Vaso di Pandora

Dove va la salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza

La salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza è oggetto di attenzione in relazione ad un incremento epidemiologico che negli ultimi 15 anni in Emilia Romagna ha visto passare la percentuale di minori in carico ai servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza (NPIA) dal 6% a circa il 10% della popolazione di riferimento.

Il preoccupante aumento delle diagnosi

Vi è stato un aumento significativo di diagnosi di Disturbi del Neurosviluppo, Disturbi Internalizzanti ed Esternalizzanti, Disturbi della Nutrizione e Alimentazione, Disturbi da Uso di Sostanze, Tentati suicidi e accessi in emergenza-urgenza. Insieme alle violenze domestiche a danno di donne e minori, ciò si è accentuato nella fase post pandemica. Ancora sono in crescita i fenomeni dei NEET (Not Education, Employment or Training) e Hikikomori.

Gli interventi messi in atto per dare una risposta sono stati il c.d. “Bonus psicologi” mentre assai poco è stato fatto per rinforzare i servizi e comprendere le ragioni di un andamento epidemiologico che dovrebbe essere approfondito. Esso probabilmente dipende da una pluralità di fattori: maggiore attenzione alla salute, diagnosi precoci, revisioni criteri e ampliamenti degli spettri, transdiagnosi, nuove norme (DSA) ma anche una effettiva crescita di certi disturbi, si pensi all’autismo. Si è anche evidenziata una tendenza a leggere in chiave patologica i comportamenti disfunzionali e disturbanti. Un approfondimento comprendente anche stili educativi familiari e sociali sarebbe molto utile compresi studi di esito rispetto a diagnosi e terapie effettuate.

Una riflessione sugli aspetti organizzativi

La riflessione sugli aspetti organizzativi deve partire dai grandi cambiamenti avvenuti dagli anni 60-70 del secolo scorso con la chiusura delle grandi istituzioni per i minori, orfanatrofi e brefotrofi (complessivamente ospitavano circa 200 mila persone), classi e scuole speciali e differenziali, ed affermato il principio della sanità e della scuola “di tutti e per tutti”.  Anche le azioni per la tutela dei minori sono molto migliorate con diverse leggi (l. 184/1983, la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176) e recentemente con la revisione del 403 c.c. e dell’art 473 c.p.c.

Grande rilevanza hanno avuto l’approvazione del codice penale minorile (DPR. n. 448/1988) con un ‘impronta educativa volta ad applicare il diritto penale “minimo”.

Nella prima fase di costruzione dei Servizio Sanitario Nazionale e di creazione dei consultori familiari, la NPIA ha trovato in quell’ambito il principale riferimento. Successivamente negli ultimi 25 anni, da un’attività di servizio sanitario di base inserito nell’ambito materno-infantile, la NPIA territoriale è stata collocata strutturalmente nel Dipartimento di Salute Mentale-Dipendenze Patologiche.

La salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza

Da servizi sanitari in larga misura di tipo ambulatoriale si è passati alla necessità di costruire una completa rete di servizi integrati (“rete delle reti”) in grado di rispondere all’E-U, alla presa in cura secondo PDTA, ai trattamenti semiresidenziali, ai ricoveri ospedalieri e residenziali fino alle soluzioni di tipo socio educativo. In questo quadro particolare attenzione è stata posta alla tutela minori (DGR 1102/2014, e segg.), alla collaborazione con i servizi educativi, sociali, la scuola con crescente attenzione alle famiglie e care givers.

Ne è derivato un sistema, ancora incompleto ma orientato a diventare simile a quello della psichiatria adulti (con un segmento ospedaliero, residenze, semiresidenze) ancora con pochissimi posti letto ospedalieri e residenziali sanitari ma con una significativa rete di strutture socioeducative (circa 15 mila posti) e un ampio utilizzo dell’affidamento familiare. 

Le crisi degli ultimi 20 anni

Per contestualizzare l’evoluzione dei servizi e cogliere la portata della situazione va ricordato che gli ultimi venti anni sono stati connotati da vissuti diffusi e profondi quali ad esempio la privazione del futuro conseguente alla crisi economica del 2008 dalla quale non ci siamo ancora pienamente ripresi, la crisi ambientale che proprio gli adolescenti hanno segnalato, poi la crisi di senso della “presenza” dovuta al Covid che ha anche intaccato relazioni sociali e possibilità di reciproca regolazione in una comunicazione, funzionamento e modelli di vita riorganizzati sulla base della rivoluzione digitale.

Questo si è associato ad una crisi delle famiglie sempre più diversificate, piccole e fragili (genitori che si “dimettono” dal ruolo educativo), della scuola (volta alla performance più che alla formazione) e del sociale (povertà, migrazioni, multiculturalità di prossimità) che stentano a delineare percorsi per l’accesso ai diritti, alla partecipazione, all’autonomia e quindi al mondo adulto. Questo sembra accorgersi degli adolescenti quando vi sono manifestazioni devianti (es. baby gang) dimenticando la maggior parte di loro (che non sono visti e restano anonimi) e senza consapevolezza dei modelli educativi e valoriali trasmessi, degli esempi dati dal mondo adulto.

Negli ultimi due anni si è aggiunta la crisi della pace cui stiamo assistendo attoniti e smarriti in una sindemia, che s’intreccia con la globalizzazione, le migrazioni, i cambiamenti culturali e la rivoluzione informatica che stanno cambiando vissuti, funzionamento mentale, relazioni e tutte le modalità di vita.

Le conseguenze sulla salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza

Una pan-crisi che riguarda tutti ma ha conseguenze sulla fascia adolescenziale e giovane adulta nella quale emerge una difficoltà a costruire percorsi e strumenti dedicati e vede incertezze anche politiche sulla scuola, i servizi educativi, la giustizia. Dopo Erasmus, i “bonus ai 18 anni”, l’idea della maggiore età a 16 anni, la globalizzazione (un mondo che si è fatto “piccolo”) si sono riproposti modelli più tradizionali di vita, famiglia e di lavoro che tuttavia non sembrano attrattivi, né reali. Le domande perché vivere, per cosa e quale futuro non solo rimangono ma sono sempre più cruciali.

La complessità della cornice culturale, ambientale e sociale credo debba rappresentare un punto di riferimento costante anche per i servizi e la loro evoluzione. In questo è quindi fondamentale la riformulazione del patto sociale, anche tra le generazioni, ad esempio per quanto attiene al welfare, la previdenza di una popolazione sempre più anziana e con pochi giovani.

La necessità di percorsi specialistici e dedicati.

L’idea che l’adolescente vada incontrato nel suo contesto di vita e di relazione e pertanto nella prossimità deve articolarsi con la necessità di percorsi specialistici e dedicati. E’ nello sviluppo di questa delicata dinamica del modello “a matrice” che può configurarsi il futuro dei servizi e delle competenze professionali. Quanto ai servizi oltre al tema delle risorse si pone la necessità di vedere separatezze organizzative (fino a che età? territorialità?) alla luce della continuità/discontinuità dei percorsi e della permeabilità delle organizzazioni.  

In un contesto come quello delineato siamo in una fase di transizione tecnico-scientifica e normativa e sulla base di quanto prodotto negli ultimi 25 anni si può costruire una prospettiva evolutiva che ridefinisca le forme e i modi del prendersi cura, genitoriale, educativo, culturale, sociale e sanitario evitando la sanitarizzazione e psichiatrizzazione del disagio e dei diversi problemi giovanili. Al contempo merita una riflessione l’utilizzo, in questa fascia di età, dell’approccio giudiziario e delle spinte verso forme di separazione, ghettizzazione e di neo-istituzionalizzazione o abbandono.

Si pensi ad esempio ai minori stranieri non accompagnati, al tema delle culture di provenienza che vanno conosciute perché comportano un diverso modo di vivere la salute, le relazioni specie di genere, la cura. In molti Paesi sono presenti Istituti per minori e Ospedali Psichiatrici e vi è la pratica della segregazione o dell’allontanamento. Vanno coinvolti enti locali e comunità straniere, mediatori per costruire scenari culturali di senso entro i quali leggere sintomi e comportamenti e strutturare risposte innovative (alloggi per le autonomie, budget di salute, ed al.)

Questo implica che l’attenzione alle specificità e alla personalizzazione abbia sempre come riferimento l’universalità, l’inclusione e le co-esistenze.

L’adolescente in ricerca di ascolto

Famiglie fragili, scuola competitiva e talora poco motivante, assenza di prospettive e senso, vuoto e noia accentuano la crisi adolescenziale, vissuta con gruppi dei pari (comunità reali e virtuali) talora meno coesi e strutturati e a loro volta conflittuali e competitivi. Il mal-essere dell’adolescente alla ricerca di un ascolto e comprensione non può essere rapidamente collocato in una categoria diagnostica separata dall’analisi delle condizioni di vita, delle componenti biologiche, psicologiche, educative, sociali, culturali e ambientali.

A fronte delle difficoltà educative e sociali, dell’uso di sostanze, dell’aggressività auto ed eterodiretta, delle violazioni ma anche dell’impotenza genitoriale e delle figure adulte associata alla scarsa efficacia di certi interventi anche sanitari, la risposta invocata diviene quella coercitiva e limitativa della libertà.

L’indagine di Altraeconomia sulla salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza

A questo proposito è assai preoccupante quanto è emerso dall’indagine condotta da Altraeconomia in base alla quale negli SPDC della Lombardia nel 2023 sono state effettuate 90 contenzioni di minori e in Reparti di NPIA sono state 116 episodi su 37 ragazzi nel 2023. 

A livello nazionale, gli Uffici di Servizio Sociale della Giustizia Minorile hanno in carico in tot. 14.819 persone minori ed il dato di flusso è 21.053 unità (15 novembre 2024). I minori detenuti negli Istituti Penitenziari per Minori sono 565, nel dicembre 2023 erano 496 unità e a fine del 2022 381. Un incremento molto significativo. I minori in Comunità per misure giudiziarie sono 1.090.  E’ aumentato anche il consumo di farmaci (+30% secondo il Rapporto di Antigone).

Da questi dati sembra in aumento la risposta incentrata su contenzioni e reclusione. Vi è molto da riflettere su questo come terminale di molteplici crisi (familiari, sociali, giustizia e sanitaria) che declinano il prendersi cura in modo molto preoccupante, fisico, quasi che la relazione fondata sul dialogo abbia perso senso e speranza. “Noi siamo un colloquio” diceva Eugenio Borgna,[2] e fuori dal dialogo c’è isolamento, solitudine che uniti a povertà di vario tipo portano a non sintonizzarsi, a non regolarsi, a non conoscere il proprio mondo interno, a non sviluppare funzioni riflessive e creazione di senso. Una crisi della presenza, che deve trovare uno scenario di riferimento per il rito di passaggio all’età adulta.

L’insufficenza della diagnosi categoriale

Tracciare il limite, è prima di tutto un compito dell’istituzione, dell’adulto, rispetto a se stesso in quanto soggetto più forte; poi lo potrà evidenziare anche all’altro perché il limite contiene ed è speranza. Tracciare il limite vuol dire esplicitare la insufficienza della diagnosi categoriale da non porre come monolitica certezza con conseguente prognosi spesso negativa, ma come conoscenza parziale, fragile, passibile di cambiamento perché ogni disturbo è unico in quanto vissuto da ciascuno in modo personalizzato e in una determinata famiglia e comunità.

Una visione neopositivista, fondata su certezze molto formali ma non sostanziali, su terapie di efficacia parziale (ma spesso non esplicitata) può risultare controproducente per la persona, il professionista chiamato a rispondere delle attese, specie se tradite. Non vi è un “bambino rotto da aggiustare” ma una persona in crescita che ha difficoltà, soffre e deve trovare un insieme di persone a partire dai genitori educanti e competenti, servizi che sostengono, scuole che accolgono e formano, come premesse e sostegno ad ogni trattamento sanitario. La fragilità del mandato di cura va evidenziata non negata lasciando sempre la speranza, la compassione ma senza supponenza e onnipotenza tecnica.

In particolare in psichiatria, l’approccio deve essere complesso, incentrato sui diritti, la libertà e la responsabilità e protagonismo per una prospettiva di vita e non solo di cura il cui percorso non è lineare incertezze, rotture e riparazioni, avanzamenti e arretramenti. Una cura costruita sulla fiducia e la motivazione altre creature mentali molto fragili.

Le contenzioni meccaniche e farmacologiche

Certi metodi possono essere pericolosi e non vanno applicati. Mi riferisco alle contenzioni meccaniche e a quelle farmacologiche. Questo non solo per quanto si sa in ambito medico legale e giudiziario (sentenza Mastrogiovanni, la recente condanna all’Italia da parte della CEDU “Lavorgna vs Italia”) ma soprattutto per i vissuti che determina nella persona che la subisce, nei familiari e negli stessi operatori che la applicano riducendo la possibilità di altre modalità di prendersi cura relazionale sia sanitaria sia rispetto al conflitto, dissenso, violazione. L’orientamento al no restraint dovrebbe essere comune a tutte le psichiatrie.

L’evoluzione dei servizi e dei bisogni dell’utenza spinge verso una separazione tra neurologia e psichiatria al fine di costruire ambiti disciplinari più precisi che consentano di sviluppare competenze nell’ottica della salute mentale dell’arco di vita. Il tema della continuità delle cure va visto nell’ottica della crescita e quindi delle possibili autonomie piuttosto che nella strutturazione di dipendenze dai servizi spesso solo quelli sanitari, mentre scompaiono quelli educativi e talora anche quelli sociali privi di strumenti per sostenere in modo strutturato il giovane adulto. Un ambito che meriterebbe un innovazione budget di progetto, formazione, alloggi per sperimentare autonomie… centri sociali, linee e siti. Se su tutto questo siamo in ritardo forse dipende anche dalla lettura dei problemi.

I limiti degli approcci terapeutici

La questione delle diagnosi in psichiatria e dei limiti degli approcci terapeutici che andrebbero studiati in termini di impatto (ad esempio sulla speranza) di esiti. Al contempo per evitare ogni riduzionismo sarebbe necessario effettuare le diagnosi sociali (l’adozione dei codici Z dell’ICD) e esplicitare gli interventi che dovrebbero conseguirne e al contempo vedere ciclo della famiglia e le responsabilità adulte. Temi che potrebbero essere alla base di un rinnovato patto di cura al passaggio all’età adulta.

Se la NPIA assume primariamente un ruolo parentale vicariante, sostanzialmente rieducativo autoritario e compensativo delle carenze familiari, scolastiche e sociali rischia una deriva custodiale e la perdita del mandato terapeutico. Quindi da una crisi profonda del proprio ruolo, per contrastare l’impotenza, possono derivare prescrizioni di farmaci a scopo contenitivo e la limitazione della libertà in un processo che può portare ad una dannosa neoistituzionalizzazione. Occorre evitare false attese rispetto ad psichiatria ideale che diviene “pseudopsichiatria”.

Al contrario essa deve collocarsi a fianco del minore, ascoltandolo e aiutandolo a crescere individuando insieme i limiti propri e degli altri, responsabilizzando, dando fiducia, speranze, diritti e opportunità per un progetto di vita della persona che abbia senso e del quale si possa sentire protagonista.  Per questo serve creare connessioni per una comunità educante e che si prende cura di ciascuno, di tutti e di sé stessa.

La creazione di un sapere condiviso

La formazione alla relazione e la creazione di un sapere condiviso (professionale, per esperienza e di comunità) può essere la base per innovare e diversificare i servizi radicandoli nel territorio con precisi ambiti di riferimento.

Mantenere in prossimità, non collocare lontano dalla loro residenza di vita i minori dovrebbe essere premessa e risultato di un sistema di welfare di comunità che si attiva per sostenere i progetti di vita di tutti, articolando e personalizzando bisogni educativi, assistenziali e di sostegno delle famiglie con un ruolo attivo delle comunità.


[2] Borgna E. Noi siamo un colloquio Feltrinelli, 2016

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