Articolo apparso su “La Repubblica” il 07/02/2023
Quello che leggo nell’articolo è lo specchio di una mattina qualunque davanti a scuola di Tommy. Genitori da una parte che controlliamo mail, messaggio, si freme per il suo della Campanella… poi liberi, ai nostri uffici, in riunione su zoom, Meet, Cisco…
Però la merenda genuina la compriamo, li salutiamo i nostri bimbi… vanno a scuola, dove tutto è un divieto… attenzione però perché dietro le quinte, con una app il genitore sa se è entrato, voti, compiti, argomenti lezioni… già mi fermerei ad una riflessione ma vado avanti.
Ai miei tempi i “localizzatori” erano il panettiere, il bar, la signora dietro le persiane e il tabacchino/cartoleria. Ricordo ancora un giorno in cui mio padre venne da me e mi disse ” come hai fatto a spendere 50 mila lire in fogli protocolli??” Mi compravo le sigarette di nascosto… ma dopo un po’ i miei localizzatori hanno valutato, forse, che stavo esagerando.
Ora è diverso, ma della tecnologia se ne deve fare risorsa… farsi coinvolgere ed essere preparati e informati. Sono successi suicidi in alcuni ragazzi per copiare una challanger su Tik tok e devi poter spiegare ai ragazzi il rischio, perché comunque dobbiamo essere consapevoli di lasciare un po’ di rischio per promuovere il meccanismo di crescita, se non funziona, tornano indietro e il genitore dev’esserci a gestire la frustrazione che una stupida app o gioco ha nostro figlio.
Personalmente preferisco gli spioni di quartiere che sono persone e che in caso di bisogno sono punti di riferimento, non localizzatori!
Ero in montagna e Tommy voleva fare uno scherzo telefonico con una app. Ferma tutto!!! lo scherzo telefonico nasce dalla fantasia e dall’improvvisazione. E abbiamo fatto alla vecchia maniera. Tommy capisce la contraddizione di sostituire un pensiero con una app. Ovviamente ci hanno riconosciuto subito!
Conoscere, ma sapere che non abbiamo bisognò di un sostituto, la differenza sta lì.
Questa ricerca non è certamente la prima sul tema. La letteratura scientifica è ricca di contributi, basati su vaste casistiche o anche su metaanalisi, che evidenziano una correlazione fra uso smodato dello smartphone e una serie di patologie mentali e perfino (segnala qualcuno) neurologiche: ansia, disagio sociale, ipersensibilità, bassa autostima, difficoltà di comunicazione.
Questi specifici aspetti, così spesso segnalati, credo portino a ritenere che l’abuso di smartphone sia da considerare un effetto di un preesistente disagio mentale, piuttosto che una causa di patologia; si potrebbe considerare l’abuso una sorta di protesi, di maldestro tentativo di supplire a una difficoltà di comunicazione, un tentato rimedio alla solitudine. Pertanto la descritta nomofobia (no mobil fobia) potrebbe esser considerata una forma di angoscia abbandonica sollecitata dalla perdita di contatto con lo strumento.
Naturalmente, nessuno può escludere che l’abuso crei un feedback negativo, fonte di ulteriore aggravamento.
Da parte di una psichiatria DSM-orientata, si tende a dare uno statuto diagnostico a queste condizioni collocandole fra le dipendenze, a fianco del gioco d’azzardo compulsivo e degli abusi di sostanze; è dubbio che tale approccio classificatorio sia utile a condizioni che possono essere di grave sofferenza, addirittura col manifestarsi di fantasie di suicidio.
Certo sarebbe sbagliato e vano prendersela con lo smartphone, che si è irreversibilmente insediato nel nostro modo di vivere e comunicare. Il suo uso smodato è una richiesta di aiuto, che richiede una risposta di tipo terapeutico.