Vaso di Pandora

Dalle ore di scuola a Moravia e Pascal. Il segreto della noia

Commento all’articolo apparso il 26 settembre 2017
L’Autore dell’articolo parla della noia che “ci colpisce quando, dopo una cena con amici, sentiamo di aver perso tempo ”. Ma questa esperienza di mancanza può esser produttiva, poiché porta a una risposta di ricerca: la mancanza di senso può spingere alla ricerca di senso.

La riflessione psichiatrica ha portato il suo contributo: ricordo come Zapparoli ci insegnasse che la noia che talora prende l’analista può certo paralizzarne l’azione ma può al contrario esser considerata come forma di controtransfert analizzabile, atto ad allargare la comprensione. In un’altra prospettiva, Bion affermava la genesi del pensiero da un contesto depressivo, da una esperienza di carenza.
E’ chiaro del resto che il simbolo rappresenta e in qualche modo sostituisce l’oggetto assente. Può esser divertente ricordare che a modo suo Jonathan Swift in uno dei viaggi di Gulliver parlava di questa operazione, offrendone una sorta di negativo: la popolazione di un certo paese ha abolito il linguaggio, e quindi ognuno si porta dietro un cospicuo zaino ricolmo di oggetti: ogni parola viene sostituita dal relativo oggetto, che al bisogno viene estratto e mostrato!
Tornando a noi, non sempre sappiamo e possiamo seguire l’indicazione di Zapparoli: l’iteratività implacabile di certe esperienze psicotiche può sopraffarci, annoiarci e portarci a un vissuto di immutabilità. Ecco la cronicità condivisa con il paziente, che possiamo finir con l’esprimere in una diagnosi, apparentemente obbiettiva e scientifica.
Belpoliti identifica una forma di noia un po’ diversa, più generale, non legata a una specifica esperienza o momento: la chiama noia profonda, che “accomuna tutte le cose, tutti gli uomini, e noi stessi in una strana indifferenza”. Viene in mente l’”infinita vanità del tutto” leopardiana; ma soprattutto  Baudelaire, cantore dello spleen, dell’ennui: “Quand le ciel bas et lourde pèse comme un couvercle sur l’esprit gemissant en proie aux long ennuis….”.
Ma la noia è stata vissuta anche in maniera più superficiale, o almeno lontana dalla nostra attuale visione:  nel decadentismo era divenuta quasi qualcosa di aristocratico. Certo, espressione di insoddisfazione, ma vissuta quasi con un senso narcisistico di superiorità snobistica. Il dandy annoiato cercava certo qualcosa d’altro, l’evasione da un contesto volgare: atteggiamento mal da noi  accettabile perché espresso  da privilegiati quali Wilde, Brummel, Byron, e a modo suo D’annunzio. Questi forse vinceva la noia associando a un estetismo un po’ sdegnoso una sorta di attivismo reattivo: una delle radici del fascismo?
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