Vaso di Pandora

Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare con famiglie di pazienti adolescenti

Il Gruppo di PM (GPMF) si apre con la presentazione delle varie persone presenti, tra cui alcune famiglie di pazienti adolescenti. Interviene un signore che parla delle difficoltà che hanno con il proprio figlio maggiore. Ci dice che è considerato molto creativo e che, perciò, sopporta con difficoltà le regole che gli vengono imposte nei luoghi dell’apprendimento.

Ad un certo punto, la moglie scoppia a piangere al cospetto di tante famiglie portatrici di una sofferenza in casa, come loro.

Il figlio, anche in seguito a questa sua diversità, ha tentato il suicidio.

Ora, loro sono qui per cercare di capire.

Avrebbero piacere che venisse anche lui, ma questo, per ora, non avviene.

Il racconto delle famiglie di pazienti adolescenti

Interviene un’altra madre che esprime considerazioni critiche nei confronti della dott.ssa del DSM che ha detto alla figlia che lei (la madre) si comporta come un muro di gomma con la propria figlia.

La signora pretenderebbe un atteggiamento più serio nei propri confronti e che non fossero espressi giudizi sommari, anche perché la situazione non è molto conosciuta. Che, forse, sarebbe più giusto sentire anche il punto di vista della madre, oltre che della figlia.

Pian piano, emerge un quadro drammatico in cui la donna rivela di essere sottoposta ad angherie prevaricatrici da parte della figlia in forma sistematica.

Parla una figlia, l’unica presente, che difende la dottoressa e consiglia di fare attenzione perché, secondo lei, la figlia della signora potrebbe tendere a manipolare la situazione secondo i propri comodi.

Interviene un’altra signora per raccontare che lei era dislessica, ma che, ai suoi tempi, nessuno lo sapeva. Lei aveva difficoltà nel leggere e nello studiare in genere e ciò veniva visto esclusivamente come il segno della sua poca voglia di darsi da fare, come se lei fosse soltanto infingarda. Racconta di avere passato tutta la vita per cercare di recuperare, da parte degli altri, in particolare dalla madre, il riconoscimento che le cose erano molto diverse da come apparivano e di esserci riuscita molto parzialmente.

La signora parla di sé come figlia, come per provare a far capire alla madre critica e intransigente, intervenuta prima, che non è che tutti i torti stanno da una parte e tutte le ragioni da un’altra, tra madre e figlia, che forse le cose sono più complicate.

Interviene di nuovo la signora più problematica, almeno per oggi.

Mantenere l’assetto del gruppo

In realtà cerca continuamente di interloquire, in relazione a qualsiasi altro intervento e si fatica non poco a mantenere l’assetto del gruppo, fondato sul susseguirsi di interventi prenotati.

La signora si lamenta anche di questo, che lei non sa come parlare e che gli operatori dovrebbero dirle come comportarsi, visto che lei fa parte di una famiglia che ha avuto un primo figlio a cui è stata diagnosticata la leucemia a otto mesi e che è vissuto fino a nove anni. Poi hanno avuto altri tre figli: la prima, che porta lo stesso nome del figlio morto, che vuole fare quello che vuole e arriva a picchiarla. Parla del fatto che lei e suo marito non puniscono e non toccano i figli per punirli. Che, viceversa, ci parlano. Ma che loro non li ascoltano.

Lei vorrebbe dire dei no, ma il marito non ci riesce. Lui ha perduto i genitori nel giro di un anno, a dodici anni ed è come se non riuscisse a vivere il rapporto con i figli oltre quella data.

Interviene lui, per dire che la figlia lo sospinge verso la parete e gli fa fare quello che vuole e che lui non ce la fa a contrastarla. Anche il secondo figlio inizia a fare lo stesso e il terzo commenta che a casa loro: ”È tutto un casino”. Dice di sentirsi un “vinto”, di non riuscire a dire dei no.

Il problema di porre dei limiti nelle famiglie di pazienti adolescenti

A questo punto, durante il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare con famiglie di pazienti adolescenti, un operatore interviene e dice che gli sembra che la figlia ribelle stia ponendo il problema dei limiti, che forse, in questa famiglia, tutto quello che è accaduto ha portato i genitori a trascurare questo aspetto.

Interviene un’altra madre per dire che lei aveva subito angherie pesanti, soprattutto dal padre, in merito alle sue richieste di poter crescere e che si è resa conto di essere stata troppo debole con la figlia, che ora ha dei problemi. Dice di essere lì proprio per cercare di capire dove ha sbagliato.

Che ha l’impressione, ora che con la figlia ci parla di nuovo, che sia lei che le chieda di dirle dei no.

È interessante che si ponga da un lato e dall’altro.

Riprende la parola la madre intransigente, con un tono differente: dice che lei li avrebbe sempre detti dei no, ma che il marito non ci è mai riuscito e chiede l’aiuto di tutti, con molto calore, senza distinguere tra pazienti, genitori e operatori. Ci avviamo alla conclusione.

Le conclusioni

Questo gruppo dice una cosa molto seria, a mio parere: che la questione di come fronteggiare le difficoltà crescenti degli adolescenti non si affronta cercando i segni della debolezza, acquisita per il Covid, per essere divenuti troppo dipendenti dal “giudizio della rete”, etc. etc., nella mente degli adolescenti, ma nei rapporti che intrattengono gli adolescenti con i genitori, con i coetanei, con gli insegnanti, etc. etc.. Insomma con tutti i personaggi reali che fano parte della loro vita.

Due modi per mettere a confronto i giovani e i loro genitori

A questo proposito, vorrei segnalare una piccola differenza. Ci sono due modi principali per mettere a confronto i giovani con i genitori, i coetanei, gli insegnanti, etc.:

  1. Il ricorso alle “reti dialogiche”, che si ispirano all’Open Dialogue, cioè all’orientamento sistemico-relazionale, puntando tutto sul tentativo di “parlare di nuovo tra componenti diverse”. Cioè basando l’intervento sulla capacità di riattivare la comunicazione tra componenti che non si parlavano più abbastanza; l’ipotesi consiste nel fatto che se si riattiva o si attiva per la prima volta il dialogo, la situazione prende una piega completamente diversa: ci si rende conto che i comportamenti verbali e non verbali non sono mai azioni dovute alla patologia che sta dentro una persona, ma sono sempre reazioni ad azioni compiute da altri, viste o non viste, anche da chi le ha fatte, non solo dagli altri;
  2. L’utilizzo di “gruppi di psicoanalisi multifamiliare”, in cui oltre che all’orientamento sistemico, si fa ricorso a quello derivato dall’uso dei gruppi psicoanalisi multifamiliare, propone una presa in considerazione della situazione di difficoltà nella comunicazione e, quindi, di riuscire a comprendersi o meno all’interno dei rapporti interpersonali in relazione sia allo stato delle cose, cioè delle relazioni, attuale, sia di come questo stato di cose si è venuto a determinare e perché, nel tempo, cioè attraverso l’evoluzione della storia delle relazioni tra le persone, sia della generazione attuale che di quelle precedenti. In particolare, facendo riferimento all’ipotesi esplicativa secondo cui il disagio provato attualmente e inspiegabilmente, oggi, da quel giovane, dipenda da problematiche irrisolte avvenute in esponenti delle generazioni precedenti e “trasmesse inconsciamente” a esponenti di quelle successive, fino alla loro “esplosione”.
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