla di me, quel dono ricambiato che può realizzarsi nel sesso ne parla in modo particolarmente pregnante.
Il dono ha avuto e ha vicissitudini storiche: il capitalismo liberistico lo ha messo in ombra, ponendo l’accento sul necessario e utile prevalere dell’interesse personale che favorirebbe, con meccanismo automatico, quello collettivo. Forte a questa posizione la critica di Marx in ”La concezione materialistica delle storia”: “appunto perché gli uomini cercano soltanto il loro particolare interesse …. anche la lotta pratica di questi interessi particolari che sempre si oppongono realmente agli interessi collettivi e illusoriamente collettivi rende necessario l’intervento pratico e l’imbrigliamento da parte dell’interesse generale illusorio sotto forma di Stato”. Ma questa critica allo Stato borghese ( e non solo) si è attagliata fin troppo bene anche a quei regimi che si sono ispirati al marxismo: l’imbrigliamento si è indurito in una oppressione burocratica.
La solidarietà, parente stretta del dono, su larga scala può solo essere imposta? Riusciremo prima o poi a sviluppare meglio la nostra capacità di donare?