“I graffiti della mente”
Ho letto il piccolo volume “il Barone Pisani e la Real Casa dei Matti” edito da “I tipi di Sellerio” (se ricordo bene) ormai molti anni fa, quando il mio lavoro in Comunità era appena agli inizi e mi occupavo tra le altre cose, di arteterapia.
Il Barone Pisani era un palermitano che nel 1824 ( all’epoca borbonica, per quelle zone) aveva preso la Direzione del manicomio cittadino e lo aveva in breve tempo trasformato in una realtà completamente sconosciuta per il suo tempo.
Egli dettava un regolamento di cura (e non di custodia) che anticipava di molto (e forse continua ad anticipare), certa psichiatria di oggi.
Contrariamente a quanto avveniva nelle strutture europee contemporanee, furono abolite la segregazione, le catene e le bastonate ma si diede spazio al trattamento morale (che era semplicemente l’approccio psicologico), con applicazione del gioco, dello svago e dell’ ergoterapia (approccio teorizzato poi da Pinel ed Esquirol).
In pratica veniva utilizzata come terapia la creatività naturale dei pazienti, che nei primi anni dell’ 800 avevano addirittura fondato una compagnia teatrale.
Il trattamento del Barone Pisani prevedeva inoltre una suddivisione dei pazienti a seconda della loro espressività psicopatologica ( divideva i maniacali, dai malinconici, dagli imbecilli).
I maniacali non erano contenuti, bensì liberi sotto osservazione costante, mentre i malinconici condividevano spazi comuni , in un ambiente colorato e stimolante a livello sensoriale.
La Real Casa era luminosa, pulita e curata. I pazienti collaboravano in maniera attiva al mantenimento.
Sembra inverosimile che ciò sia accaduto, per volere di una persona illuminata e potente .
Purtroppo il Barone Pisani non ha lasciato traccia dietro di sé, ma il suo trattamento morale, le sue idee di cura e di rispetto sono nate e morte con lui nel manicomio di Palermo.
Si dovranno aspettare almeno 150 anni per sentire parlare ,in termini di pensiero e di realtà di cura, di creatività, di diversificazione di trattamento, di personalizzazione dello spazio e dell’intervento terapeutico.
L’innovazione di allora era in mano ad una singola persona che non ha saputo trasformarla in un movimento ideologico, o quantomeno non ha saputo tramandarla a chi è venuto dopo di lui (o forse non ha potuto, non possiamo saperlo con certezza).
Dopo Pisani il manicomio di Palermo è diventato un manicomio come tutti gli altri, con le celle, la chiusura, la contenzione ed il dolore della malattia.
Ma la creatività non si contiene in una cella, almeno il pensiero e la fantasia restano liberi e qualcuno riesce a disegnare sui muri, raccontando a sé stesso una storia che non ha bisogno di interpretazioni o celebrazioni.
Credo sia molto difficile e delicato parlare intorno alle raffigurazioni ed alle espressioni grafiche dei pazienti del manicomio.
Non ritengo si debba enfatizzare una rappresentazione decretandola a tutti gli effetti un’ “espressione artistica”. Io non so se sia arte, non tutto è arte e non tutti siamo artisti solo perché esprimiamo la nostra interiorità in modo spontaneo.
Una mostra fotografica sui ricordi rimasti tra i muri del manicomio è un bel pugno nello stomaco per chi non lavora con i pazienti psichiatrici e non conosce la storia della follia e delle sue sfaccettature.
Spero che i visitatori osservino con rispetto e non ricerchino l’artista, ma riflettano sulla persona che ha prodotto un segno sul muro della cella, ha disegnato un animale o ha scritto frasi che per la persona stessa hanno un significato importante.
Che immaginino una vita dietro al segno e che questa vita abbia, almeno per lo spazio di una mostra, un po’ di riconoscimento.
[L’articolo commenta la notizia I graffiti della mente del manicomio di Palermo – Ansa.it]