Vaso di Pandora

Da Burroughs a Christiane F. Il fascino oscuro dell’eroina

William S. Burroughs occupa un posto preminente in una schiera di intellettuali volutamente irregolari e contestatori dell’ordine costituito: Corso, Ferlinghetti, Ginsburg, Timothy Leary.

 Questi incontra Burroughs anche durante  la sua detenzione per possesso di droga in un  penitenziario a bassa sorveglianza e tutto sommato confortevole: scelta della Amministrazione forse dettata da un riguardo al suo acquisito prestigio scientifico e letterario.
Parla dell’incontro – certo non il solo – nel  volume “la fuga”, che parla della sua rocambolesca evasione dal penitenziario.
Non entra in molti dettagli sul personaggio, ma abbiamo motivo di pensare che si tratti del Burroughs a tutti noto,  da come si esprime – sempre citato da Leary – sull’eroina: “L’identificazione diventa completa. Non posso più distinguere la donna dalla droga. Tutto era Lei, ogni cellula del mio corpo sussurrava il Suo nome. Bisogna proprio aver rispetto per Lady Eroina! Come ogni altra donna è una Dea quando è amata ma una puttana quando se ne abusa”.
Si delinea in questa poche righe la triangolazione “droga – sesso – esperienza religiosa” che quella corrente di pensiero evidenzia nella maniera più esplicita. L’aspetto religioso è ancora più evidente nel pensiero di Leary, per parte sua interessato non tanto all’eroina quanto all’LSD (nei confronti degli eroinodipendenti il suo atteggiamento passa da sentimenti di superiorità ad altri di rispettosa estraneità).
Ogni pagina, si può dire, gronda sesso, anche in forme che ci appaiono fortemente degradate; ma per l’autore esprimono una vitalità dal significato anche politico poiché il loro potenziale destrutturante – parallelo a quello della droga – mette in scacco la violenza del potere, continuamente rappresentata dalle mura del carcere e dalle prepotenze dei guardiani.
Nel confronto con uno di essi la risposta è “mandai pensieri di gentilezza alla sua testa”. La ribellione del drogato è dunque  non violenta: Leary parla di una loro “insolente innocenza”, che in qualche modo mette in scacco la risposta repressiva di un potere feroce e ottuso. Con esso non è ammessa una riconciliazione,  ma solo compromessi apparenti e manipolativi: anche l’apparente comfort della struttura detentiva è “da sputare”, e il Giudice viene dipinto come figura viziosa e anche fisicamente oscena.
Anche se l’Autore riteneva di poter indicare la via a una palingenesi dell’Umanità,  non è ottimista. La riuscita evasione lo porta, dopo varie traversie, in Algeria dove allora le Pantere Nere esercitano un notevole potere: lo proteggono, ma gli impongono in cambio la sottomissione. Non commenta più di tanto questo atteggiamento, ma il messaggio è esplicito.  Sfuggiti a un potere, si soggiace a un altro: apologo sulla vanità di una rivoluzione violenta?
Ancor più centrale l’atteggiamento nei confronti dell’Eros e del desiderio la cui sfrenata soddisfazione viene descritta come fortemente degradata e degradante. Viene in mente il Socrate del Simposio che dimostra come l’Eros, essendo desiderio, è necessariamente carenza e dunque in qualche modo non esente da sofferenza.   Del resto, anche l’uso della droga può esser visto come espressione di un desiderio perennemente insoddisfatto.
Si è molto ridimensionata l‘influenza di questo Autore, e dei suoi sodali, che è stata così forte negli anni ’60; ma ci offrono ancora notevoli spunti di riflessione.
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