I disturbi alimentari non sono semplicemente «problemi con il cibo»: sono modalità elaborate con cui una persona risponde a un disagio profondo, una forma di pensiero e comportamento che finisce per occupare la maggior parte dello spazio mentale e relazionale. Chi vive un disturbo alimentare spesso percepisce il controllo del peso e delle abitudini alimentari come l’unico mezzo per governare ansie, vergogne o insicurezze; così il corpo diventa al tempo stesso campo di battaglia e linguaggio. In questo articolo cerco di restituire, con taglio psicologico e discorsivo, una mappa dei fenomeni e dei fattori che più frequentemente stanno dietro a questi quadri clinici.
Che cosa si intende per disturbo alimentare
Con il termine si indicano condizioni caratterizzate da un’alterazione persistente delle abitudini alimentari accompagnata da una preoccupazione eccessiva per il peso e la forma del corpo. Queste forme insorgono spesso nell’adolescenza e colpiscono con maggiore frequenza il sesso femminile, ma non sono circoscritte a un’età o a un genere: possono presentarsi in modi diversi e con intensità variabile, fino a compromettere la quotidianità, il lavoro, le relazioni e la salute fisica.
Forme comuni e modi in cui si manifestano
I quadri più noti sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating), ma esistono molte varianti e casi che restano «fuori» dai criteri rigidi dei manuali pur essendo gravemente invalidanti. In alcune persone il comando diventa la rinuncia al cibo; in altre il teatro è costituito dalle abbuffate seguite da comportamenti compensatori; in altre ancora prevalgono pattern di evitamento o di estrema rigidità alimentare.
- digiuno, restrizione alimentare prolungata o regole alimentari rigide
- crisi di abbuffata, vomito autoindotto, uso improprio di lassativi o diuretici, esercizio fisico esasperato
Questi comportamenti non vanno interpretati solo come «scelte» ma come tentativi disfunzionali di gestire emozioni, colpa o sensazioni di vuoto.
Da cosa dipendono: una lettura integrata
Non esiste una sola causa: i disturbi alimentari emergono dall’intreccio di vulnerabilità biologiche, tratti psicologici e contesti relazionali e culturali. La predisposizione genetica o neurobiologica può facilitare la comparsa di sintomi, ma è il significato che la persona attribuisce al corpo, insieme alle dinamiche familiari e sociali, a orientare il percorso verso un disturbo persistente.
- perfezionismo, bassa autostima, difficoltà nella regolazione emotiva, rigidità cognitiva
- esperienze di critica corporea, dinamiche familiari intrusive o iperprotettive, eventi stressanti, messaggi culturali che esaltano magrezza o performance
Questa lista non esaurisce la complessità, ma sottolinea come fattori interiori e ambientali si rinforzino vicendevolmente: un messaggio culturale che idealizza il corpo può «attivare» una disposizione personale al controllo, che a sua volta trova conferme nelle interazioni quotidiane.
L’immagine corporea e il bisogno di controllo
L’alterazione dell’immagine corporea è spesso il cuore del problema: la percezione che la persona ha di sé può deviare in modo drastico dalla realtà, e il controllo del cibo diventa allora una strategia per ottenere sicurezza o riconoscimento. Psicologicamente, il sintomo funziona come una macchina che dà sollievo immediato (riduce l’ansia, regola un vuoto affettivo) ma a lungo termine impoverisce risorse e possibilità di relazione. Capire il «ladro» di significato che sta dietro al cibo — spesso paura, vergogna, rabbia non espressa — è centrale nella cura.
Quando intervenire e che cosa può aiutare
Molte persone non chiedono aiuto o lo fanno quando il disturbo è già cronico; per questo è importante che familiari e operatori sappiano riconoscere i segnali e offrire un ascolto non giudicante. L’intervento efficace tende a essere multidisciplinare: la psicoterapia che lavora su immagine corporea, emozioni e relazioni, il supporto nutrizionale e, quando necessario, la presa in carico medica. Fondamentale è riaprire lo spazio per altre fonti di autostima e di identità oltre al corpo.
Oltre il sintomo, la persona
Parlare di disturbi alimentari vuol dire guardare la persona nella sua interezza: non ridurre la sofferenza a «capricci» o a una sola variabile. La strada verso il cambiamento passa per il riconoscimento del dolore che quel comportamento vuole nascondere e per la costruzione di alternative che permettano di regolare le emozioni senza ricorrere al corpo come unico strumento. Lavorare con delicatezza, coerenza e supporto relazionale apre la possibilità non solo di ripristinare abitudini alimentari più sane, ma di restituire senso e piacere alla vita quotidiana.