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Distimia, il disturbo depressivo persistente: riconoscerla e trattarla

La distimia, chiamata talvolta anche disturbo distimicodisturbo depressivo persistente, è un disturbo dell’umore. Si presenta nella forma di uno stato umorale deflesso, rattristato e tutt’altro che sereno. Questa condizione può protrarsi per lungo tempo e assumere un andamento cronico. Rispetto alla depressione maggiore, più debilitante, la distimia si contraddistingue per sintomi sicuramente meno intensi, ma capaci di prolungarsi nel tempo e condizionarci a lungo. Non a caso, affinché si possa diagnosticare il disturbo distimico, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disordini Mentali (DSM-5) richiede almeno due anni continuativi di presenza dei sintomi indicati. Nel caso di bambini e adolescenti, è sufficiente un anno. La cura della distimia, una volta diagnosticata senza ombra di dubbio, prevede l’utilizzo di farmaci, la psicoterapia o, nella maggior parte dei casi più severi, l’insieme di questi due trattamenti.

La distimia come disturbo depressivo persistente

Distimia: un ragazzo depresso sul suo letto
La distimia è un disturbo depressivo che dura almeno due anni

Secondo la definizione del DSM-5, la distimia o, meglio, il disturbo depressivo persistente, è un disturbo dell’umore che rientra all’interno della problematica depressiva. Si caratterizza, come anticipato, da deflessione cronica del tono dell’umore. Diversamente dalle crisi depressive maggiori, ad ogni modo, i sintomi sono meno gravi e la sua morsa sulla nostra vita meno stringente. Si tratta di un disturbo relativamente frequente. Si stima che la prevalenza di questa condizione depressiva persistente, nell’arco della vita di una persona, oscilli tra il 2,5% e il 6% della popolazione (secondo Ronald Kessler e altri, 2005). Non è un’incidenza bassa. Spesso la distimia esordisce in adolescenza, o comunque prima dei 21 anni di età. I modelli matematici e gli studi a campione effettuati dimostrano come essa colpisca maggiormente le donne, rispetto agli uomini. I dati sono di Daniel Klein e Neil Santiago, 2003).

La distimia è, con ogni probabilità, il disturbo maggiormente osservato nell’ambito clinico psichiatrico. Si stima infatti che tra il 22% e il 36% dei pazienti che afferiscono ai servizi psichiatrici ambulatoriali soddisfino anche i criteri per il disturbo distimico. È una percentuale davvero considerevole. La distimia può presentarsi da sola, sebbene spesso si osserva in comorbilità con altri disturbi psichiatrici. Nello specifico, è tutt’altro che infrequente osservare un disturbo distimico in pazienti che presentano anche sintomi non direttamente legati a questa condizione, quali:

Riconoscere la distimia

La distimia può palesarsi a qualunque età, non esistono intervalli privilegiati per la sua prima manifestazione. Può insorgere già durante l’infanzia, seppure non si tratti di un periodo particolarmente fertile per i disturbi depressivi, oppure manifestarsi tardivamente, durante l’età geriatrica. Generalmente, la si osserva principalmente durante la prima adultità. L’insorgenza del disturbo è diversa da paziente a paziente. Non di rado, essa identifica cause e pattern di sviluppo anche sensibilmente differenti. Qualora esordisca durante l’adolescenza, o nell’infanzia, la distimia è spesso correlata a una familiarità con i disturbi dell’umore. Durante l’età più tenera, è spesso dovuta ad avversità, come abusi o abbandoni. In questi casi, si affianca a una maggiore probabilità di sviluppare altri disturbi psichiatrici. La distimia manifestata più tardi, invece, sembra essere maggiormente correlata a lutti, separazioni o all’insorgenza di problemi di salute fisiologici o specifici.

La caratteristica essenziale della distimia è l’umore. Chi ne è affetto sarà cronicamente depresso per la maggior parte del giorno, per la maggior parte dei giorni. Tipicamente, la condizione si prolungherà per un periodo di tempo considerevole: almeno due anni. La manifestazione del disturbo è spesso insidiosa. Rende infatti piuttosto difficile la diagnosi, dal momento che i sintomi sono gli stessi della depressione maggiore, sebbene meno eclatanti e pesanti rispetto a questa. La minor intensità e pervasività della sintomatologia porta frequentemente a una colpevole sottostima dei reali tassi di prevalenza della distimia. Numerosi pazienti, e anche qualche terapeuta, non riconoscono l’umore cronicamente deflesso come un disturbo. Lo valutano piuttosto come una caratteristica di personalità. Il fraintendimento è comprensibile: spesso la condizione accompagna l’individuo fin dall’adolescenza, quando si completa la formazione del carattere.

La distimia si può presentare con un’ampia gamma di sintomi depressivi, che vanno analizzati a fondo per evitare di sottovalutarli. Tra essi, indichiamo i più diffusi:

  • sintomi motivazionali, come ritiro sociale e perdita di interesse;
  • indicatori affettivi, i più presenti, tra cui umore depresso e tristezza inspiegabile;
  • segnali cognitivi, quali bassa autostima e mancanza di speranza.

Trattamento e farmaci

La distimia è un disturbo cronico. In quanto tale, richiede cure a lungo termine. Come altri disturbi dello spettro depressivo, si caratterizza per alterazioni dei circuiti della serotonina e della noradrenalina. Tra i farmaci più utilizzati nel trattamento troviamo antidepressivi, in particolare gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) e SNRI (inibitori selettivi della ricaptazione della norepinefrina). La scelta del farmaco corretto non è fissa e va effettuata sotto prescrizione di uno specialista in psichiatria. Accanto alla terapia farmacologica è possibile affiancare un percorso di psicoterapia. Tutti quei pazienti che presentano sintomi residuali, o che sono a rischio di ricaduta, possono affidarsi a trattamenti psicologici specifici e mirati (linee guida NICE, 2011). Resta di capitale importanza modulare e personalizzare ogni trattamento in base alle specifiche caratteristiche di ciascun paziente.

Lo storico dei trattamenti ha infatti dimostrato, e questo non stupisce proprio nessuno, come il miglior iter possibile per il paziente sia quello per cui la cura viene modulata, nel corso del tempo, in base ai sintomi manifestati. Occorre poi tenere d’occhio anche i bisogni di ciascun singolo paziente, i quali si manifestano durante il percorso. Per questo è sempre opportuno, ma diciamo pure raccomandato, farsi seguire dal proprio medico di fiducia, evitando soluzioni fai-da-te che potrebbero complicare la situazione.

Leggi anche: “Psichiatria e psicoterapia: nemiche o alleate?

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