Vaso di Pandora

Il cervello dei bambini funziona meglio se la mamma è istruita

Il cervello dei bambini funziona meglio se la mamma è istruita

di Francesca Fazzini

L’affermazione “il cervello dei bambini funziona meglio se la mamma è istruita” suscita in me alcune riflessioni. E’ risaputo che sin dal momento del concepimento, la madre, il suo stile di vita e l’ambiente dove vive possono profondamente influenzare lo sviluppo fetale. A seconda della cultura dov’è immerso, il feto che si sta sviluppando ascolterà e ricorderà differenti suoni, assorbirà differenti odori e sarà soggetto a differenti ritmi. Ormai è ampiamente dimostrato, grazie anche agli studi della Piontelli, l’esistenza di una certa continuità tra vita pre-natale e post-natale. Il comportamento e la vita emotiva del futuro bambino sarà inevitabilmente determinato da una combinazione data dall’intreccio di geni e ambiente, di natura e cultura. Così alla stessa maniera, lo sviluppo cognitivo del bambino risulterà determinato, almeno per gran parte, dal patrimonio genetico e dalle esperienze di vita pre-natali; esperienze legate alla cultura, alla classe sociale, alle condizioni economiche e ambientali in cui il bambino viene concepito, e successivamente nasce, cresce e si sviluppa. E’ noto che lo stress prenatale, attraverso il cortisolo, può influenzare lo sviluppo neuronale; le madri che appartengono a classi sociali disagiate sono soggette, in linea di massima ad alti livelli di stress, che andranno a incidere negativamente sul feto, inibendone, talvolta, lo sviluppo.

Dopo la nascita sono le esperienze che il bambino fa o subisce ad incidere inevitabilmente sullo sviluppo del cervello. E’ stato dimostrato che i neonati hanno bisogno di sperimentare certi tipi di input in particolari periodi critici, detti “periodi finestra”, affinchè si possano sviluppare determinate capacità cognitive, come ad esempio il linguaggio. Se ciò non avviene e il bambino non riceve ciò di cui ha bisogno in quel preciso momento, il linguaggio o comunque tutte le sue abilità cognitive non riusciranno a svilupparsi in maniera piena e corretta. D’altra parte si sa che un bambino impara più facilmente a parlare se i genitori si dimostrano interessati a lui, se commentano il suo tentativo di comunicare, se insomma gli prestano attenzione e riescono ad instaurare con lui una buona relazione. Il neonato acquisisce la capacità di pensare per imitazione dei genitori. L’attenzione, la memoria e l’apprendimento sono influenzate dalla stimolazione che l’ambiente circostante riesce a fornire o, al contrario, a non fornire al lattante. Sin dai primi giorni di vita tra il bambino e la madre ( o chi per lei) inizia una proto-conversazione che si estende agli aspetti verbali e non verbali del linguaggio. E’ chiaro che questo linguaggio primitivo andrà arricchendosi e sviluppandosi nelle epoche successive, in maniera differente a seconda del livello culturale delle figure di accudimento, che il bambino imita e riconosce. Un tempo i bambini allevati in orfanotrofi di bassa qualità, che non ricevevano adeguate cure e attenzioni da parte degli adulti, avevano scarse probabilità di sviluppare adeguate capacità linguistiche e di raggiungere le tappe dello sviluppo psicomotorio in epoca regolare, oltre a subire drammatici danni emotivi e psicologici. Winnicott (1996) ha affermato che non esiste una “cosa come un bambino”, intendendo dire che possiamo capire un bambino solo in relazione alle menti e al comportamento di coloro che lo circondano. Da quanto sopra esposto risulta chiaro che il bambino sarà inevitabilmente influenzato dal comportamento, dalla cultura, dalla classe sociale dei suoi caregivers primari, in particolar modo quindi dalla madre, figura, di solito, più strettamente a lui legata. E’ proprio la qualità di interazione madre- bambino che permette lo sviluppo intellettivo, la capacità di pensiero e di ragionamento del bambino. E’ attraverso la madre che il bambino impara a conoscere il mondo, ad osservare e ad interagire con l’ambiente e con gli altri, è attraverso di lei che riesce ad acquisire il proprio spazio mentale, la propria capacità di utilizzare i simboli, la propria capacità di pensare agli altri e alle cose che lo circondano. Viene di logica dedurre che una madre con un buon bagaglio culturale, in grado di fornire esperienze positive ed arricchenti, permetta al suo bambino di sviluppare pienamente il proprio potenziale cognitivo ed emotivo. Naturalmente penso che la cosa sia ben più complessa e non così lineare come può in realtà apparire e le eccezioni a questa regola, forse, non sono così rare. A questo proposito vorrei ricordare brevemente i concetti di “ pseudonormalità” e “pseudo-insufficienza mentale”. I termini sono, probabilmente, superati e non propriamente corretti, perché bisognerebbe capire cos’è la così detta “normalità” e su quali criteri si basa, visto che quello che per la nostra cultura e per il nostro modo di pensare viene considerato “normale”, può risultare estraneo e bizzarro in altre culture e società. E viceversa. Comunque sia, con il termine pseudo-normalità si fa riferimento a quei bambini provenienti, di solito, da una classe sociale medio-alta, con genitori istruiti e intelligenti, che dimostrano buone capacità linguistiche e ottengono punteggi alti alle prove verbali testate dai comuni test di intelligenza, ma una caduta alle prove di performance. Questi bambini sono stati ben “afferentati”, hanno ricevuto buoni stimoli, sin dai primi giorni di vita, da madri istruite e intelligenti , ma tutto ciò non è servito a renderli a loro volta, bambini “intelligenti”. Di solito questi bambini affrontano senza fatica le prime classi della scuola primaria, facendosi forza del patrimonio culturale appreso, ma crollano davanti a richieste più impegnative, rivelando i propri limiti.
Al contrario può avvenire che bambini provenienti da classi sociali disagiate, con madri povere dal punto di vista culturale, presentino inizialmente uno scarsa sviluppo cognitivo e linguistico, tanto da venir classificati “insufficienti mentali”, ma, in seguito , grazie ad esperienze arricchenti ricevute in ambito scolastico o comunque extrafamigliare, vadano incontro a un rapido miglioramento del quoziente intellettivo. Saranno casi più rari ma a mio avviso, è sempre bene tenerlo a mente. In conclusione, la famiglia e le prime esperienze di vita sono senza dubbio fondamentali per il buon sviluppo cognitivo ed emotivo del neonato, ma anche i così detti life-events e le esperienze di vita successive, che il bambino compie nell’ambiente extrafamigliare e scolastico, possono, talvolta, influire sullo sviluppo emotivo e cognitivo, in senso positivo.

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