Vaso di Pandora

Follonica, rinchiudono due nomadi nel gabbiotto dei rifiuti e pubblicano il video su FB

Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 23/02/2017 
I fatti nudi e crudi: due o forse tre dipendenti del Lidl di Follonica rinchiudono in un gabbiotto, di quelli utilizzati per stoccare cartoni o altri scarti del supermarket, due donne Rom sorprese a frugare tra i rifiuti.

I due dipendenti poi filmano la scena delle due donne una delle quali urla a squarciagola poi si riprendono con lo smartphone mentre se la ridono e deridono le due donne. Pubblicano il filmato su facebook dove ottengono il plauso di migliaia di followers e per finire il signor Salvini leader della Lega Nord esprime tutto il suo sostegno agli “eroici” dipendenti e gli offre pure assistenza legale visto che nel frattempo sono stati denunciati per sequestro di persona. Puntuale ovviamente il comunicato dell’azienda che si dissocia dall’operato di questi “eroi” moderni.
Non risulta che si siano dissociate invece le destre “de noantri” quelle ex-post fasciste che dir si voglia. Li vedo già i “Fratelli d’Italia” tutti, riuniti in coro che dietro pressione di qualche giornalista zelante si affrettano tutti indignati a ripetere che “quelli non c’entrano niente col fascismo…
Trattasi soltanto di una bravata, di cattivo gusto, eventualmente, ad opera di poveri mentecatti”. E sia! “Continuiamo così, facciamoci del male”. Andatevi a rileggere i commenti di Saviano sull’accaduto che sono illuminanti e a cui ci sarebbe veramente poco da aggiungere se non qualche idiosincrasia tutta mia personale che spero abbia almeno il pregio di stimolare altre riflessioni più autorevoli sulla sostanza.
Dunque, che dire? Forse è sempre il solito dubbio che affiora dai tempi del liceo: il fascismo sarà stato un inaspettato bubbone in un corpo profondamente sano come proferiva Benedetto Croce oppure pensava male Salvemini quando diceva che si tratta di una sciagurata costante antropologica del nostro popolo (ma solo del nostro?) che si perpetua intatta subdolamente e si ripete con diverse definizioni nelle varie epoche? Per quanto mi riguarda la seconda che ha detto Salvemini. Perché quello di Follonica è un caso, l’ennesimo, di fascismo brutale e stupido e nient’altro, secondo me. Non sono molto imparziale nei giudizi, lo ammetto, ma arriva il momento che bisogna fare una scelta e senza tanti infingimenti.
Saviano si appella alla scuola di Francoforte o all’analisi della psicologia delle masse di Freud per tentare di capire che cosa passa per la testa di certi individui. A me più semplicemente non va di psicologizzare tutto né tanto meno di psichiatrizzare ogni fenomeno sociale (perché temo si finisca per fornire un alibi a certi “eroi” post-moderni). Tuttavia, se proprio bisogna appellarsi a qualche richiamo illustre mi andrei a rileggere il breve saggio di Jean Améry (1977) “Che cosa vuol dire fascismo” che secondo me risulta tutt’ora illuminante per spiegare il retroterra culturale e ideologico da cui muovono tipi come “Salvini” in cui “l’elemento rivoluzionario va sempre di pari passo con quello reazionario”.
È rivoluzionario nel senso che egli fa appello da buon fascista alle “masse proletarie e piccolo-borghesi” frustrate e arrabbiate e impaurite e dall’altro  invoca un ritorno a fantomatici valori fondamentali dell’ “essenza italiana” anzi padana, meglio. Il buon moderno fascista è esattamente come quello antico. Il suo è un rimbalzare continuo tra “ereditarietà genetica, autostrade informatiche e kitsch patriottardo”. Perennemente oscillante tra “mistica e conto corrente, fra zen e fidi bancari”. Ed è in questa antinomia insanabile tra rivoluzionario e reazionario, tra moderno e antico che “Salvini”  e i suoi sostenitori si consumano perennemente e degradano la coscienza politica nazionale.
Salvini come prototipo del leader fascista, il “rivoluzionario conservatore” che immola i sacri valori di  “verità, libertà, diritto, ragione… all’ istanza ben superiore della violenza, dell’ autorità, della dittatura come atto di fede… in modo da equivalere al nuovo ritorno dell’ umanità verso situazioni e condizioni di teocrazia medievale”. È proprio vero che col fascismo non abbiamo mai realmente fatto i conti. E da bravi inventori del fascismo non abbiamo mai smesso di tributargli un ampio e duraturo consenso e le tracce rimangono tutt’ora profonde nella nostra società.
Ma chi è il fascista oggi? Perché è troppo facile gettarla addosso tutta a “Salvini” la responsabilità di certo decadimento morale. Egli è pur sempre un tramite perché, bisogna ammetterlo, il  fascismo purtroppo senza il sostegno più o meno diretto di larghi strati di popolazione proletaria e piccolo-borghese non potrebbe mai attecchire, verosimilmente e in nessun luogo.
Ad esempio, Donald Trump è un fascista? Si può dire fascista l’oscuro manovratore finanziario che movimenta enormi capitali più o meno leciti  sulla pelle di intere categorie di lavoratori ignari?  È fascismo quello di certi oscuri tiranni sovvenzionati dal capitalismo democratico che sfruttano risorse umane e ambientali per arricchirsi impunemente?
È fascista colui che inquina la terra e avvelena il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo? È fascista chi sfrutta i lavoro altrui e senza le giuste garanzie? Le mafie sono una forma di fascismo? È fascismo quello di chi pubblica senza consenso o a loro totale insaputa filmati di donne ritratte nella loro intimità? È fascista l’amante abbandonato/a che sfregia con l’acido il volto dell’ex compagna/o? È fascista il carabiniere che pesta a morte in carcere il tossicodipendente? Sono fascisti i tassinari che si danno allo sciopero selvaggio? È fascista il sindaco che scende tra i tassinari e dice “sono, siamo con voi, ovviamente”? E’ fascista chi crede nell’esistenza di razze superiori e inferiori, e sostiene la pena di morte e discrimina qualunque comportamento o attitudine che non sia di comprovata e rigorosa eterosessualità? È fascista chi si risciacqua la bocca con la categoria concettuale di “popolo” e solo per poterti sputare addosso ogni sorta di nefandezza? È fascista il monopolio dei mezzi di informazione? È fascista utilizzare il proprio potere economico e mediatico per asservire praticamente mezzo parlamento ai propri interessi economici finanziari e giudiziari?  È fascista il medico obiettore di coscienza che in barba ad una legge dello Stato si rifiuta di eseguire l’interruzione di gravidanza? È fascista il medico che si rifiuta persino di praticare l’ “aborto terapeutico”? E la diagnosi prenatale è una roba fascista o riformista? È più reazionario affidare le eventuali malformazioni del nascituro al destino o alla casualità come accadeva un tempo o scegliere deliberatamente per una vita handicappata? È fascista certa tv spazzatura dove si fa impunemente strame di sentimenti ed emozioni? È fascista certa tv che con profondo istinto sciacallo specula sulle disgrazie altrui e imbastisce ridicoli e oltraggiosi processi mediatici? Certa tv sembra davvero aver impostato un regime che non usa il manganello o l’olio di ricino, ma l’arma sottile del degrado: non c’è sofferenza, ma un lento e inesorabile decadimento cognitivo, emotivo e morale. È fascista chi non trova di meglio che spettegolare sul collega, sul vicino di casa, sul compagno di scuola o che deride crudelmente l’altro al solo scopo di attentare alla sua autostima e nella speranza di risollevare la propria insidiata dalle tante frustrazioni esistenziali e quotidiane? È fascista chi uccide animali per “sport”? Chiunque abbia subìto a scuola atti di bullismo o di bieca discriminazione potrebbe dire di aver sperimentato il fascismo sulla propria pelle? Ognuno può arricchire la lista a seconda delle proprie avversioni o antipatie.
Questi dipendenti del Lidl hanno almeno un’ideologia che li guida nell’azione? Voglio dire a parte i fasti e i nefasti mussoliniani che li ispirano, eventualmente, possiedono una dottrina sistematica che in qualche modo ne giustifichi le azioni ai propri occhi almeno? Secondo me non hanno nemmeno un partito preciso cui fare riferimento, ma soltanto un “vago sistema referenziale impregnato di idee associative insieme indefinite ed emozionali”.
Oggi il fascismo moderno non ha bisogno (non sempre) di presentarsi rigorosamente con due facce: quella estremista e violenta tipo black bloc (secondo me sono fascisti) o quella di certa tifoseria calcistica delinquente ad esempio da una parte e quella moderata del leader in doppiopetto dall’altra. Oggi il leader reazionario indossa la semplice e più proletaria felpa di varie fogge e colori (o “la canotta bianca e mangia pane con burro e alici” (Bossi docet)) e incita e giustifica le azioni violente ed estremiste senza pudore perché il suo scopo è alimentare “l’autocompiacimento frondista e puerile di sentirsi pochi ma giusti, sconfitti ma indomiti, soli spiriti liberi in un desolante scenario di piaggeria e conformismo”. Il fascista è sempre un “eroe che ama la guerra” o in mancanza che gioca con le armi vere o finte. E nella disperata e infinita ricerca di un “prolungamento fallico” si attacca alla consolle degli ultramoderni videogiochi dove tutti sparano a tutti con le più sofisticate armi e dalle più grandi dimensioni, preferibilmente. Occhio mamme e papà che se i nostri figli sono troppo attaccati a questo genere bellico di svago “piccoli fascisti crescono”.
Ascolti Salvini e subito ti viene in mente l’Ur-Fascista, il fascista eterno quello le cui caratteristiche tipiche non passano mai (Umberto Eco). Alcune di queste peculiarità descritte da Eco si attagliano particolarmente al caso di Follonica soprattutto se pensiamo all’ennesimo utilizzo improprio della tecnologia e di facebook dove gli eroici dipendenti hanno pubblicato il video che immortala orgogliosamente le gesta appena compiute. Allora il fascista moderno non è “impaziente di morire” come l’Ur-Fascista descritto da Eco, piuttosto egli sembra “smanioso di emergere” anche a costo di sacrificare la dignità altrui o di apparire patetico.
Sarà per questo che tanti, troppi, riempiono di selfie che li ritraggono in pose da divi del cinema i social network o whatsApp o sentono il bisogno di testimoniare ossessivamente su facebook con foto e video ogni scampolo della propria vita privata per quanto insulsa sia e in tutte le pose immaginabili? Nemmeno il kamasutra offre un tale ventaglio di posizioni. Il culto del corpo e della propria immagine o semplicemente insicurezza e ricerca disperata di un’identità che assumono tutti i contorni del delirio narcisistico? L’Ur-Fascista è sempre intorno a noi talvolta in abiti civili talvolta si nasconde dietro un nickname di Facebook. O magari i “fascisti embrionali”, per così dire, con sommo sprezzo del ridicolo vanno in tv perché “è arrivata posta per te”? Non coverà in queste personalità il germe del fascismo o meglio non è più facile che attecchisca in loro? Insomma, si tratta di una predisposizione, ma nulla garantisce che svilupperai la malattia del fascismo, ovviamente. C’è una relazione tra l’attitudine eccessiva a semplificare la realtà, il pensiero sincretico (e la sua degenerazione nel pensiero magico) e certa tendenza fascista?
Secondo Eco l’Ur-Fascista è un “sincretista”. Egli tendenzialmente mette in atto un processo per mezzo del quale gli eventi che appaiono anche superficialmente simili vengono ritenuti collegati da una relazione causale. Concretamente questo tipo di persona non tollera le contraddizioni quindi necessita di riportare all’unità in qualche modo elementi diversi o palesemente incompatibili con la propria dottrina. Alla fine la contraddizione sarà sanata e l’ideologia di riferimento è salva. La complessità è aborrita come la peste.
Questa attitudine lungi dall’essere semplice espressione di economia cognitiva o manifestazione di creatività diventa un modo per chiudersi a riccio e per rifiutare gli altri e i saperi diversi dai propri. Al contempo si spegne la capacità critica e l’esercizio del dubbio.
Cosa centra questo con il fascismo e il caso di Follonica? Spero di riuscire a spiegarmi.
Intanto ancora Eco ci dice che – l’Ur- Fascista parla la neolingua. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su di un lessico povero o su una sintassi elementare al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico -. Dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di nuova lingua che prendono la forma innocente di un popolare talk show –,  o di un’app per la messaggistica e il trasferimento voce o dati, aggiungerei io.
Il linguaggio utilizzato sui social network normalmente è veramente povero nella sintassi e nella grammatica più in generale. Diciamocelo francamente molti dei frequentatori di internet non sanno scrivere (e verosimilmente non sanno nemmeno “parlare”) e difficilmente, nemmeno a scuola, entrano in contatto con la scrittura. Magari diventano miliardari programmando un app, ma non azzeccano un congiuntivo che sia uno. Conoscono i linguaggi della programmazione, ma non l’organizzazione della sintassi di madre lingua. Errori di coniugazione e declinazione sono a volte davvero impressionanti soprattutto se pensiamo che una gran parte dei fruitori di programmi di messaggistica o i frequentatori di social network sono adolescenti in età scolare, quindi. Le chiacchierate chat lines avvengono in “tempo presente”. Uno scrive l’altro risponde quasi immediatamente, dipende dalla velocità della connessione. Non c’è tempo per lunghi testi e l’altro rischia di annoiarsi se aspetta troppo. Non c’è modo, né voglia di articolare un pensiero, questo è un costante “cogitatio interruptus”, il pensiero che singhiozza senza posa: emoticons, parole abbreviate, senza accenti e senza vocali, né apostrofi, né punteggiatura. Più che un linguaggio sembra un codice fiscale per l’accesso semplificato, anzi per l’irruzione proditoria, nello spazio dell’altro/a. Più che esprimere un pensiero si tratta di nasconderlo.
Esistono siti che propongono guide complete alle abbreviazioni per sms e programmi per Istant Messenger. Tutto è già predisposto. Nulla è lasciato all’iniziativa personale. E non è un caso che la comunicazione scritta via chat stia tanto dilagando a scapito della comunicazione verbale: forse per nascondere una spaventosa povertà del vocabolario personale? Ho visto persone che preferivano chattare su whatsApp invece di parlarsi direttamente e nonostante stessero fisicamente l’uno di fronte all’altro comodamente seduti. D’altra parte incapacità di scrivere e di parlare sembrano correlate.
Tutto deve essere veloce, semplice e insulso. È triste ammetterlo, ma non è che abbiamo molte occasioni per scrivere (sms a parte). Personalmente e nonostante abbia superato da un pezzo l’adolescenza devo confrontarmi sempre (anche mentre scrivo questo articolo) con tutte le difficoltà che comporta lo scrivere un pensiero in “bella forma”, e soprattutto che sia capace di trasmettere “esattamente” quello che intendo dire (per evitare equivoci e fraintendimenti, ma non c’è alcuna garanzia in merito se pensiamo che una volta scritto il testo non appartiene più al suo autore, ma all’interpretazione del lettore. Quindi, non c’è scampo).
Allora il problema dell’uso delle nuove tecnologie della comunicazione non attiene soltanto alla sacrosanta alfabetizzazione informatica della popolazione. Dietro l’uso di computers e smartphones e delle nuove reti di comunicazione si celano questioni ben più importanti: quello, ad es., della democrazia di un paese che si definisce civile e quello che viene chiamato “l’analfabetismo di ritorno”.
Riguardo alla democrazia l’essere umano non può usare i mezzi di comunicazione come qualcosa di neutrale. –  La natura umana si modifica in base alle modalità con cui si declina tecnicamente -. E quindi sarebbe inevitabile (se prendiamo per buono il presupposto precedente) che i nostri pensieri, le nostre opinioni possano venire influenzati e manipolati anche attraverso l’implementazione di software (attraverso ciò che i programmi consentono di fare) che il mercato ci mette a disposizione. Concordo che il modo in cui è strutturato un software rispecchia non soltanto la competenza tecnica esibita dal suo inventore, ma in qualche modo anche il suo pensiero, i suoi scopi (non necessariamente benigni) l’ideologia e, oserei dire, la sua visione del mondo. Se un programma per il modo in cui è strutturato mi costringe a fare le cose in un modo piuttosto che in un altro o mi nega la possibilità di fare qualcosa semplicemente perché il suo costruttore non ha implementato una certa funzione o istruzione, ecco che la mia libertà, la mia creatività vengono inesorabilmente limitate. Si prefigura quindi una società spaccata tra una borghesia che “usa programmi”, cioè utenti passivi di tecnologia e dall’altra parte i ceti più deboli che non sapranno nemmeno come usare questi programmi? E poi l’elite quella che costruisce e diffonde questi software. L’elite che comanda, in definitiva.
E qui che il problema della democrazia e quello dell’analfabetismo di ritorno, cioè la perdita delle abilità di lettura e di scrittura per mancanza di esercizio, si sovrappongono. In una scuola come quella italiana un elevata percentuale di alunni usciti dalla scuola media è classificato “analfabeta” (il termine indica chi legge sillabando, non riesce a comprendere il significato complessivo di un testo e sa compiere solo operazioni aritmetiche elementari, non sa mettere insieme una frase scritta grammaticalmente corretta ed è quindi incapace di dare un senso logico alle frasi scritte, di esprimere un pensiero scritto che sia trasmissibile e comprensibile agli altri). I docenti universitari recentemente hanno lanciato un allarme denunciando che i propri studenti (universitari) non sanno scrivere e commettono errori da bambini della scuola elementare.
Di certo l’utilizzo maldestro di computers e di smartphone soprattutto non farà che aggravare questa condizione di ignoranza. Si sta già verificando con i computers e smartphones quello che da anni accade con la televisione. Le giovani generazioni che oggi frequentano le scuole elementari, medie e superiori trascorrono molte più ore dinnanzi alla TV e ai videogiochi e in chat che a scuola o negli sport o nello studio a casa nel solo periodo della scuola di base. Il compito degli educatori diventa allora non soltanto insegnare i contenuti delle discipline, ma parallelamente rieducare dei cervelli condizionati e incapaci di operare delle scelte in un mondo complesso come è quello in cui quotidianamente ci muoviamo. Un mondo pieno zeppo di mezzi di comunicazione ma dove non abbiamo niente da comunicare. Il computer e lo smartphone stanno diventando semplicemente la televisione del futuro super-accessoriata e con l’aggravante di essere pure interattiva? Televisione “spazzatura”, facebook, videogiochi, programmi di Istant Messenger, rischiano di diventare espressione di un “uso passivo” di mezzi di comunicazione e di tecnologia. Il linguaggio limitato e il pensiero “sincretico” che ne conseguono potenzialmente, scaturiscono essenzialmente dal “carattere iconico e simultaneo della visione/ascolto che non coinvolge il pensiero logico, ma l’emozione, prevalentemente”.
Il rischio è che un uso improprio della tecnologia e dei mezzi di comunicazione produca come effetto il disuso del carattere  sequenziale dell’intelligenza. Un ampia letteratura ci informa che la tv e i videogiochi e i mezzi moderni di comunicazione informatica possono condizionare il pensiero e trasformarsi in formidabili persuasori occulti. Il condizionamento non avviene nel senso che tv e computer ci dicono cosa pensare, ma nel senso che modificano radicalmente il nostro modo di pensare (e quindi alla fine indirettamente ci dicono cosa pensare in realtà), trasformandolo “da sequenziale, analitico e strutturato in casuale, aggregativo e destrutturato” (olistico-sincretico).
 Lo scaltro imbonitore politico-mediatico o anche certe multinazionali dell’informazione potrebbero avere tutto l’interesse a coltivare un tipo di pensiero sincretico in modo che i cittadini non abbiano opinioni indipendenti, ma che siano apatici, obbedienti, subordinati. Ma un pensiero critico, quello che ti permette di sottrarti alle lusinghe del tuo furbo interlocutore, quello che ti consente di parlare e di scrivere cioè di esprimere le tue ragioni e di difenderle, necessita di un pensiero sequenziale proprio quello che certa tv e l’uso passivo dell’informatica e il suo linguaggio limitato rischiano di seppellire per sempre). Un utilizzo passivo della tecnologia quindi, rende elevatissimo il costo “dell’analfabetismo di ritorno”, in termini di emarginazione lavorativa, di mancata crescita personale, di passività nei confronti dei fenomeni sociali e politici. Ed è qui allora che alligna e si diffonde subdolo il fascismo; e l’Ur-Fascista di turno trova l’humus ideale per fare proseliti. Come antidoto all’Ur-Fascismo alcuni invocano l’apprendimento a scuola di linguaggi informatici di base come Html, Xml o Java script (non semplicemente gli editor ma i linguaggi veri e propri); altri più “modestamente” propongono la stesura di una nuova “Dichiarazione universale dei doveri dell’uomo” che statuisca ciò che “non puoi fare, anzi che non devi fare”. Pura utopia? E tutto questo nel bel mezzo di un mondo in cui l’aspirazione al benessere globale e lo sviluppo scientifico e tecnologico rischiano di alimentare sempre più spesso il capitalismo selvaggio e l’individualismo consumistico? Un mondo in cui l’attenzione è sempre più rivolta verso diritti di natura economica più che alle libertà fondamentali? Difficile a farsi! Ma come si fa ad elaborare una carta dei doveri e a ridefinire le responsabilità in una società ormai multietnica e politeista (seppure questo dato di fatto inequivocabile continui ad essere negato da più parti) ma dove sono assenti istanze comuni riconosciute e approvate? Come definire doveri e responsabilità che facciano presa sulla logica e sulle dinamiche di un sistema che di per sé è amorale e se segue una morale è soltanto per poterla trasgredire impunemente? L’Ur-Fascista “Salvini” ha già vinto, dunque?
– …Le cose cadono a pezzi, il centro non può tenere.
     Pura anarchia dilaga nel mondo
     La marea insanguinata s’innalza e dovunque
     La cerimonia dell’innocenza è annegata.
    I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori
   Sono pieni di intensità appassionata… –
(William Butler Yeats, tratto da “La seconda venuta”)
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