Tornate indietro di un paio di stagioni e immaginatevi un tardo pomeriggio d’estate sulla riviera ligure. Il sole ancora generoso, la passeggiata animata da bambini, vacanzieri e anziani, il tutto incorniciato da una colonna sonora fatta di vociare, onde che s’infrangono sulla riva e musica diffusa dai diversi stabilimenti balneari puntualmente intervallata dal tintinnio di tazzine da caffè e bicchieri da cocktail.
Ad un tratto lo sguardo vi cade su quattro ragazzi (tre maschi e una femmina), età presunta tra i 15 e i 20 anni, seduti fronte mare e chini su altrettanto quattro smartphone di ultima generazione, assorti e silenziosi da fare invidia ai frequentatori della Trinity College Library di Dublino. Come direbbe il giornalista Antonio Lubrano con la sua frase tormentone…“la domanda sorge spontanea”…perché?! L’ora si prestava maliziosamente per fare un bagno e tentare i primi timidi approcci lontano da sguardi indiscreti, per organizzare una pizza in spiaggia con altri amici, per fantasticare sulle vacanze, l’Interrail, l’Erasmus, gli ultimi acquisti della Sampdoria, sostanzialmente per raccontarsi, fantasticare, ascoltare e assaporare in presa diretta il gusto della vita. I drammi, dubbi, le intime confidenze ai miei tempi sarebbero finite dentro il famigerato “diario” che in tempi non troppo lontani trovava posto tra i regali della prima comunione arricchito (tendenzialmente per le bambine) da un rassicurante e luccicante lucchetto – altro che password. Il fenomeno sembra chiamarsi Fear of missing out, il timore di essere esclusi da un fluire h24 di momenti, opportunità, eventi, ed emozioni da non perdere, dove la discriminante sembra non lasciare dubbi…o sei IN o sei OUT, o sei un tipo giusto o sei uno sfigato. Ma sono dentro o fuori a che cosa? Non vorrei cadere nel tranello dello scarto generazionale che pontifica sulla propria esperienza e che guarda con sufficienza le giovani leve, ma come direbbe mio nonno “…chi nu ghe semmu…”. Mi chiedo: è possibile assaporare pietanze leggendo libri di cucina? Certamente si ma il sapore non si discosterebbe da quello della carta e dell’inchiostro. Battute a parte, uno sguardo nostalgico nel mio passato fa magicamente apparire poster ai muri del Che Guevara, Bruce Lee, Jiimi Hendrix, la chitarra nell’angolo della stanza, in quello opposto un bilanciere e dei manubri, e sulla scrivania in mezzo ai libri il foglio illustrativo del famigerato Topexan! lo stermina brufoli. Il quadro poco rassicurante, tratteggia paure, dubbi e convinzioni a mio avviso del tutto simili ai quattro ragazzi che sfortuna loro sono capitati sotto il mio sguardo ma il modo e le condizioni per gestire questi aspetti è indubbiamente cambiato rispetto agli anni 80. Il brufolo esploso il giorno prima di una festa di compleanno era un vero e proprio dramma, l’astigmatico si trasformava in quattrocchi, qualche chilo di troppo “nascosto” rigorosamente da maglie abbondanti che cadevano sotto i fianchi (altro che slim-fit) battezzavano lo sfortunato in ciccione/a. Una prima differenza sono i tempi, si ma non intesi come epoche (ai miei tempi…) ma esattamente come il fluire dei secondi, minuti, ore ed ecco che la profezia di Nicholas Negroponte si è avverata (“…lo spazio fisico sarà irrilevante, il tempo giocherà un ruolo differente…”). Il tempo che ci concediamo per riflettere sull’esperienza è fondamentale, avvia un processo capace di metabolizzare gli eventi e digerirne/elaborarne i singoli aspetti traendone possibili e auspicabili insegnamenti. Al tempo va sommata la capacità di tollerare un certo livello di solitudine e quindi di separazione dall’altro, di attesa, di silenzio, di ascolto di se stessi. Oggi il tempo per dare vita al processo di elaborazione è oggettivamente sottratto e condizionato dai nuovi mezzi di comunicazione (facebook – twitter, ecc. ) e dai nuovi linguaggi (instagram). I simpatici compagni di scuola per rinnovare insulti relativi al mio astigmatismo dovevano aspettare almeno l’indomani e la domenica anche per loro (e per me) era festa! Oggi in pochi secondi l’eco mediatico ti espone letteralmente alla merce di migliaia di “followers” che con la discrezione e la sensibilità che li contraddistingue leverà scudi per far sì che il tutto si propaghi oltre oceano. La natura umana sommata a nuovi strumenti di comunicazione può costituire una miscela esplosiva a vari livelli. Il peso delle offese può diventare intollerabile, un’immagine sottratta furtivamente con il cellulare si presta per ironizzare un difetto fisico e la mancanza del tempo per ricomporre la giusta distanza da questa esperienza può portare le persone più fragili anche a togliersi la vita (“…9 febbraio ’14 – Una giovane ha perso la vita domenica scorsa, lanciandosi dal tetto dell’ex hotel Palace di Cittadella (Padova). Sul noto social network Ask.fm aveva confidato il suo disagio esistenziale, ricevendo però soltanto incomprensione e offese…”). Con questo ovviamente non si condanna lo strumento ma il suo uso. Nell’epoca caratterizzata dall’immagine, mostrarsi è fondamentale quanto avere al proprio seguito un sostanzioso e meglio quantificabile pubblico (il numero di AMICI), osservare “forse” non gratificherà quanto partecipare ma alimenterà l’idea di non essere escluso incrementando a fasi alterne dosi di ammirazione, invidia, indifferenza ma non ultimo il desiderio di diventare finalmente “protagonista” digitale in questa rappresentazione del mondo che modifica in modo significativo in tutti noi il modo di fare esperienza nel mondo. Concludendo, credo portino poco lontano riflessioni sull’etica della rete e suoi derivati. Come per tutti i fenomeni legati alla dipendenza, l’unico modo certo per “vincere” è quello di non giocare in modo particolare quando si è predisposti (genetica, familiarità, ecc.), in caso contrario si può sempre lavorare per sostituire il tipo di dipendenza con…diciamo qualcosa di qualitativamente meno ingombrante. Trasgredire con moderazione odora di ossimoro e ad un esame più attento è evidente come questi fenomeni si nutrono e prosperano (con un pizzico di perversione) grazie alla dipendenza che creano. Salutando i nostri quattro giovani amici, non suggerirei un uso moderato dello strumento (15 minuti, tre volte al dì dopo i pasti) ma rifletterei sulle parole di Paolo Bonolis quando conduceva il gioco dei pacchi su RAI 1: “ricordatevi che ogni scelta implica una rinuncia”. Che cosa vi state perdendo?! In alternativa comprerei il necessario per una pasta ai frutti di mare per cinque persone, tanto da levare il gusto di…inchiostro.
[L’articolo fa riferimento a “Fomo, quell‘ansia di non essere social” 07/02/2014, Secolo XIX]
l’esperienza personale, il contatto con il proprio dolore o piacere vissuto tutto sommato in solitudine, visto che anche il telefono ai miei tempi di bambina era non accessibile salvo controllo, sembra riapparire salutare.. non lo so. Il brutto di allora era anche la sorgente di nuovo. ( di nuovo Luca, un’altra generazione). Non conosceva quella generazione la capacità di mescolarsi, era interdetto il mescolamento tra ambienti, un protocollo guidava più o meno consapevolmente il comportamento permesso, portava a diverse esperienze. Trasgressione, ribellione o accondiscenda poi esplosa in altri conformismi. Il 68 la violenza l’ideologia o il successo il denaro la corruzione il furbo il furto.
Insomma direi che guardiamo quello che succede, ma sopratutto in noi. In me che ci ho messo 3 ore per avere il CUD online e mio pronipote forse tre minuti…
Io sono consapevole della mia vecchiaia certa che l’educazione serva come strumento per guardarsi intorno con rispetto anche se non si capisce il linguaggio.. finchè posso cerco di capirlo. Per quello che mi riguarda..