In ogni angolo dei media si sente parlare di guerra e di venti di guerra. Conflitti che sembrano lontani nel tempo e nello spazio si avvicinano ai nostri confini del sé. Dovrebbero scattare tutti gli allarmi super-egoici e in parte è così. La maggioranza delle persone è terrorizzata dall’idea di ripercorrere l’incubo vissuto dei nostri nonni o genitori. Atrocità, devastazione, deprivazione e morte. Eppure…
Durante le classiche conversazioni occasionali, sembra prendere piede un pensiero preoccupante. Uno di quei pensieri difensivi, proiettivi, quelle via di fuga da un reale inafferrabile, spento, grigio, vuoto e alienante.
Un pensiero che vede nel conflitto la possibilità di “reset” per una società percepita come patogena.
Questa duplice visione riflette lo stato attuale della salute mentale collettiva, messa a dura prova da ansia, stress e isolamento sociale (Smith et al., 2020).
Una società illusoria
Il nostro DNA è sovrapponibile per un 96% a quello dei primati (Genome.gov, 2024), loro vivono nell’habitat per quale si sono evoluti e adattati, noi, ci siamo creati un ambiente sociale, economico e digitale che si avvicina maggiormente a una gabbia mentale che a un paradiso terrestre.
Un essere umano, mediamente, non sopravviverebbe più di qualche mese in natura senza cinture di Gucci, Gocciole Dark e iPhone 15 Pro Max.
Siamo sempre più deboli, sedentari, atrofici, asociali e indifferenti alla vita. Costantemente immersi in un sonno verticale, non sentiamo più gli odori, i sapori, la fatica di una corsa, il corpo del partner. Senza Instagram, YouTube e TikTok nemmeno le funzioni fisiologiche avrebbero senso. Non vi risuona qualcosa? Quanto siamo distanti dalla Matrix di Neo?!
Una via di fuga dalla guerra per la mente
La nostra mente ci sta dicendo: mi sento in un vicolo, sto soffocando, forse il mio canto libero, alle volte, potrebbe essere un reset. Direi non certo un pensiero felice.
Da Mad Max, a Fallout, cinema e serie TV stanno anticipando scenari post-apocalittici. Visioni di barbarie e anarchia in Mad Max. Ipotesi antropologiche di società apparentemente perfette in Fallout, dove tutto è artificiale ma funziona, dove si lotta uniti verso il sogno di ripristinare la superficie terrestre polverizzata dalle radiazioni nucleari.
La mente, se percepisce un pericolo prossimo, attiva i meccanismi di emergenza. Ormai l’allarme è talmente alto che l’ansia è diventata una compagna di vita, soprattutto per le nuove generazioni. Loro si difendono con il distacco, l’indifferenza e la perdita di speranze nel futuro. In altri salgono questi pensieri disfunzionali.
Sfruttare il momento
Dal punto di vista costruttivo si potrebbe sfruttare la situazione a nostro vantaggio. Se davvero dovessimo prepararci ad affrontare un conflitto, un primo passo sarebbe quello di eliminare il superfluo, tagliare tutto il lavorio della mente, indirizzare le risorse al concreto, al pragmatico. L’attività fisica diverrebbe una necessità e la salute ne gioverebbe. Quanti farmaci potrebbero essere eliminati con una sana routine. Le fonti di dopamina a basso costo, come quella distribuita dai social network, verrebbe drasticamente ridotta. Le relazioni sociali riprenderebbero sulla spinta di una naturale collaborazione, indirizzata al raggiungimento di un obiettivo comune. Sono solo alcune considerazioni. Lascio al lettore le altre.
Guerra e reset
In sintesi, sebbene l’idea di una guerra possa essere vista da alcuni come un “reset”, le sue conseguenze distruttive e traumatiche la rendono ovviamente una soluzione inaccettabile. Il fatto stesso che possa scaturire questo pensiero lascia non poche preoccupazioni.
Ci siamo infilati in un vicolo, nella speranza che non sia cieco, tanto vale sfruttare la situazione e prepararsi al meglio, alla peggio avremmo costruito una sana routine quotidiana.