Commento all’articolo di V. Lingiardi apparso su La Repubblica il 12/09/2018
Il dialogo fra lo psicanalista Vittorio Lingiardi e il cognitivista Benedetto Farina mostra i due prestigiosi interlocutori tutt’altro che arroccati sulle rispettive posizioni, e anzi ciascuno animato da profondo rispetto per quella dell’altro.
Ciò è ammirevole, e anche realistico, ma merita una riflessione.
Entrambi riconoscono nella relazione paziente – terapeuta il fattore fondamentale ai fini dell’esito della cura: posizione oggi largamente condivisa, e confermata da tanti studi di esito – in parte metaanalisi – che riconoscono alle varie terapie percentuali di successo non molto diverse l’una dall’altra. Qualcuno ci ha ironizzato su, parlando di verdetto di Dodo ( da Alice: “tutti hanno vinto, tutti meritano il premio”). Ciò, tenendo conto della problematicità e criticità metodologiche di queste ricerche, legate a vari fattori: criteri di miglioramento che sono discussi, modificabili con il tempo e il contesto sociale, possibile funzione della soggettività del valutatore; bias di pubblicazione, che ai fini di questa tende a privilegiare i buoni risultati; dimensioni e adeguato reclutamento delle casistiche; correlazione con le diverse indicazioni, fondate sulla diagnosi e/o sulla struttura psicodinamica; lunghezza e adeguatezza del follow up; durata della terapia in rapporto anche a possibili miglioramenti spontanei.
Il fattore comune decisivo parrebbe comunque essere la relazione e la sua qualità; ma ciò forse apre più problemi di quanti ne risolva. Se il risultato di un intervento è indipendente dalla teoria che lo supporta, qual è il valore di tale teoria? E in generale, ha ancora senso parlare di teoria, di tecnica ad essa correlata, di teoria della tecnica? Divengono mere cornici di un quadro?
Se quel che conta è la relazione, ciò non può chiudere il discorso. C’è da chiedersi cos’è la relazione, e forse per essa vale quel che diceva Agostino riguardo al tempo; se nessuno mi chiede di definirlo, so cos’è: ma se me ne chiedono una definizione, non so darla. Parlando di relazione, ci è difficile andare al di là delle tautologie. E poi, quali sono i fattori che la rendono operativa ed efficace? I due studiosi indicano la cooperazione, fattore non unico ma certamente vero e non soltanto nelle terapie, ma in tutti i rapporti umani a livello macrosociale e micro sociale. Questi sono fatti di un equilibrio non sempre agevole fra la cooperazione, che consente di unire le forze, e la competizione che fornisce uno stimolo, forse insostituibile, a iniziative e realizzazioni. Se volessimo buttarla in politica, è il diverso accento posto su questi due aspetti che distingue la Destra dalla Sinistra: distinzione per nulla superata, anche se oggi alquanto confusa.
Tornando al tema più propriamente nostro: il doveroso riconoscimento dei limiti dei diversi approcci teorico – pratici lascia più che mai aperto il problema di uno statuto scientifico fondante la nostra operatività clinica. E’ possibile? E’ augurabile?