1.2.3.2 L’ASSENZA DEL PADRE
Il cambiamento avvenuto nell’istituzione familiare ha contribuito allo sviluppo della sindrome. Un tempo le case giapponesi erano ambienti affollati , che raccoglievano zii, cugini, nonni, a formare delle ampie famiglie allargate. Le famiglie moderne, invece, tendono ad essere nucleari, con sempre meno figli rispetto al passato. Il restringimento della famiglia ha contribuito ad amplificare l’intensa dipendenza tra la madre e l’unico figlio (Inamura, 1990). Nel Giappone tradizionale, lo ie, era molto di più di un nucleo familiare che viveva insieme, ma somigliava maggiormente ad una vasta corporazione tribale, che regolava i mestieri, sanciva le unioni, scandiva i passaggi generazionali. A seguito della migrazione dalla campagna alle grandi città, la famiglia nucleare più piccola, di tipo occidentale, cominciò a rimpiazzare lo ie già prima della Seconda guerra mondiale (Zielenziger, 2006). Il crollo del sistema ie e la trasformazione dei modelli abitativi e lavorativi hanno cambiato radicalmente anche l’ambiente nel quale le famiglie crescono i propri figli. Il tipico bambino di oggi cresce con un fratello o da solo, in una nuova periferia priva di radici e senza rapporti stretti con altri bambini e altre famiglie. Cresce essenzialmente solo con la madre, a cui è totalmente delegata la responsabilità di allevamento del figlio. Il padre è spesso assente e non condivide le responsabilità connesse alla crescita del figlio (Fogel, 2007).
Nonostante il sistema tradizionale ie della famiglia allargata caratteristico della società rurale giapponese del passato sia andato distrutto a seguito dell’industrializzazione, la stretta divisione dei ruoli è rimasta radicata all’interno della moderna famiglia giapponese ( Dziesinski, 2003; Zielenziger, 2006; Fogel, 2007). Il compito del padre è quello di lavorare duramente , questo è reso possibile dal fatto che ci si aspetta che la moglie si occupi dell’educazione del figlio, della casa e delle esigenze del marito, il quale è completamente esentato da questi obblighi, compresa la crescita dei figli. I padri giapponesi di oggi “utilizzano” le proprie mogli in modo da potersi completamente dedicare al lavoro (Fogel, 2007). Molti di loro sono tanshin funin, uomini che lavorano in un’altra città, a volte in un altro paese, e lasciano le proprie famiglie a casa, per consentire alle mogli di prendersi cura dell’educazione del figlio, senza che la loro carriera scolastica debba essere compromessa da un trasferimento (Fogel, 2007). Sembra dunque che diverse norme culturali , dalla forte pressione intorno all’educazione del figlio, alla cura esclusiva dei figli da parte delle madri, incentivino il fenomeno dei tanshin funin. Tanshin funin rappresenta l’ultima forma di esercizio della paternità in Giappone attraverso il sacrificio della stessa per prendersi cura della famiglia e assicurarle un benessere economico (Fogel, 2007) La crisi economica, la paura di perdere il lavoro e la competitività hanno prodotto un cosmo maschile alieno da tutto il resto; le amicizie tra gli uomini sono esclusivamente tra colleghi, la comunicazione è quasi sempre ristretta al mondo del lavoro, e non vi è energia per occuparsi di altre attività (Zielenziger, 2006). È la moglie ad assolvere tutti i compiti inerenti alla famiglia: dalla gestione della casa e dei figli alle relazioni sociali. Questo meccanismo produce dinamiche intrafamiliari disfunzionali, con effetti negativi all’interno della famiglia: il marito quando è in casa diventa un estraneo ingombrante che infastidisce. Tutto ciò ha portato all’individuazione di una nuova sindrome definita RHS, Retired Husband Sindrome, che affliggerebbe le mogli di uomini in pensione, le quali non riescono più ad accettare la presenza del marito, poiché durante la solitudine durata anni hanno oramai sviluppato uno stile di vita indipendente che il marito non conosce (Ricci, 2008). Situazioni di questo tipo hanno provocato numerosi casi di depressione, alcuni casi di suicidio12, e un aumento dei casi di divorzi in coppie sposate da più di venti anni13 (Ricci, 2008). Non solo la generazione degli adolescenti sembra star vivendo un momento di crisi esistenziale, ma anche quella dei loro padri, che percepiscono di trovarsi in una situazione senza via di uscita, con un carico di doveri non delegabili. La crisi della generazione dei padri si riflette nell’alto tasso di suicidi che si verificano ogni anno, e, anche se la generazione degli adolescenti non ne è esente, le forme di resistenza espresse dai ragazzi Neet, Freeter e hikikomori, manifestano un desiderio di mutamento e una richiesta di aiuto. La società, nonostante supporti lo stile di vita maschile di completa dedizione al lavoro è consapevole del fatto che nelle cause che inducono a hikikomori ci sia l’assenza di una figura paterna. Hikikomori rappresenta l’espressione di un conflitto tra il non riuscire a diventare come i propri padri o il non voler affatto esserne simili, e l’aspettativa interiorizzata di emulazione dello stile di vita del padre, promosso dalla società.
Ogino Tutsushi (in Ricci, 2008) sociologo dell’Università di Shizuoka, ritiene che la figura del padre sia fondamentale. I ragazzi hikikomori sentono il peso della posizione professionale del padre, per quanto egli sia assente rimane una presenza forte. Il padre che non c’è è quello che combatte per il lavoro, quello che non ha amici ma soltanto colleghi di lavoro, e che continua a esercitare una profonda, seppur silenziosa, influenza sui figli attraverso il modello che propone (Ogino,2004). La dignità di questi uomini è data dalla loro posizione socialmente competitiva. Secondo Ogino (2004), gli hikikomori, quando entrano in questo percorso di aspettative temono di non essere all’altezza del padre, di non arrivare allo stesso livello dei compagni, di non essere come gli altri e di non essere in grado di raggiungere i traguardi del padre (Ogino, 2004). Così scelgono di ritirarsi, covando rabbia verso queste figure paterne, al cui confronto si percepiscono sconfitti, ma di cui allo stesso tempo non condividono lo stile di vita, che appare loro privo di senso. Gli hikikomori da un lato vedono un padre forte, con una posizione sociale importante, ma provano rabbia perché allo stesso tempo sono la causa del loro stato. Inoltre i padri sono il simbolo della società che vogliono evitare, perché la rifiutano nella sua interezza. Questi padri sono spesso molto duri e repressivi ,non sono in grado di comunicare con i propri figli e inculcano in loro quello che è il loro ideale di vita, essere diligenti ed avere successo nel lavoro. Vi è inoltre una grande difficoltà di comunicazione da parte di questi padri chiusi nel loro mondo; agli incontri per genitori di ragazzi hikikomori difficilmente prendono la parola e hanno estrema difficoltà a parlare della propria esperienza e a comunicare ad un livello profondo sentimenti ed emozioni (Zielenziger, 2006).
Come mette in evidenza Ricci (Ricci, 2008) nel suo libro attraverso le parole di Saito Satoru, medico psichiatra che si occupa delle patologie da stress, non è solo la mancanza fisica del padre a contribuire al problema. Oltre all’assenza fisica c’è un’eccessiva presenza della figura patriarcale che il padre rappresenta. Questa presenza si esercita in famiglia in maniera forte e silente, portando ad esempio i successi del padre e la sua dedizione al lavoro, con lo scopo di creare pressioni sul figlio affinché assimili gli stessi valori e li realizzi allo stesso modo del padre (Ricci, 2008). Anche la madre contribuisce a questo progetto promuovendo l’immagine paterna e supervisionando il percorso del figlio. Inoltre, a causa dell’assenza fisica del padre, la madre sviluppa un desiderio eccessivo di vicinanza del figlio; il rapporto simbiotico così creato non può essere disturbato dall’intromissione del terzo paterno; si sviluppa in questo modo un attaccamento in cui vengono eliminate le normali distanze, che ha come risultato un esagerato narcisismo del figlio, abituato a essere protetto dalle attenzioni del rapporto di amae (Fogel, 2007).
Attorno alla figura del padre, presenza silenziosa ma severa, si sviluppa un percorso perverso di aspettative, consolidate da un sistema sociale che opera in maniera identica e si fonda sul medesimo sistema di aspettative, gestite attraverso la pressione sociale e familiare. Al fine di raggiungere questo obiettivo, sia in famiglia che nella società, vengono praticate la gentilezza, la premura e l’attenzione verso gli altri a discapito di sé stessi. I figli, specialmente maschi, devono abituarsi a ciò che la società richiede loro, assumendo il ruolo che risponde alle aspettative (Jones, 2006); affinché questo avvenga è necessario che il controllo non sia esageratamente forte e che la pressione sia invadente ma gentile e costante. Questo sistema è ad alto rischio di esplosione, come si può notare dai frequenti fenomeni di bullismo, dalla violenza e dalle numerose espressioni di disagio giovanili.
I padri giapponesi appaiono uomini “ malati di virilità”. In Giappone l’uomo virile è definito da quell’ insieme di valori culturali rappresentati da un uomo calmo e concentrato sul lavoro, che controlla i propri sentimenti e non fa trapelare le proprie emozioni, poco comunicativo e dal quale la famiglia dipende sia economicamente che psicologicamente (Ricci, 2008). Oberato dal superlavoro, il padre giapponese, sembra aver interrotto i propri rapporti intimi all’interno della famiglia, ed essersi rinchiuso in un mondo contraddistinto dall’incapacità di esprimere le emozioni, in cui il controllo delle emozioni si è trasformato in una perdita di esse (Masataka, 2002).
Questa malattia di virilità viene trasmessa ai propri figli, i quali in seguito alla pressione silenziosa esercitata su di loro, fanno propri i valori sostenuti dai padri, compreso l’annullamento dei propri stati emotivi. I ragazzi hikikomori, sembrano rifuggire dalle emozioni non controllabili rifugiandosi nelle proprie stanze, ma ,allo stesso tempo, facendo ciò esprimono una critica sociale, rifiutando il modello promosso dai propri padri. Da questo punto di vista hikikomori potrebbe essere allo stesso tempo un modo per tentare di riappropriarsi in un contesto sicuro di quel mondo di emozioni con il quale non è stato loro insegnato a confrontarsi, cercando di recuperare la propria autenticità soffocata.
Note
3 Si vedano il documentario di Francesco Jodice “ Hikikomori” realizzato nel 2004 e il documentario realizzato da Philip Rees nel 2002 per la BBC.
4 Mami Suwa, Kunifumi Suzuki, Koichi Nara, Hisashi Watanabe e Takahashi costituiscono il gruppo di ricerca.
5 Il caso qui riportato è contenuto nel testo di S. Tamaki, (1998) Ritiro Sociale, PHP Shinsho, Tokyo
6 Dato apparso su un articolo del quotidiano giapponese Asashi Shimbun il 22.05.06.
7 Not in Employment, Education or Training.
8 Free Arbeiter, coloro che fanno lavori saltuari o part time.
9 Zielenziger, (2006).
10 Caso riportato da Zielenziger (2006).
11 Citato da Barr (2000).
12 Nel 2005 in Giappone ci sono stati circa 35.000 casi di suicidi di cui 16.000 di uomini in età compresa tra i 40 e i 60 anni e 8000 di giovani in età compresa tra i 20 e i 35 anni.
13 Tratto da un intervista allo psicologo Nobuo Kurokawa, comparsa sul Corriere della Sera del 6.11.2005.