Vaso di Pandora

“Felicità”: analisi psicologica del film della Ramazzotti

Il film “Felicità” di Micaela Ramazzotti rappresenta un viaggio profondo all’interno delle dinamiche familiari e psicologiche.

Protagonista della storia è Desirè, una truccatrice cinematografica che, nonostante il suo carattere ingenuo e disponibile, è vittima delle manipolazioni del padre e del compagno. Attraverso una narrazione intensa e dettagliata, il film esplora le conseguenze emotive di tali relazioni, mettendo in luce il percorso di Desirè verso la consapevolezza e l’indipendenza.

Desirè: una protagonista fragile e determinata

Desirè, il cuore pulsante del film, è una donna che ha sempre messo gli altri al primo posto, spesso a scapito del proprio benessere. La sua ingenuità la rende una preda facile per chiunque voglia approfittarsi di lei, come il padre, che la ricatta emotivamente, e il compagno Bruno, un professore universitario che la fa sentire costantemente inadeguata.

Desirè, interpretata magistralmente dalla stessa Ramazzotti, rappresenta la lotta di molte donne che cercano di trovare la propria voce in un mondo che le opprime.

La figura paterna: un’oppressione costante

Il confronto con la figura paterna è centrale nel film. Il padre di Desirè, interpretato da Max Tortora, è un personaggio meschino che sfrutta la figlia senza scrupoli. Le sue richieste di denaro e i finti malori sono strumenti di manipolazione che lasciano Desirè in una costante stato di ansia e colpa.

Questa dinamica ricorda quella presente in “Anche libero va bene” di Kim Rossi Stuart, dove la figura paterna opprime il figlio, creando un parallelismo interessante tra i due film.

Bruno: il narcisista manipolatore

Bruno, interpretato da Sergio Rubini, è un professore universitario che rappresenta l’altra faccia della medaglia nella vita di Desirè. La sua presenza è altrettanto soffocante quanto quella del padre, ma in modo diverso. Bruno è narcisista, egocentrico e fa sentire Desirè costantemente inferiore.

La sua frase “Mi cammini sempre davanti” sottolinea la sua incapacità di vedere Desirè come un’individualità separata, accentuando il senso di isolamento della protagonista.

Il confronto con la commedia all’italiana

Ramazzotti recupera elementi della commedia all’italiana, in particolare attraverso il personaggio del padre, che richiama le figure meschine interpretate da Alberto Sordi. Questo approccio, pur nella sua leggerezza apparente, permette di mettere a nudo le dinamiche familiari e sociali con una precisione disarmante.

La scena in cui Giovanni Veronesi e la troupe cinematografica si prendono gioco del padre di Desirè, truccandolo e costringendolo a esibirsi, è un esempio lampante di come la tragedia e il ridicolo possano convivere sullo schermo.

L’eredità di Paolo Virzì e il tema della salute mentale

Il film “Felicità” eredita l’immediatezza e la sincerità dei personaggi interpretati da Ramazzotti nei film di Paolo Virzì, come in “La prima cosa bella” e “La pazza gioia”. Il tema della salute mentale è centrale anche in “Felicità”, ma qui la narrazione perde a tratti di lucidità.

Le scene che ritraggono il fratello di Desirè, Claudio, chiuso in macchina, e il modo in cui viene rappresentato il suo volto, mancano di quella profondità che ci si aspetterebbe da un tema così delicato. Tuttavia, la fotografia di Luca Bigazzi riesce a rendere visibile lo squallore dell’universo familiare di Desirè, con esterni grigi e interni freddi e distaccati.

Il viaggio verso l’indipendenza

La svolta nella vita di Desirè avviene quando il fratello Claudio entra in una profonda depressione.

È in quel momento che Desirè capisce che deve prendere in mano la situazione e allontanare il fratello dalla famiglia che ha sempre trascurato i suoi problemi.

Questo percorso verso l’indipendenza è il vero cuore del film, un viaggio emotivo che porta Desirè a confrontarsi con i propri limiti e a scoprire una forza interiore che non sapeva di avere.

Il significato profondo di “Felicità”

“Felicità” non è solo un film sulla lotta contro le manipolazioni familiari, ma anche una riflessione profonda sul significato stesso della felicità.

Desirè, nel suo percorso, scopre che la felicità non è qualcosa che si ottiene soddisfacendo le aspettative degli altri, ma qualcosa che si trova dentro di sé, nell’accettazione dei propri limiti e nella capacità di dire di no.

Questo messaggio, universale e potente, risuona con forza nel cuore dello spettatore, rendendo “Felicità” un’opera intensa e indimenticabile.

Un’analisi delle dinamiche familiari

Il film di Ramazzotti offre uno spaccato delle dinamiche familiari spesso nascoste e trascurate. La relazione tra Desirè e il padre, così come quella con Bruno, mette in luce come le relazioni tossiche possano influenzare profondamente la psiche di una persona.

La forza del film risiede nella capacità di Ramazzotti di rappresentare queste dinamiche con autenticità e sensibilità, senza mai cadere nel melodrammatico.

Il valore dell’autenticità

“Felicità” è una riflessione sull’autenticità, sia personale che artistica. Ramazzotti, nel suo debutto alla regia, riesce a portare sullo schermo una storia che è al contempo personale e universale, mostrando una sensibilità rara e una profondità emotiva che colpisce. Il film ci invita a riflettere su quanto sia importante essere fedeli a sé stessi, nonostante le pressioni esterne, e a trovare la propria strada verso la felicità.

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