L’effetto alone è un affascinante fenomeno che ci spiega molto bene quanto il nostro cervello sia pigro nell’operare i suoi processi. Quando parliamo di halo effect (effetto alone in inglese) ci riferiamo a una tendenza ben specifica, relativa all’operatività dell’encefalo. Molto frequentemente valutiamo una persona, un oggetto oppure un’idea, basandoci soltanto su un unico attributo, positivo o negativo che sia, senza indagare oltre. Ciò significa che quella valutazione è fallace. La percezione di un attimo non è certo sufficiente a giudicare le qualità o i difetti di qualcosa. Faremmo bene ad approfondire. Normalmente però non ce ne curiamo e basiamo il giudizio soltanto sulla prima impressione. Quando usiamo espressioni come giudicare il libro dalla copertina o valutare una persona dal suo biglietto da visita, ci stiamo lasciando influenzare dall’effetto alone.
È bene fidarsi della prima impressione?
L’effetto alone è un bias cognitivo che ha conseguenze significative sulle nostre scelte quotidiane. Pensiamo a quante volte ci capita di incontrare una persona molto avvenente e dare per scontato, senza alcun elemento a supporto, che abbia altre qualità positive. Non c’è alcun collegamento automatico tra bellezza e intelligenza, simpatia oppure affidabilità, eppure potremmo essere portati a pensare che quella stessa persona possegga anche questi tratti, soltanto perché è gradevole alla vista. Alla stessa maniera, trovandoci in un negozio, saremmo probabilmente portati a preferire un prodotto con un bel packaging rispetto a uno riposto in una scatola meno appariscente. Di nuovo, non c’è alcun legame qualitativo tra prodotto e contenitore eppure la nostra percezione, a parità di qualità, ci indirizzerà verso quello confezionato meglio. Quella che entra in azione è una sorta di generalizzazione automatica e non necessariamente corretta.
Secondo gli studi dello psicologo statunitense Edward Thorndike e successivi, l’effetto alone entra in azione anche in sede di esame. Gli esaminatori, tendenzialmente, sono portati a valutare in maniera meno severa una persona di bell’aspetto rispetto a una meno avvenente, anche nel caso in cui le loro capacità siano esattamente le stesse. Un simile discorso si può fare per il selezionatore che conduce dei colloqui di lavoro. Spesso è sbagliato fidarsi della prima impressione, perché si possono prendere facilmente degli abbagli. Ciò non significa che ognuno di noi non lo faccia quotidianamente. L’effetto alone permea la nostra quotidianità. Il cervello è piuttosto pigro e non vuole dedicare molto tempo a valutare attentamente cose e persone, preferisce di gran lunga basarsi sulla prima impressione e accetta senza problemi il rischio di commettere un errore di valutazione.
La psicologia dell’effetto alone
La conoscenza teorica dell’effetto alone si deve in gran parte all’impegno di Thorndike. Egli condusse una serie di esperimenti sui giudizi delle persone nei confronti di militari senza fare loro mai conoscere i soldati in questione. Lo psicologo si limitava a mostrare al soggetto una foto del membro dell’esercito e a domandare un giudizio e una valutazione. I risultati dimostrarono come i militari più avvenenti ricevessero non soltanto un giudizio positivo sulla loro bellezza fisica, bensì anche su caratteristiche morali e comportamentali che una semplice foto non è naturalmente in grado di fornire. Intelligenza, leadership e gentilezza non traspaiono da un’immagine, eppure erano comunemente assegnate ai soldati più affascinanti.
Il processo decisionale viene enormemente semplificato dal nostro cervello, il quale vuole percorrere scorciatoie cognitive e prendere subito le sue decisioni, senza elaborare le informazioni con la cura necessaria. Al primo incontro con una persona, o alla prima vista di qualcosa, non otteniamo mai immediatamente la descrizione che desidereremmo e che ci sarebbe necessaria per giudicare con cognizione di causa. Perciò estrapoliamo una singola caratteristica, un singolo dettaglio, e tiriamo le nostre conclusioni, affrettate e inaffidabili ma che, per noi, sono sufficienti a catalogare l’interlocutore o l’oggetto inanimato.
L’influenza sociale dell’effetto alone
Il fenomeno psicologico dell’effetto alone influisce profondamente sul comportamento che teniamo e sulle decisioni che prendiamo ogni giorno. La tendenza a valutare cose e persone in base a un solo attributo conduce a giudizi distorsivi e stereotipati. L’effetto alone è molto potente, oltre a essere innato e accompagnarci fin dall’infanzia. Ciò non significa che non sia possibile controllarlo.
Sforziamoci di sviluppare una maggiore consapevolezza e cerchiamo di valutare persone e situazioni in maniera più accurata e completa. È l’unico modo per prendere decisioni giuste e non viziate da distorsioni e stereotipi legati a un solo attributo. Imparzialità e oggettività non sono contemplate dall’effetto alone, che insiste su concetti diametralmente opposti a questi due ed esprime giudizi affrettati, imparziali e, molto spesso, scorretti. A livello sociale, questa superficialità può costarci relazioni significative e farcene stringere di altre che, con il senno di poi, si rivelano ben poco interessanti. Prendiamo atto dell’esistenza dell’effetto alone e cerchiamo di scostarci da lui, per quanto ci sia possibile.
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