Vaso di Pandora

I segreti del sogno

Commento all’articolo di Marco Belpoliti, apparso su Repubblica il 23 ottobre 2017
L’Autore, recensendo ampiamente il volume di Maurizio Bettini “Viaggio nella terra dei sogni”, ci parla delle differenti  posizioni dell’antichità classica e delle nostre, postfreudiane, nei riguardi dei sogni: questi per loro  erano mandati dagli Dei, e all’uomo toccava il compito di leggerli, di capirli;  noi riteniamo invece di esser noi stessi a produrli, e dunque ci parlano non del nostro futuro ma del nostro passato.

Resta però che giungono, se non dagli Dei, da una parte di noi molto particolare, che sfugge per definizione alla nostra consapevolezza immediata, che ha un suo linguaggio da interpretare e quasi da tradurre.
Ma soprattutto, la visione nostra e quella classica hanno in comune qualcosa di fondamentale: entrambe riconoscono al sogno la qualità di portatore di una verità. Platone considerava l’esperienza del sogno non necessariamente meno vera di quelle della veglia: “il tempo in cui dormiamo è uguale a quello in cui siamo desti e nell’uno e nell’altro la nostra anima afferma che solo le opinioni che ha in quel momento presente sono vere; sicchè per un uguale spazio di tempo noi diciamo che sono vere ora le une ora le altre”.
Fra quell’epoca e la nostra si è intercalata una lunga parentesi, che ha tolto spazio al sogno.
Il cristianesimo lo ha lasciato in penombra, probabilmente considerando dirompente la sua  carica di pulsioni istintive emergenti, soprattutto di tipo sessuale, che metteva in crisi la normatività etica prevalente: come ben sappiamo, il termine “incubo” allude a qualcuno che ci giace sopra, ed è la condanna etica che gli ha imposto l’attuale connotazione negativa.
Tuttavia Tomaso d’Aquino non ha rinunciato a includere nel proprio pensiero sistematico alcune considerazioni sul sogno, distinguendo – proprio come fa oggi l’Autore dell’articolo – quelli di origine interna da quelli ispirati dall’esterno, e verosimilmente per lo più da entità demoniache: è dall’età medioevale che il socratico daimon definisce entità malevole. La dimensione visionaria, ineliminabile nell’uomo e manifesta nei sogni o in stati di coscienza particolari, non poteva essere ignorata, ma la si sottoponeva al controllo della gerarchia, arbitra nel decidere la provenienza divina o diabolica di sogni e visioni.
Quello che potremmo definire relativismo gnoseologico di Platone diveniva appannaggio quasi solo di artisti autorizzati a una certa libertà espressiva e di pensiero: Shakespeare, Calderon de la Barca…
Segue poi un’epoca – più o meno dal secolo diciassettesimo al decimonono inclusi – in cui al sogno  si nega la  qualità di portatore di verità, e anzi lo si considera condizione impregnata di non-verità. Scriveva Cartesio nel Discorso sul metodo: “Devo tuttavia considerare che sono uomo e che, per conseguenza, ho l’abitudine di dormire e di rappresentarmi nei sogni le stesse cose, e alcune volte delle meno verosimili ancora, che quegl’insensati quando vegliano… mi ricordo di essere stato spesso ingannato, mentre dormivo, da simili illusioni”.
Ottica molto diversa da quella platonica: il sogno viene paragonato alla follia come tipica fonte di errore, ostacolo da rimuovere se si  ricerca  una verità affidabile: “ma costoro sono pazzi; ed io non sarei da meno, se mi regolassi sul loro esempio”. E’ questo che Foucault definisce uno strano colpo di forza, che esclude e squalifica una fetta importante della nostra esperienza e fornisce base ideologica ai futuri manicomi.  Diviene allora  modello di verità  la matematica: “l’aritmetica, la geometria e le altre scienze di questo tipo… contengono qualcosa di certo e di indubitabile”, prosegue Cartesio, mentre Galileo proclama che la natura ci parla con i numeri.
Va riconosciuto che questo atteggiamento escludente aveva un senso, nel momento in cui una ragione ancora malsicura di sé nel liberarsi da verità di fede – o nel relativizzarle – aveva bisogno di ancorarsi a certezze dimostrate, e che esso ha costituito una base essenziale del progresso tecnico che ha trasformato il nostro mondo; se infine tale impostazione è stata superata, ciò non va attribuito soltanto o prevalentemente alla genialità dell’uomo Freud, ma a una maggior fiducia nella acquisita capacità della nostra cultura di confrontarsi razionalmente anche con gli aspetti più lontani dalla dimostrabilità e ripetibilità richieste a suo tempo da Bacone.
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