Credo sia importante raccogliere l’invito alla riflessione avanzato da Franco Corleone il quale evidenzia molto bene i diversi aspetti del problema che il caso Delfino pone. Senza entrare nel merito della specifica situazione di cui non ho gli elementi e non è questa la sede appropriata, una questione di fondo mi pare si possa individuare nella concezione della pena e della misura di sicurezza.
Infatti, alla luce della legge 81/2014 e della riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) la pena nel solco dell’art 27 della Costituzione oltre agli aspetti retributivi, rieducativi e di reinclusione sociale vede anche elementi di mediazione, riconciliazione, riparazione (possibile) e la giusta attenzione alle vittime.
La misura di sicurezza per far fronte ai bisogni di cura
La misura di sicurezza da norma volta a contrastare la pericolosità sociale è diventata uno strumento per far fronte ai bisogni di cura che oggi sono sempre e contestualmente biopsicosociali, culturali e ambientali. Con ciò viene superata la visone custodiale della psichiatria.
La misura di sicurezza detentiva è residuale e come scrive la Corte Costituzionale nella sentenza 22/2022 “la natura “ancipite” di misura di sicurezza a spiccato contenuto terapeutico che l’assegnazione in una REMS conserva nella legislazione vigente comporta, peraltro, la necessità che essa si conformi ai principi costituzionali dettati, da un lato, in materia di misure di sicurezza e, dall’altro, in materia di trattamenti sanitari obbligatori” dalla legge 180/1978.
L’insieme di queste norme comporta una pluralità di compiti che solo un’ampia e coordinata collaborazione interistituzionale può assicurare mediante un “patto multiplo” con la persona e chi la difende (ruolo dell’Avvocatura) e cura i suoi interessi (Amministratori di Sostegno, Fiduciari).
Le pene-progetto e le pene-programma
Magistratura di cognizione e sorveglianza tendono ad operare affinché le pene che abbiano un senso e pertanto si parla di “pene-progetto “o “pene programma” riempite cioè di contenuti e impegni e non solo incentrate sulla mera limitazione della libertà.
Polizia penitenziaria e UEPE sono fondamentali per gli aspetti trattamentali, Forze dell’ordine per la prevenzione di nuovi reati e la sicurezza sociale e potenziali vittime (anche mediante dispositivi elettronici). Il prendersi cura tramite i servizi sociali è essenziale per affrontare i bisogni di base, abitare, reddito e lavoro) e mentre i servizi sanitari di cui fanno parte Dipartimenti di Salute Mentale nell’ambito dei quali operano le REMS e in molte parti del Paese le UO di Psichiatria Forense devono predisporre i programmi di cura psichiatrica coinvolgendo famiglie, volontariato, utenti esperti. Tutto nell’ottica di promuovere diritti e doveri.
Un impianto che eluda questa complessità e deleghi tutti i compiti ad un solo sistema/organizzazione e la responsabilità di tutte le attività non pare in linea con il dettato normativo ma soprattutto non pone le basi corrette per un efficace percorso di recupero, trattamentale, sociale e terapeutico. Questi si devono basare sempre di più su motivazione, responsabilità nell’ottica della libertà e autodeterminazione. Forme trattamentali e rieducative sono disponibili in forme di programmi definiti per uomini violenti, sex offender ecc. e dovrebbero essere applicati già durante la detenzione. I limiti delle azioni obbligatorie e coercitive sono evidenti in ogni ambito.
La funzione della custodia
Sappiamo che la funzione di custodia è della istituzione penitenziaria mentre contenimento, controllo e prevenzione di nuovi reati, la sicurezza nella comunità spetta alle Forze dell’Ordine. Questo anche per le la sorveglianza perimetrale delle Rems.
La psichiatria ha come mandato la cura e in questo ambito la vigilanza è solo sanitaria.
Il ragionevole accomodamento dei diversi interessi e diritti è il compito al quale le diverse istituzioni sono chiamate ad affrontare in particolare quando si tratta di soggetti non responders o che pongono a lungo termine problemi di controllo dei comportamenti.
Al contempo va evitato che vi siano utilizzi impropri di ogni sistema sia quello detentivo (detenzioni sine titulo) sia delle Rems. Queste hanno senso solo nell’ambito di mandati di cura sanitaria e non possono svolgere funzioni custodiali sine die (come nuovi “ergastoli bianchi”). D’altra parte ciò è stato ripetutamente stigmatizzato. La legge 81 pone come un limite alla permanenza in Rems (la durata della pena edittale prevista per il reato commesso) e questo va visto nello specifico.
Nuove forme di collaborazione
Si tratta quindi, di trovare forme di collaborazione interistituzionale efficaci, di responsabilità collettive e istituzionali, capaci di condividere rischi e benefici superando per tutti la posizione di garanzia. Una cultura della sicurezza co-costruita implica anche il coinvolgimento delle comunità, dei sindaci, dell’opinione pubblica.
Rileggere il caso Delfino alla luce di questa impostazione, significa comprendere quanto si è realizzato in corso di detenzione e prevedere forme innovative d’intervento diverse dalle REMS.
Mi piace chiudere il commento con le parole di Mario Tommasini: “nessun uomo è irrecuperabile, per principio. Nessuno può essere sicuro che un altro uomo sia perduto per sempre. E’ perso solo chi è dato per perso”. “Gli uomini bisogna prenderli per quello che sono. Non basta amare l’umanità in generale, bisogna volergli bene uno ad uno agli uomini”. [2]
[2] Smargiassi M. Nessun uomo è irrecuperabile. Intervista a Mario Tommasini. La Repubblica 20 aprile 2006 in Psicoterapia e Scienze Umane, 2006, XL, 4:793