Vaso di Pandora

Freud vede “Cinquanta sfumature di grigio”

LA SPINTA A INSTAURARE UN RAPPORTO SADO-MASO NASCE DALL’INFANZIA E DALL’ANSIA DI CONTROLLARE E POSSEDERE LA PROPRIA MADRE. IL BAMBINO DEVE DIMOSTRARE A SE STESSO DI AVERE IL COMANDO

Come spesso accade, Freud ricopre, per antonomasia, un mondo vasto e complesso, la psicoanalisi, di cui sicuramente ha gettato le basi, ma che nel tempo si è arricchita di pensieri e correnti differenti, che hanno ampliato, se non modificato, concetti e dinamiche freudiane.
È il caso di Jessica Benjamin, psicoanalista e femminista che, in “Legami d’amore”, il saggio sui rapporti di potere nelle relazioni amorose, sottolinea come la riflessione freudiana sull’autorità «ha luogo in un mondo esclusivamente maschile.

La lotta per il potere si svolge tra padre e figlio; la donna non vi ha parte alcuna, se non come ricompensa o perché induce alla regressione, oppure come terzo vertice di un triangolo. Non c’è lotta tra uomo e donna in questa storia; anzi, la subordinazione della donna all’uomo è data per scontata, invisibile». Ma la teoria femminista «non può accontentarsi di conquistare per le donne il territorio degli uomini». Il femminismo, quando incontra la psicoanalisi, ha un compito più complesso: trascendere la contrapposizione. Perché questo avvenga è però necessario che la psicoanalisi rinunci a quelle certezze che, con mano maschile, ha scritto sul corpo delle donne. Rinunci alla polarizzazione di genere, «origine profonda del disagio della nostra civiltà»; apra la gabbia teorico-evolutiva della «scissione tra un padre simbolo di liberazione e una madre simbolo di dipendenza», perché per i bambini di entrambi i sessi tale scissione significa che «l’identificazione e l’intimità con la madre devono essere barattate con l’indipendenza» (e dunque «diventare soggetto di desiderio comporta il rifiuto del ruolo materno», se non della stessa identità femminile). Impari a pensare alla madre «come soggetto a pieno diritto» e non «semplice prolungamento di un bambino di due mesi». La vera madre non è semplicemente oggetto delle richieste del suo bambino, ma «è un altro soggetto il cui centro indipendente deve restare al di fuori del bambino se dovrà sapergli concedere il riconoscimento che cerca». Solo se la madre diventa soggetto, e non solo oggetto d’amore del bambino, prenderà vita quel reciproco riconoscersi che per tutta la vita nutrirà le relazioni d’amore.
La coppia, al di là di mode, culture, epoche storiche, fattori socio-economici, dimostra che essa è un fenomeno universale e fondante la realtà umana perché prototipo universale è il rapporto madre-bambino. Ma come le modalità di questa diade possono essere diverse e non sempre sane, così diverse possono essere le modalità relazionali della coppia adulta. Naturale, intrinseca tendenza dell’uomo a trasformare la fisiologica dipendenza in una sempre maggiore autonomia che, nell’alternanza di rapporti e di separazioni, conduce l’essere umano a costituirsi sempre più come individuo.
Fondamentale la capacità di saper cogliere, dietro le apparenze, la realtà psichica dell’altro, perché è da questa capacità che nasce il desiderio o il rifiuto. Su questi fondamenti si costituisce la coppia che non è già la somma di due metà che, nate da una primigenia perduta unità (il mito dell’androgino), debbano disperatamente ritrovarsi e ricongiungersi, bensì è l’incontro e la scelta di due individui diversi, che nell’amore costituiscono qualcosa di molto di più della semplice somma delle due unità. Coppia non è accoppiamento.
Noi nasciamo come dividui ovvero persone che, come indica l’etimologia (la radice indoeuropea vihd o veid significa ‘mancanza’ o ‘perdita’, da cui il termine vedova), hanno bisogno, per completarsi, di un’altra persona.
Ma il bisogno è l’antitesi della scelta.
La sessualità dell’uomo non è legata ad un’emergenza interna, perché non è legata né all’estro né alla riproduzione. La sessualità umana, proprio perché si è liberata da ogni condizionamento biologico dovrebbe comportare sempre la ricerca di un altro soggetto che stimoli il rapporto. Erotismo e seduzione costituiscono un ponte, a volte fragile e sottile, tra due diversità che si cercano per strutturare una relazione d’intimità. Il desiderio sessuale quindi si attiva ed ha bisogno di un mondo di fantasia e di memoria.
Pertanto dobbiamo concettualizzare la sessualità come attrazione, come “tensione verso”. Non spinta endogena, ma ricerca attiva.
Questo non toglie che il desiderio, originatosi da un bisogno primario – quello dell’accudimento – pur nell’evoluzione di quel bisogno, mantiene delle tracce che ne rappresentano un punto debole: perché rivelano l’incompletezza esistenziale dell’essere umano che ha “naturalmente” bisogno dell’altro per esistere e per costituirsi.
Il desiderio contrassegna questa specificità umana: l’importanza dell’altro, la necessità che ci sia comunque un altro con il quale rapportarsi. La sessualità umana quindi ha un percorso estremamente complesso: nata originariamente dal bisogno e dalla dipendenza dall’altro, si tramuta sempre più in desiderio di rapporto con l’altro e poi tramite l’erotismo e la seduzione, come immaginario e gioco relazionale, giunge al rapporto sessuale.
L’erotismo è la complessa costellazione psichica della sessualità: è il desiderio sessuale a livello dell’immaginario. La seduzione è l’espressione comportamentale che deriva dall’erotismo, ma si attiva nella realtà di un rapporto: è il gioco, l’attesa, il rinvio, la sfida, con cui si segnala la propria presenza ed il proprio desiderio cercando di attivare nell’altro una dinamica equivalente.
L’originaria passività-dipendenza man mano si trasforma nel gioco del rapporto in compartecipazione: ovvero il bambino sente, pur nell’ovvia diversità con l’adulto, di avere un Io; non è quindi oggetto rispetto ad un soggetto, ma riesce a percepire una propria autonomia (frutto delle separazioni) che costituirà la base dell’identità. Inoltre il desiderio, sempre più differenziandosi dal bisogno, comporterà la possibilità di differire il raggiungimento del piacere. Il riconoscimento reciproco non solo rende consapevoli dell’investimento libidico dell’altro, ma anche ci fa sentire soggetti capaci di attivare e suscitare nell’altro il desiderio. È questa la dinamica dell’intersoggettività.
La dinamica del rapporto interumano è sempre oscillante tra il desiderio dell’autoaffermazione e la necessità del riconoscimento dell’altro. È importante comprendere entro quali limiti è possibile questa oscillazione per non stagnare nella posizione del dominio-controllo o della passività-dipendenza.
Il desiderio assoluto d’indipendenza dell’autocoscienza si scontra con il bisogno del riconoscimento. In questo incontro tra autocoscienza e l’altro, scatta il bisogno del riconoscimento e questo porta inevitabilmente alla costituzione della dinamica schiavo-padrone. L’altro non serve per essere conosciuto e per mettersi in rapporto, ma esclusivamente utilizzato allo scopo del proprio riconoscimento. Ma quando questo accade il padrone avrà bisogno sempre dello schiavo per essere riconosciuto come padrone, e diventerà alla fine schiavo del suo schiavo.
Quest’assolutezza, la sensazione di essere uno (“la mia identità è del tutto indipendente e coerente”) e solo (“Non c’è nulla fuori di me che io non controlli”) è la base del dominio e del rapporto schiavo-padrone.

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