La mia passione per il volo: Sono nata d’aria. Una foglia al vento. Senza radici, appoggiata alla chioma instabile di alberi granitici ed austeri, solide erinni ma elastiche di prospettive mutevoli. Così camminavo a naso all’insù: nulla era più fantastico delle forme delle nuvole e di quegli azzurri così indicibili e commoventi. Ma il meglio arrivava nelle sere limpide: anche in città quel cielo si accendeva di bagliori magici e, anche se sapevo di esserci già, ci volevo essere di più lì in mezzo a tutte quelle stelle.
Il cielo non era una distesa libera di ceruleo deserto: c’era traffico! Uccelli, farfalle, insetti, pollini, polveri…e aerei. Gli aerei, a differenza di tutti gli altri, erano “umani” e quindi un barlume di speranza di poter abitare il cielo c’era.
La mia passione per il volo senza riferimenti femminili
Quando ero bambina dell’aviazione al femminile non si parlava quasi: le aviatrici erano già state grandi, avevano affrontato sfide, battuto record ma forse, a malapena, a casa mia era stata colta la notizia di una pilota commerciale, probabilmente Fiorenza De Bernardi, prima italiana ad entrare nell’aviazione di linea.
Per me continuava il fascino dell’aereo e sognavo da grande di fare la “hostess di volo” (perché nel mio orizzonte familiare i piloti in comando potevano sicuramente essere solo maschi), oltre che l’astronauta ben s’intende.
Un amico di mio padre aveva un aereo da turismo di aviazione generale in un piccolo aeroporto vicino a casa e talvolta se ne poteva parlare. Mi sembravano manovre di avvicinamento. Ma quando su un ”Topolino” avuto chissà come (a me era concesso solo “Il Corrierino dei Piccoli”) lessi l’intervista ad un piccolo discendente della casa che sarebbe poi diventata il mio “nido” e scoprii che, con il consenso dei genitori, a sedici anni si sarebbe potuto prendere il brevetto d’aliante, divenni candidamente coraggiosa, spregiudicata ed audace e chiesi a mio padre di poterlo fare. In casa non si parlò più di aviazione, al limite solo degli incidenti aerei e della pericolosità del volo, l’amico di mio padre fu dimenticato, così come divennero invisibili le mie inclinazioni per il volo (troppo pericoloso) e per l’arte (troppo inutile e mal frequentata).
Abbandonata anche l’idea di studiare fisica e dedicarmi all’astronomia, coltivai il ramo cadetto dell’interesse per le neuroscienze e mi laureai in Medicina in un polo altamente formativo ma anche altamente totalizzante, che non lasciava spazio ad altro.
Nella vita però il destino sa aspettare, è il canto instancabile della sirena, una musica costante, il cui volume può essere molto abbassato ma mai spento.
La decisione di provarci
E così, dopo un evento traumatico che mi aveva costretto ad una revisione del bilancio di vita, nonostante i miei soli 30 anni, seguii la passione per il volo e staccai l’ombra da terra proprio dal campo (ma lo seppi molti anni dopo) dove era stata raccolta l’intervista per Topolino.
Vidi per la prima volta l’ombra delle mie ali su un terreno che rivelava tutta la sua ordinata bellezza, ebbi un’istruzione integrativa iniziale di impronta aliantistica e imparai a conoscere la mia casa e la mia medicina: il cielo.
Volai a motore e portai il mio piccolo tubi e tela sulle Alpi, che frequentai poi con un fazzoletto da zaino (il parapendio) che operava la magia di regalarti un’ala ovunque tu riuscissi a creare un vento relativo, con i falchi, con le aquile e i grifoni, davvero con l’”occhio di Dio”, l’occhio del creato dove il bisogno di senso sparisce, sostituito dalla meraviglia pura. Ci fu anche l’aliante, ci furono studio, delusioni, successi sudati, ci furono effetti collaterali che resero la vita incredibilmente meravigliosa, anche nelle sue salite. Ci fu anche il periodo del distacco: la Terra è molto gelosa e chiede conti alti, incombenze, responsabilità, tempo. Smisi di volare per quasi dieci anni, mi tappai gli occhi e il cuore.
Finché la vita e le responsabilità terrestri mi riportarono nel mio primo nido. Mi ero considerata guarita, disintossicata, non scrutavo cielo e carte meteorologiche, non organizzavo i giorni in funzione dei decolli, non mi distraevo ad immaginare le quote guardando le nuvole e la linea d’inversione attraverso la finestra durante le riunioni.
Come rinasco ogni volta che scelgo
Era gennaio e c’erano ghiaccio e un po’ di neve per terra: “dieci anni che non voli?”…si aprì l’hangar, uscì il piccolo ala alta, decollammo…e ripiombai nel tunnel. Tutti i brevetti erano scaduti. Ripresi in mano la mia passione per il volo e rifeci il corso e ora sono tornata a casa. Come una foglia al vento. Come sono nata e come rinasco ogni volta che scelgo invece di lasciar scegliere.
Il volo non è umano, né per anatomia, né per fisiologia, né per psicologia. È il limite, il confine, hic sunt leones. È tridimensionale mentre noi ci muoviamo solo su due dimensioni mobili, dà la misura di quanto ingannevoli siano le nostre percezioni, allarga smisuratamente l’orizzonte e amplifica il limite, mette alla prova la fiducia, l’autostima si fa a tasso molto variabile, logopedia della gestione del fallimento. Ma i piloti “non lo sanno e lo fanno”. Tutti filobati? Alcuni. La maggior parte scopre una nuova distanza, riempita da sogno inesauribile e voglia di realizzarlo.
Per chi non li conosce, fra tanti, per scoprire quali impossibili limiti superare un invito a continuare il racconto scoprendo la storia di Donatella Ricci (un riassunto nel suo ultimo intervento per TED Padova.
Perché nel volo la salita è decollo.
“…la metamorfosi che trasforma il metallo in aeroplano
e le manovre di volo in manovre nella vita”
Daniele Del Giudice – Staccando l’ombra da terra