Commento all’articolo apparso sul Corriere della Sera il 18 luglio 2016
L’articolo pone l’accento sull’emergenza della dipendenza da internet e dal così detto gaming.
L’emergenza nasce dal coinvolgimento di soggetti di età sempre inferiore, si parla di app per bambini dai 4 agli 8 anni e dalla dipendenza da gioco da cui sarebbero affetti, in Italia, più di un milione di giovani.
L’autore sottolinea come non conti più tanto la vincita, quanto la possibilità di giocare per più tempo.
Dal punto di vista psicopatologico non stupisce che anche la patologia si evolva e sia al passo con i tempi.
Di fatto ciò che conta nelle dipendenze e che il paziente ricerca è il senso di distacco da una realtà emotiva insostenibile o difficile da gestire.
In particolare in adolescenza l’emergere di importanti trasformazioni, che coinvolgono il corpo e il funzionamento mentale, comportano un grande e doloroso impegno emotivo.
L’adolescente deve integrare diverse parti di sé per raggiungere un’identità stabile affrontando un grande cambiamento, rinunciando a parte del passato e investendo in nuove potenzialità che richiedono la perdita di antiche sicurezze.
Come ogni oggetto che crea dipendenza il gioco, anche senza una vincita, funziona come anestetico che da l’illusione di riempire un vuoto interiore.
Il gioco, che di per sé nel bambino ha anche funzione di crescita e di favorire la relazione con l’altro, perde in questi casi tali accezioni positive.
L’isolamento e il distacco dalla realtà vanno a supportare l’onnipotenza infantile che rischia di impedire un corretto sviluppo del sé.
Il disorientamento e le incertezze tipiche dei giovani adolescenti, li rendono vulnerabili e nelle loro difficoltà rappresentano uno specchio della società di oggi in continua e rapida trasformazione.
Dove i cambiamenti sono molteplici e talvolta difficili da elaborare per i soggetti più fragili.
Una società che attraverso il mondo del web, da una parte promette di raggiungere e conoscere ogni cosa, dall’altra spoglia del senso di identità quando diviene l’unica o la preferenziale modalità di relazione.
Come per ogni altra dipendenza patologica l’articolo suggerisce che la prima modalità di intervento è la prevenzione.
Campagne informative nelle scuole e dirette ai genitori possono essere utili a sensibilizzare un mondo in rapida evoluzione in cui per gli adulti spesso è difficile fermarsi a parlare con i propri figli e per i giovani rischia di rendere ancor più difficile il cammino identitario.