Quali i beati al nuovissimo bando
Surgeran presto ognun di sua caverna
La revestita voce alleluiando
Dante, Purgatorio XXX, 13-15
Giorni e giorni di ritiro forzato….una clausura che forse le motivazioni lungamente meditate di monaci per vocazione, potrebbero sostenere con serenità, mentre molti di noi ne venivano da un’esistenza frenetica e frettolosa resa ancor più caotica da stimoli i più disparati che assumevano tuttavia le modalità consumistiche di fruizione, mi riferisco anche a viaggi, vacanze, eventi culturali e artistici.
Abbiamo vissuto così sospesi, spaesati e disorientati con l’incertezza, che le esperienze traumatiche comunque comportano, ma in questa situazione si complicano nella difficoltà/incapacità di previsione, di coerenza e responsabilità di cui ci si è dovuto prendere atto…ci siamo altalenati tra confusione e imprevedibilità clamorosamente riportate dai media.
Quando ci è capitato questo accidente, alla fine di febbraio, stavo lavorando su una lettura straordinaria, la riedizione di “La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali” – Ernesto De Martino, Piccola Biblioteca Einaudi.
De Martino l’avevo conosciuto tramite Petrella che nelle lezioni della Scuola di Specializzazione ci aveva introdotto al suo illuminante percorso antropologico.
Ripercorrere le suggestioni e la profondità di quel pensiero oggi è tonificante, personalmente un riprendere in mano la materia fondante della scelta di lavorare in psichiatria, il piacere di studiare l’uomo, l’evolversi della sua possibilità di esistenza delle sue capacità narrative, della sua creatività.
Il focus di quella lettura riguarda la struttura, il senso e il significato dei riti, in particolare per ciò che ha a che fare con l’esperienza e il vissuto della fine del mondo che per De Martino è la fine di un mondo comporta cioè la rinascita.
Il rito e la cultura permettono di sviluppare le capacità di trasformare la caduta nel rialzarsi in un orizzonte mitico rituale il cui senso profondo si traduce nell’idea della continuità, nella costituzione di collettività che può sostanziarsi nella trasmissione del sapere.
Tralasciando la complessa e “demoralizzante” contingenza culturale che rende assai problematico utilizzare questi ambiti di conoscenza, vorrei solo inquadrare l’umanissima vitalità che si esprime nei miti e nelle narrazioni della Resurrezione (la Pasqua cristiana) l’esultanza di riaprire le porte alla vita e al canto come il gaudio dei risorti descritto da Dante con la luminosa terzina già citata “Quali i beati al nuovissimo bando/surgeran presti ognun di sua caverna/la revestita voce alleluiando” (Purgatorio XXX, 13-15), di cui prima si diceva a proposito della fine di un mondo (e non del mondo) di De Martino.
È assurdo leggere i canti di Dante senza attrarli verso l’attualità. Essi son fatti per questo…proiettili lanciati per cogliere l’avventura. Esigono un commento in futurum – Mandel’ Štam, Conversazione su Dante (Sole 24 Ore 19.04.2020).
Certo non è ancora l’ora di quella baldanza, sicuramente siamo lontani dalla rinascita dopo il Covid però il problema che già mi pongo riguarda quella possibilità di ricominciare e reinventare un nuovo mondo che a volte, anzi spesso non riesco ad intravvedere e una delle più impegnative questioni che mi pongo, quella per la quale desidero e cerco il dialogo riguarda il come affrontare una deriva del pensiero contemporaneo “la velenosa presenza del neoscetticismo” come lo definisce lo storico Carlo Ginzburg di chi trova sempre ciò che ideologicamente cerca.
La questione riguarda da vicino anche noi psichiatri, in quanto ha a che fare con l’autentica ricerca della verità interiore di quella rete di espressioni e racconti, e soprattutto di silenzi, da ascoltare, di ripetizioni, di comportamenti, di storie e rivisitazioni e ricostruzioni della memoria che si intrecciano per dipanare relazioni significative in ambienti consoni e protetti. Tale ricerca mal si presta alla distanza corporea, ma anche all’impossibilità di avere fiducia e alla continua insinuazione del complottismo.