Sarebbe dovuta durare solo tre giorni ma si protrae da oltre un anno il conflitto che vede protagoniste la Russia e l’Ucraina.
E con l’aumentare delle vittime anche gli impatti causati da questi eventi sulla psiche della popolazione mondiale sono cambiati.
Com’è cambiato il modo di affrontare la realtà?
Sicuramente, già provati dal clima che il covid 19 e dalla conseguente pandemia con i relativi lockdown che si sono osservati, grosso modo, in tutto il mondo, la popolazione europea si è vista sopraffatta dagli eventi con un tendenziale aumento della diffusione di sensazioni di fragilità e vulnerabilità che hanno investito tutte le fasce d’età. Infatti, rispetto ad un anno fa, in cui l’idea di avere il conflitto alle porte di Europa, quasi in casa potremmo dire, sembrava non potesse mai arrivare a toccare le nostre vite; oggi, la paura di essere coinvolti e di perdere la vita, di conseguenza, sono diventate parte di ognuno, a prescindere dalla nazionalità di appartenenza. Riuscire a immaginare il dolore che altri esseri umani hanno provato già un anno fa e cui continuano, ancora oggi, ad essere sottoposti, è sinonimo di indebolimento della forza mentale che non ci consente più di essere distaccati.
Ancora oggi «C’è chi rimuove la gravità della questione e chi la esaspera, immergendosi completamente nel flusso delle notizie, con il rischio di rimanere anestetizzati, specie quando scorrono sui feed dei social come se fossero pubblicità» sostiene la psicologa Martina Ferrari.
La specialista continua affermando anche che spesso manifestiamo questa sofferenza come fatica emotiva che «Si presenta, innanzitutto, con un umore altalenante, molto nervosismo e una sensazione di non farcela a fare le cose quotidiane, anche le più semplici, dallo svegliarsi la mattina alle attività domestiche. Neanche le litigate sono quelle di una volta, come se non ne valesse più la pena. Tutti sintomi di un sovraccarico, con la difficoltà oggettiva di elaborare eventi traumatici continui all’interno di un così lungo periodo sconvolgente». Fatica, perchè effettivamente alle persone sembra di aver compiuto sforzi esorbitanti senza aver effettivamente mosso un dito; emotiva, perché lo sforzo fisico si tramuta facilmente in sforzo mentale, e quando la mente ci impone di non poter fare altro di diverso dal nulla, allora si innesca un meccanismo difficile da distruggere, che si riflette nella mancata forza di volontà di alzarsi e prendere in mano la propria vita.
Come la guerra ha influito sui disturbi mentali della popolazione più giovane
La situazione è preoccupante in Ucraina: dall’inizio del conflitto causato dall’invasione della Russia, sarebbero circa 10 milioni le persone affette da disturbi mentali, di cui circa 4 milioni in condizioni moderate o gravi. Le notizie sulla guerra impattano soprattutto su bambini e adolescenti. «Per tutti essere esposti a narrazioni e immagini con un alto potere perturbante è causa di una traumatizzazione secondaria rispetto al trauma vero e proprio di chi vive certe situazioni sulla propria pelle» conferma il dottor Alberto Pellai, psicologo dell’età evolutiva. «Si innesca un’identificazione che catapulta in un’attivazione emotiva molto intensa, che fa sentire minacciati e vulnerabili» prosegue l’esperto. «I bambini sono più sensibili perché non hanno strumenti cognitivi capaci di produrre pensieri protettivi come quelli legati alla geolocalizzazione. Aiutarli è possibile? Sì, e lo specialista fornisce alcuni suggerimenti in merito: l’azione principale dev’essere dosare il genere di suggestioni a cui hanno accesso; gli adulti devono rimanere base sicura rispetto alle reazioni impaurite dei piccoli e farli sentire protetti, sia quando parlano di certi temi in casa sia con le loro espressioni, proprio perché in una situazione avversa, vedere un adulto competente che non perde il controllo è fondamentale per il bisogno di attaccamento e di sicurezza dei piccoli.