Vaso di Pandora

I voti scolastici sono un ostacolo all’apprendimento

Non ricordo che fosse così stressante, per me. La scuola. Ogni anno, sempre di più, genitori e alunni portano ansie legate ai voti scolastici, alle medie scolastiche, ai crediti, a test d’ingresso all’università da sostenersi il quarto anno del liceo. Mi sorprendo: ancora prima di raggiungere la maturità, viene chiesto di scegliere che professionisti s’intende diventare.

Non c’è tempo da perdere.

Ma quelli che rischiano di perdersi sono i giovani, con occhi stanchi e segnati da occhiaie. Con la rabbia e la frustrazione di non sapere ancora. E l’impossibilità dei genitori a concedere tempo, inseriti in un sistema in cui prendere tempo si confonde con perdere tempo.

Ehi, ho detto prendere tempo!

Medie e voti scolastici. E voci fuori dal coro che, a giugno, la sera prima dei “tabelloni”, sui social, rivendicano una scuola meno prestazionale: ricordatevi giovani, voi non siete quei voti!

Ho voluto approfondire.

E ho trovato un interessante articolo, di cui vi riporto i passaggi principali. Tutto è sostenuto da ampie e rigorose ricerche sperimentali che vi invito a consultare nella bibliografia dell’articolo originale.

La meritocrazia a scuola: un serio ostacolo all’apprendimento

Nel 2006, Fabrizio Butera, PhD in Psicologia, professore di Psicologia Sociale presso l’università di Losanna, nell’apertura del suo articolo “La meritocrazia a scuola: un serio ostacolo all’apprendimento”, apparso nel numero 3 della rivista Psicologia Sociale del 2006 (Ed. Il Mulino), scrive: la tesi che voglio difendere in questo articolo è che la meritocrazia, nonostante la sua onnipresenza nei sistemi educativi e indipendentemente dal valore di giustizia che alcuni possono attribuirle, nuoce all’apprendimento, in quanto crea un clima di confronto sociale tra allievi, studenti o altre categorie di persone in formazione, che minaccia il sé e limita le capacità cognitive richieste per apprendere.

L’autore parte con il definire il concetto di meritocrazia come principio per cui a scuola, così come in altri ambiti della società, ognuno deve essere ricompensato o valorizzato in funzione dei propri meriti. Per cui si daranno voti scolastici più alti a studenti che danno migliori prestazioni, e si offriranno attività più stimolanti a chi impara più in fretta.

La meritocrazia dei voti scolastici e il confronto sociale

Il professor Butera, continua nel riconoscere come un sistema basato sul merito, porta gli individui ad un processo di confronto sociale permanente. La meritocrazia mette l’accento sulla riuscita, in termini di posizione raggiunta, più che sull’apprendimento effettivo. Un confronto sociale che, se utile nell’apprendimento e al miglioramento scolastico quando gli allievi si confrontano con altri allievi tutto sommato molto simili, sia per sesso che per risultati (e quindi probabilmente gli amici e le amiche, visto che si tratta di adolescenti), non lo è più quando si confrontano con il meritocraticissimo primo della classe.

L’autore nel suo articolo riporta tutta una serie di ricerche che mettono in evidenza come il confronto sociale può avere degli effetti nefasti se implica una minaccia per il sé: se partiamo dal presupposto che ci sono situazioni in cui la motivazione principale dei soggetti è di sentirsi bene, sentendosi superiori agli altri, quindi una motivazione all’accrescimento di sé, il confronto con un altro molto competente, se non intervengono fattori moderatori, può costituire una minaccia per il sé del soggetto, che appunto vorrebbe sentirsi bene, benessere derivato dal sentirsi sopra all’altro. Tutto questo fa sì che il funzionamento cognitivo sia focalizzato sul confronto sociale, lasciando poche risorse per l’elaborazione del compito.  

L’utilità della cooperazione

È solo quando viene dimostrata al soggetto l’utilità della cooperazione che la minaccia scema; soggetto che a quel punto può riconoscere la competenza di entrambi gli attori. Quindi se i due partner di lavoro o di studio, non riescono a riconoscere la loro complementarietà e si focalizzano sulla minaccia che rappresenta la competenza dell’altro, presenteranno un rendimento cognitivo inferiore al loro potenziale, malgrado la loro  alta competenza.

Detto questo, l’autore si pone la domanda se la meritocrazia implica un confronto sociale minaccioso.

Sì, se si considerano le ricerche nel campo della valutazione di sé. Risulta infatti che una persona si sente minacciata quando la valutazione di sé la porta alla conclusione, conscia o inconscia, che i suoi risultati non sono all’altezza degli standard normativi per lei pertinenti (i risultati di altre persone, i criteri di riuscita in un dato contesto, le aspettative delle persone di riferimento, i sogni, le ambizioni). Diverse teorie derivate dagli studi, hanno sottolineato che le persone sono particolarmente preoccupate di ridurre la discrepanza tra la valutazione effettiva e gli standard, e questo spiega perché il confronto sociale che risulta dalla meritocrazia non può essere che un confronto sociale minaccioso.

La meritocrazia mette l’accento sulla riuscita, in termini di posizione raggiunta, ma a meno di immaginare di essere costantemente al primo posto, di gran lunga superiore al concorrente successivo, il che è impossibile, non si possono eliminare completamente i dubbi relativi alla propria posizione sociale. E sono proprio questi dubbi, queste discrepanze, che introducono la minaccia nel confronto sociale.

La meritocrazia dunque introduce la minaccia nel confronto sociale che essa stessa crea.  

I voti scolastici sono un impedimento all’apprendimento?

A questo punto del suo articolo, l’autore approfondisce il motivo per cui la minaccia nel confronto sociale rappresenta un impedimento all’apprendimento, mettendo in evidenza due ordini di impedimenti. In primo luogo, la minaccia provocata dal confronto sociale induce una rappresentazione normativa dell’insegnamento, fissando l’attenzione degli allievi sull’obbedienza all’autorità dell’insegnante, più che sull’apprendimento. In secondo luogo, la minaccia provocata dal confronto sociale induce una rappresentazione competitiva delle interazioni sociali, limitando il potenziale benefico di queste interazioni.

A tale proposito, citando un altro suo articolo, l’autore riferisce di aver avanzato l’idea che per un insegnante l’esercizio dell’autorità e l’insegnamento sono due attività incompatibili: ogni volta che un insegnante usa il potere di coercizioni o di ricompensa che gli deriva dal suo status, in realtà concentra l’attenzione degli allievi sulla minaccia che proviene dalla sua posizione dominante nel confronto sociale (la sua capacità di punire o di non ricompensare) e sottrae quindi una parte delle risorse attenzionali destinate all’esame del contenuto delle informazioni da apprendere. Lo stesso ragionamento viene applicato alla meritocrazia: se la motivazione principale degli allievi è riuscire meglio degli altri, i voti scolastici, o i giudizi, diventano degli strumenti di coercizione o di ricompensa.

Tutti quanti noi ricordiamo che al momento della distribuzione dei compiti corretti, il primo comportamento è di guardare il voto, e che il secondo è quello di guardare il voto del compagno di banco. Le correzioni, il solo elemento che permette di apprendere, si guarderanno eventualmente soltanto dopo aver ottenuto un campione di voti scolastici dei compagni che permetta di situare la propria posizione in una graduatoria. La posizione ottenuta, presenterà o una ricompensa o una punizione.

Il confronto sociale sarà costantemente minaccioso perché ogni nuova valutazione rischia di rimettere in discussione la gerarchia di merito.

Coercizione e ricompensa

Coercizione e ricompensa che, continua l’autore riportando studi e ricerche, costituiscono formidabili strumenti di potere, ma strumenti che inducono effetti di influenza superficiali, senza interiorizzazione. Risultati, quelli riportati dal professor Butera, che suggeriscono come l’uso dei voti come mezzo per distribuire rinforzi positivi e negativi può indurre un apprendimento superficiale, e non un apprendimento sotto forma di integrazione delle nuove informazioni nel sistema di conoscenze dell’allievo.

L’insegnante che usa le sue conoscenze, più che la sua posizione, crea l’interesse degli allievi, interesse che implica un trattamento profondo delle informazioni ed una loro integrazione più radicata nel sistema di conoscenze. Ma tutto questo, aggiunge l’autore, ha senso se l’ideologia veicolata è quella della crescita, del progresso, dell’accrescimento delle conoscenze e non quella del merito, che porta a una mera obbedienza. L’obbedienza, prosegue, pone inoltre il problema della responsabilità: imparare vuol dire costruire; l’apprendimento è un processo attivo nel quale non solo si assimilano le informazioni, ma in cui l’individuo deve adattarsi alle nuove conoscenze.

L’apprendimento è un processo attivo, in cui le persone sono impegnate con la loro volontà, la loro motivazione e la loro coscienza. Studi sull’obbedienza mostrano che essa è legata alla deresponsabilizzazione: se facciamo una cosa perché qualcuno ce lo ha detto, ci sentiamo meno responsabili. Se si studia per ottenere buoni voti, per attirarsi la simpatia dell’insegnante, o per far piacere ai genitori, ci sono poche probabilità che un processo di integrazione delle conoscenze si metta in moto. Se si studia per ragioni esterne a sé, non si è responsabili di ciò che si impara.

Sostiene infine il prof. Butera, la meritocrazia, promettendo ai partecipanti della competizione una ricompensa in termini di posizioni sociali dominanti, riduce le motivazioni autonome, quelle che predicono meglio un apprendimento profondo e duraturo.

I voti scolastici creano competizione

Il secondo impedimento generato dalla minaccia nel confronto sociale deriva dal fatto che essa induce una rappresentazione competitiva delle interazioni sociali, a sua volta nociva per l’apprendimento. Una serie di ricerche citate dall’autore nel suo scritto, mostra quali siano gli effetti nefasti della minaccia nel confronto sociale, perché:

  • Riduce il beneficio della cooperazione. Ampi studi dimostrano come dispositivi di apprendimento cooperativo permettono di ottenere effetti più positivi sulle relazioni interpersonali e intergruppi, sulla motivazione e sull’apprendimento. Diversamente, se in un compito cooperativo il confronto sociale viene orientato verso la valutazione delle competenze, allora la competenza dell’altro soggetto diventa una minaccia e un impedimento per l’apprendimento.
  • Riduce il beneficio del conflitto socio-cognitivo. Non ha bisogno di conferme, l’effetto benefico del conflitto socio-cognitivo, sull’apprendimento e sullo sviluppo cognitivo. Quando i bambini e gli adulti confrontano punti di vista divergenti, si trovano cioè in una situazione di conflitto socio-cognitivo, riescono ad eseguire compiti e ragionamenti che altrimenti non sarebbero stati alla loro portata.

Lo scopo di padronanza

In uno studio in cui il conflitto socio-cognitivo veniva valutato alla luce di due scopi, uno scopo di padronanza, quindi padroneggiare il contenuto, capire in maniera approfondita e l’altro di performance, ovvero essere motivato a fare meglio degli altri, avere dei buoni voti, i risultati hanno dimostrato che lo scopo di padronanza porta i partecipanti ad un livello di apprendimento più approfondito di una condizione di controllo, mentre lo scopo di performance riduce l’apprendimento. Quindi appare che l’effetto benefico del conflitto socio-cognitivo è sotteso da uno scopo che spinge l’individuo a concentrarsi sul contenuto. Diversamente, lo scopo che spinge l’individuo a oltrepassare gli altri, non solo elimina l’effetto benefico del conflitto socio-cognitivo, ma lo rende addirittura deleterio. 

  • Produce un effetto di focalizzazione. L’autore riporta i risultati di diverse di ricerche che hanno studiato gli effetti della minaccia sui meccanismi percettivi e cognitivi importanti per l’apprendimento. L’idea generale è che una minaccia nella valutazione del sé porta le persone a rimuginare sui mezzi per ridurre la minaccia occupando una buona parte delle risorse attenzionali. Questa distrazione induce una focalizzazione dell’attenzione sugli elementi centrali di un compito, portando l’individuo a tralasciare gli elementi periferici. Se il compito è complesso come è il caso della maggior parte dei compiti di apprendimento, la focalizzazione porta a considerare soltanto le caratteristiche centrali del compito con un conseguente effetto di inibizione.

Le conclusioni del Dott. Butera sui voti scolastici

Nelle conclusioni dell’articolo, il dottor Butera ribadisce come la meritocrazia è un sistema che, volendo promuovere l’eccellenza, riduce di fatto il potenziale di apprendimento di coloro che vi sono inseriti. Non volendo delineare quello che dovrebbe essere il sistema scolastico ideale, mostra quali sono gli effetti psicosociali della meritocrazia sull’apprendimento:

  • Il primo problema evidenziato è che la meritocrazia, in quanto confronto sociale minaccioso permanente, non permette di trarre beneficio dalla cooperazione. Gli individui cresciuti nell’individualismo, non saranno in grado di approfittare del lavoro di gruppo, se non quando il gruppo è costituito da subordinati.

Il potere di apprendimento del gruppo

Se si vuole veramente l’eccellenza, e appoggio totalmente la considerazione dell’autore, bisogna ascoltare gli insegnamenti delle ricerche sull’apprendimento cooperativo e imparare a sfruttare quel formidabile strumento di crescita che è il gruppo.

  • Il secondo problema è che la meritocrazia riduce il beneficio del conflitto socio-cognitivo. Un problema serio, visto che la ricerca sul conflitto socio-cognitivo insegna che il progresso cognitivo viene dalla capacità di integrare le differenze. Se questa integrazione non avviene perché le differenze vengono rifiutate come potenzialmente minacciose, allora il progresso si potrà sviluppare soltanto lungo il continuum del conformismo. Una conseguenza contraria all’ideale di ricerca dell’eccellenza.
  • Infine, è apparso che la meritocrazia e le sue minacce per il sé, porta a una focalizzazione percettiva e cognitiva. Preoccupati dalla sorte della propria posizione sociale, i soggetti si trovano a corto di risorse per elaborare l’informazione che dovrebbe porre le basi della loro formazione.

La conclusione, termina l’autore, si impone da sé: se l’obiettivo della meritocrazia è promuovere l’eccellenza, allora bisogna abbandonare l’uso della meritocrazia, perché i suoi effetti sull’apprendimento sono ampiamente dimostrati essere negativi.

Lo stesso, sostiene Butera, se la meritocrazia è un sistema di riproduzione sociale, questo diventa un problema per cui la psicologia insieme alle altre scienze umane e sociali, dovranno unire le forze.

Permettetemi, un’ultima considerazione: l’articolo è del 2006, scritto 18 anni fa. Una maggiore età che però non è andata di pari passo con un confronto maturo, responsabile e trasformativo del sistema sociale e soprattutto scolastico. Che è rimasto tale e quale. Si contano pochi licei in Italia che anche dagli studi del prof. Butera, hanno fatto partire una vera e propria revisione del sistema didattico: le scuole senza voti.

Di cui varrà la pena parlare.

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