Abbiamo cominciato ad utilizzare questa esperienza nel 2019, con incontri a cadenza mensile, viste le disparate afferenze delle nostre famiglie che in alcuni casi vengono da lontano.
Questo è un modo di lavorare diverso che si occupa non solo dei pazienti ma dei pazienti insieme ai loro familiari, sono gruppi piuttosto grandi, composti da tante famiglie oltre che dagli operatori. Siamo arrivati a costituire gruppi di 45 persone in alcuni incontri.
Quello che abbiamo visto negli anni precedenti era che molte famiglie rimanevano inalterate, nonostante il lavoro sulla famiglia singola e con i gruppi per i familiari, non venivano trattate altrettanto quanto i pazienti e dunque quando i pazienti migliorati tornavano a casa, con molta facilità si ricreavano situazioni di crisi antecedenti.
Le particolarità di questo gruppo, oltre che per la partecipazione “globale” della sfera intorno al paziente, è legato al fatto che si crei un ambiente di lavoro molto naturale in cui per certi versi si riproduce la modalità di funzionamento dei rapporti tra le persone, un ambiente di lavoro molto più vicino alla realtà che non in qualsiasi altro contesto terapeutico.
In questi gruppi, la naturalezza è uno degli obiettivi da raggiungere.
Questo modo di lavorare si basa sull’idea che all’inizio non esiste una differenziazione, nel senso che si parte da una situazione simbiotica nella quale non c’è distinzione tra la madre e il bambino. Cioè che nel “processo di differenziazione progressivo”, qualcosa si è inceppato, la fase di separazione-individuazione non si sia messo in moto o si sia interrotta. Garcia Badaracco parla infatti “identificazioni patologiche e patogene” e del fenomeno delle cosiddette “interdipendenze” cioè il figlio generalmente rimane legato ad uno o ad entrambi i genitori e finisce più per corrispondere alle aspettative di questo genitore da non riuscire a costruire una propria personalità, scatenando situazioni di “crisi”. La crisi viene però pensata come un tentativo di innescare un processo di individuazione che in realtà fino a quel momento il paziente non aveva avuto la capacità di innescare.
Il gruppo si basa molto su questa idea dove i pazienti siano abitati dai genitori e che i genitori siano abitati dai figli; quindi il processo che bisogna innescare è far sì che ognuno rientri dentro di sé e si occupi soltanto di sé e che quindi questi legami così intensi si affievoliscano mano a mano che avviene la partecipazione al gruppo.
Durante l’ultima seduta di Terapia Multifamiliare il padre dice: “ricordo come dopo il primo incontro mi sono ritrovato di fronte ad uno specchio, ed è stato tutto molto più chiaro. Ho iniziato a pensare come la mia rabbia nei confronti del mondo, delle situazioni che ho vissuto, di sfiducia, di continua ricerca di un colpevole, La sfiducia nel sistema, ponendomi io come invincibile. Ed ero invincibile anche agli occhi di mio figlio, lui faceva esattamente quello che facevo io(…) L’accettazione dell’ingresso in comunità ha posto una distanza e mi rendo conto mi abbia restituito il mio ruolo di papà, essendo più vero, reale agli occhi di Ba.
Il nostro rapporto ora è più disteso non abbiamo più paura di doverci difendere, non dobbiamo più difenderci da nessuno, riusciamo a stare insieme in una maniera più normale, facciamo delle cose semplici, normali che prima erano impensabili.
L’aspetto interessante è che questo fenomeno reciproco perché in effetti poi i pazienti tendono ad abitare nei propri genitori e quindi ci si trova di fronte, nel momento della crisi, a delle situazioni nelle quali entrambi si comportano l’uno nei confronti dell’altro con lo stesso stile.
Si tratta di innescare processi che permettano al genitore di non seguitare a vivere al posto del figlio, avvicinandosi a quella che Badaracco definisce “virtualità sana”.
S.:“Io ho riprovato di riportarla sempre su quella strada, però non ascoltando mai le sue richieste, non dando valore, perché magari per me non erano importanti, invece per lei si. Per me lei è sempre stata incapace di scegliere anche le cose più banali, sono sempre stata io a dirigerla. In passato ho dato importanza a cose di poco conto, sempre a causa delle mie idee su di lei, invece le ho trasmesso solo sfiducia non dandole la possibilità di sperimentare da sola”
B.: “ Io sono con i miei figli molto chioccia, se da un lato ne avevano bisogno dall’altra li ho disarmati, non gli ho permesso di creare, probabilmente quei rapporti conflittuali, anche come modo di esprimersi”
Ci sono famiglie che hanno partecipato al gruppo senza mai parlare e dopo mesi iniziano a dire, e ci si accorge che hanno fatto un cambiamento notevole e cosi anche il loro figlio, perché hanno avuto la possibilità di rispecchiarsi all’interno di altre dinamiche di altre famiglie e hanno attivato un processo di cambiamento, “un cambiamento silenzioso”.
Esiste un altro momento del gruppo importante; all’interno dell’ interdipendenza genitore-figlio, nel momento in cui il figlio sente che anche il gruppo sostiene i propri genitori, allora inizia a parlare, a dire una serie di realtà che prima non poteva dire.
“I genitori di G. hanno in primo confronto circa un momento per loro molto critico: la telefonata al 112 e l’intervento delle FFAA. Durante il racconto di B., G. fa una smorfia e bisbiglia qualcosa; la madre gli chiede di condividere con il gruppo il suo pensiero:
B.: “Che c’è G.? Vuoi dire qualcosa?”
G.: “Perché hai chiamato il 112?”
B.: “Perché era un momento difficile e l’unico modo per poter riprendere il controllo era quello.”
G.: “Non dovei chiamare, non avrei fatto niente. Ero arrabbiato ma non avrei mai fatto del male a nessuno col coltello.”
B.: “Era qualcosa che non potevamo sapere, avevamo paura…”
Padre di T.: “Non è facile trovarsi, in situazioni simili, dover abbandonare il proprio posto di lavoro e tornare a casa, cercare di mantenere una lucidità. T. stava tenendo in ostaggio la famiglia con un coltello”
Questo è un momento fondamentale, è il momento in cui la persona si rende conto che è un altro separato dal genitore.
Questo momento di crisi interviene quando il figlio “incontra” delle parti sue che non sapeva di avere e che entrano in contrasto con il modo più accondiscendente alle aspettative, legate ai bisogni, del genitore/i . La crisi è anche un opportunità oltre che l’ emersione di una sofferenza dolorosa, il cui significato può, però essere recuperato.
E’ un momento delicato della terapia perché la persona può sentirsi disorientata perché deve scoprire una “virtualità sana” che non ha mai vissuto o l’ha dimenticata. In questa fase è stato fondamentale supportare sia il ragazzo che la famiglia, ma anche il gruppo si sente questo compito.
Nel gruppo si fanno ipotesi generali, non interventi diretti, non dialoghi così che chiunque possa riflettere sulla propria storia personale. Badaracco lo definisce” il potere dello sguardo”, che permette di dar voce a quel cambiamento silenzioso.
Un altro aspetto evidente della potenzialità del gruppo è che può Permettere la costituzione di transfert multipli, cioè che un genitore riesca a parlare non con il proprio figlio ma con il figlio che appartiene ad un altro nucleo (sicuramente con Parti omologhe o simili al proprio figlio).
La mamma di M. si rivolge al padre di E.: Come sei riuscito a superare la distanza messa da tua figlia?
Lui risponde: non è stato facile, io c’ero, ero presenza, non assenza.
La mamma di Br. (lui non partecipa mai ai gruppi, saluta la mamma e scende alla fine), chiede ad E.:
Come ti sei sentita a non parlare così tanto con tuo padre?
E.: non lo consideravo più mio padre dopo quel che aveva fatto ( bloccata fisicamente perché minacciava la madre con un coltello in attesa delle FF.OO.) Non avevo capito, ora mi sono tatuata suo nome.
Mi piace molto questo resoconto-riflessione di Carola Battaglia, anche per la sua forma “informale”. Perdonatemi il gioco di parole. I contenuti sono stati colti in maniera semplice e brillante e vengono raccontati in maniera altrettanto semplice e brillante. Come dice Carola, riprendendo JGB, la PM si avvicina, più delle altre forme di intervento a quello che accade nella vita: per questo e’ importante cogliere gli aspetti che più ci intrigano, come fa Carola, usando lo stile proprio del dialogo tra le persone e non dei lavori paludati.
Complimenti e grazie