Dialogo nato in seguito alla lettura dell’articolo: “Germania, cerca una sosia su Instagram e la uccide per simulare la propria morte. Ma viene scoperta”, apparso su La Repubblica, 01 Febbraio 2023
Un aspetto di questa tragedia è l’intensità del conflitto generazionale in certe famiglie di immigrati di seconda generazione.
Non sappiamo nulla di quel che succedeva in quella famiglia, ma non è azzardato ipotizzare qualcosa di simile al caso di Saman, conflitto tra figlia tendente alla emancipazione (qui purtroppo anche con mezzi terribili) e genitori attaccati alle loro usanze e prescrizioni tradizionali.
Ma quel che giustamente Luigi evidenzia è un altro aspetto: il ruolo di Facebook. La storia dell’umanità è fatta da sempre di un crescere della comunicazione indiretta, a distanza, erga omnes: fin dai primi dipinti paleolitici di Lascaux, offerti a chiunque mettesse piede nella grotta.
E poi: scrittura, stampa, telegrafo, telefono, TV, oggi social… Senza questi mezzi non si sarebbe mai sviluppata una cultura, che è fatta di diffusa condivisione di costrutti mentali, orientamenti, messaggi, risposte più o meno creative. Ma non è meno vero che oggi ci troviamo a una svolta critica: l’estrema accessibilità e facilità d’uso dei nuovi mezzi rischia di condurre a un eccesso di informazioni che diviene null’altro che “rumore”: un input massiccio e indistinto privo di vero contenuto conoscitivo e comunque mal fruibile.
Lino
Ottima analisi, Pasquale, nella quale mi ritrovo al 190 per 100. La tua riflessione offre spunto per più di un articolo, così come tutto il tema social e comunicazione sempre più invasivo.
Secondo me si potrebbe aprire un dibattito allargato con interventi di chi ha voglia.
Gigi
Ogni era ha i propri modi di comunicare e l’uso distorto di questi, che è nella natura umana di fronte alle innovazioni, non deve fermare il progresso. Non sono i mezzi o le cose a essere colpevoli (la montagna assassina, l’auto omicida: ma quando mai) piuttosto gli umani che le usano. Un fotografo dei primo del 900, agli albori della nuova tecnica, scrisse: la fotografia non mente, ma i bugiardi sanno fotografare benissimo. Oggi i social, grande “mezzo” così come tutto il Web, per comunicare emozioni e, se va benissimo, diffondere cultura sono diventati anche strumenti di disinformazione o, come in questo caso, di morte. La salvezza sta nel non arrendersi e continuare a comunicare, con ogni mezzo, cultura e conoscenza. Come vuol fare, e farà sempre, il Vaso di Pandora
Ringrazio chi mi ha preceduto nei commenti perché mi fa pensare a come ogni notizia abbia risonanze diverse per ciascuno.
Su varie testate e siti ho cercato e letto la notizia della giovane donna tedesco-irachena di 23 anni che ha finto di essere stata uccisa e che invece ha assassinato, sfigurandola, una sua sosia, fashion e beauty blogger di origine algerina anche lei residente in Germania dopo averla cercata sui social media e averla contattata su instagram con un pretesto. I moventi riportati sono i più vari: sottrarsi alla tutela dei genitori, sfuggire a non ben specificati problemi familiari, nascondersi a causa di una lite familiare e simulare la propria morte, nascondersi a causa di una disputa familiare. Dalle notizie che circolano, sembra che la giovane avesse provato a contattare diverse donne simili a lei, nella settimana precedente all’omicidio.
Sfigurare.
Sfigurare in particolare il volto di una persona, significa deturpare ed eliminare l’identità personale, ovvero l’insieme delle caratteristiche fisiche, psicologiche e culturali che le consentono di identificarsi all’interno di una società.
Al di là dei moventi ipotizzati dagli inquirenti, un po’ deboli e che forse non restituiscono la complessità della situazione, mi chiedo se una notizia di questo tipo non debba essere riletta anche nei termini di fragilità identitaria. Di invidia. Di confronto. Di fatiche nell’identificarsi nel proprio gruppo di appartenenza familiare, sociale e culturale. Di problemi nel riconoscimento. Di istanze di rivalsa e riscatto sociale. Per sé e forse non solo. Di giovani donne, figlie di genitori o nonni che si sono spostati dal paese di origine. Una algerina e una irachena. Si tratta di un’estetista vs una beauty blogger. Di chi sta dietro per curarsi della bellezza degli altri e di chi ha guadagnato il posto in vetrina. Eliminare e prendere il posto.
A questo proposito, Christopher Bollas, figura di spicco tra i teorici della psicoanalisi contemporanea, nel suo L’età dello smarrimento, rileva un cruciale cambiamento del clima intellettuale per cui l’importanza attribuita alla connettività istantanea ha soppiantato riflessività e introspezione e il modo in cui definiamo il nostro sé si è significativamente trasformato. Un orientamento che ha raggiunto l’apice nell’attuale dilagare della psicofobia: un rifiuto delle psicologie del profondo e che ha spianato la strada all’affermarsi di scelte fondate sull’odio. Suggerisce che per ritrovare un più equilibrato concetto di sé all’interno della società, è indispensabile fare dell’insight psicologico il fulcro di un nuovo tipo di analisi culturale e sociale.
Credo che serva promuovere canali comunicativi come quello che proponiamo con il Vaso di Pandora online per promuovere un’integrazione necessaria a notizie diffuse come questa, che propongano approfondimenti e riflessione e non lanci sommari o peggio che muovono istanze interventiste.