Vaso di Pandora

Cibo che cura

Riflessioni di Debora su “Mangiare il giusto con gusto” a Redalloggio, nella vita

Non sono mai riuscita a separare molto Debora fuori e Debora dentro la CT, perché in Comunità entra la Persona con i suoi pregi e i suoi difetti, il suo modo di interagire, il modo con cui vede e vive il mondo circostante, questo discorso è ben valido sia per gli operatori che per i pazienti.
Gli operatori devono, dovrebbero poi, mettere in campo il loro sapere, le tecniche apprese durante gli anni di studi, capacità di mediazione dei conflitti, assertività, tenerezza, rettitudine, misericordia (alle volte serve pure questa!), questo modus operandi lo abbiamo sperimentato negli anni, non è per niente scontato, lo si acquisisce turno dopo turno, lo si metabolizza nelle formazioni e si sedimenta dopo cadute, errori, confronti ed emozioni.
La vita in Comunità è quindi un cammino per tutti, dove è essenziale porsi in una posizione di viaggio e non di arrivo, anche se il tragitto è difficile, alle volte forzato, impervio, ma anche ricco di sentimenti, di incontri, di incredibili momenti di vicinanza. Come quando chi hai davanti, alle volte nei momenti più strani, mentre guidi, mentre lavi i piatti o mentre cucini, si apre raccontandoti il momento in cui le cose sono iniziate ad andare male, lo smarrimento, il dolore o cosa lo hanno portato a compiere il reato per cui la sua vita è cambiata per sempre.
Quest’anno, a febbraio, Redalloggio compie un anniversario importante, un quarto di secolo, venticinque anni dalla sua apertura.
Redalloggio continua a portare avanti la sua mission di palestra per la quotidianità, che si riflette in tanti altri aspetti che fanno parte della cura, le relazioni interpersonali ad esempio, che animano le famigerate Mansioni e poi ovviamente, ci sono le attività terapeutiche tipiche delle Comunità.
Ma una cosa è chiara, se nessuno cucina, non si mangia. Se nessuno lava i piatti del pranzo, non ci saranno piatti puliti per la cena e così via. Il “non ne ho voglia”, ha ripercussioni su tutto il gruppo, bisogna cercare un sostituto, le prime volte con la mediazione dell’operatore, ma poi ci si deve “disbelinare”. Il disbelinarsi è un’attitudine, ma anche una cosa che si può apprendere.
Quindi le parole chiave sono “impegno”, “responsabilità”, “costanza”, “frustrazione” e “altruismo”.
Passare da “io” a “noi” per alcuni pazienti è uno scoglio insormontabile, anni di lavoro e di confronto, permettono di fare il salto, l’impegno diventa non più una mansione ma la normalità della vita, può accadere alle volte che questo passaggio non si riesca a fare e allora si decide insieme (tutti gli attori del Progetto) di continuare il cammino in un altro luogo, non è un passo indietro, è semplicemente proseguire il cammino cambiando itinerario, cambiando rotta.
Ho scritto altre volte sull’importanza del mangiare a tavola con i pazienti. Si capiscono molte cose da come uno mangia, puoi immaginare com’era l’atmosfera a tavola quand’era bambino, se c’era tensione tenderà a starci poco o viceversa avrà piacere di intrattenersi, se ha ricevuto un’educazione alimentare (mangiare variegato, sperimentare cibi nuovi, mangiare verdure, mangiare la frutta) o banalmente un’educazione di buona convivenza (rispettare gli spazi altrui, utilizzare le posate, mangiare silenziosamente, non provocare con rumori sgradevoli o discorsi inopportuni).
Certe sottigliezze, certe sfumature le nota l’operatore sensibile ed attento, che sta a tavola. Il Covid ha imposto il distanziamento, talvolta abbiamo optato per mangiare in camera (cosa tristissima che tollero poco), l’operatore da commensale, è diventato un sorvegliante, come l’Innominato (citazione del dott. Ferro in un convegno) quando invita a cena Renzo e Lucia, non si siede con loro si limita a guardarli.
Un detto Friulano dice “conoscerai bene una persona quando ci avrai mangiato 100 polente!”.
Luisa, la precedente coordinatrice, amava molto la cucina, amava sperimentare nuove ricette, amava proporre piatti tipici, non si cucinava in maniera superficiale, il cibo doveva essere BUONO e preparato con cura.
E devo dire che la tradizione a Redalloggio è rimasta questa, passiamo quasi due ore della giornata a preparare da mangiare, è la mansione più complicata a detta dei pazienti, quella che inizi a fare dopo aver fatto la gavetta con le altre!
Insomma, cucinare è un privilegio che ti devi guadagnare sul campo. Un paziente ritornato a Redalloggio per la seconda volta disse: “grazie alla scuola di R. non sono mai morto di fame, anzi ho fatto anche delle gran belle figure!”.
Difficilmente troverete un paziente che dirà di aver mangiato male.
Non solo i pazienti, ma anche molti operatori hanno imparato a cucinare, talvolta istruiti proprio dai primi.
A Redalloggio facciamo la spesa tutti i giorni, quello che arriva viene cucinato e mangiato caldo sul momento. Questo dettaglio non è scontato. Speriamo di poter continuare così, che ci sia data la possibilità di continuare a farlo.
Il menù segue delle regole che abbiamo stabilito negli anni insieme alla dott.ssa Narrizzano, che in punta di piedi, sotto forma di consigli, ci ha guidato a perfezionare un’alimentazione sempre più corretta e salutare.
Ma non è stata una passeggiata eh! Lo può confermare anche lei, qualche levata di scudi iniziale c’è stata sia da parte degli operatori, diffidenti, sia da parte dei pazienti… super diffidenti.
Una delle prime battaglie è stata quella del pane… pane che mangiavamo insieme alla pasta!!! Il pane è diventato integrale, una pagnotta al dì a testa da mangiare con il secondo e contorno.
Quindi un primo elaborato al dì, con contorno e frutta, a cena un secondo e contorno, pane. Minestre e zuppe, tante verdure cotte e crude da cucinare in modi sempre diversi.
E ancora l’introduzione della pasta integrale, della stevia al posto dello zucchero raffinato, ma anche l’abitudine di fare la colazione e la merenda con le tisane, le più disparate.
Cassette e cassette di verdura: cavoli, finocchi, insalata, spinaci e carote.
Alle volte penso: “mangiassi a casa così variegato!”.
Perché ha un significato speciale mangiare con i pazienti? Perché mangi il cibo che loro hanno preparato, perché ti fidi, perché li incoraggi, perché puoi difenderli dagli attacchi degli altri, perché puoi consigliare per migliorare.

Regole da rispettare a tavola:

  1. Non si guarda la televisione
  2. Si parla in maniera tranquilla, non si alza la voce. Se qualcuno sta male e non rispetta questa regola può ritirarsi in camera o è invitato a farlo.
  3. Ci si siede tutti insieme e si aspetta il turno della pietanza successiva. Il bis viene dato dall’operatore in maniera equa (il bis è un argomento spinoso da regolamentare, come la porzione del resto, un mestolo e mezzo a testa).
  4. Si beve dell’acqua, non si possono portare bibite personali.
  5. Si aspetta il caffè che viene versato in maniera equa nei bicchieri, qualcuno preventivamente conta per evitare disguidi spiacevoli e poi liberi tutti!

Ci sono pazienti che hanno molta difficoltà a stare a tavola, a mangiare adeguatamente e in maniera variegata, qualcuno è molto selettivo rispetto al cibo, ho notato talvolta quelle selettività sugli alimenti per colore, come i bimbi di due tre anni che ad un certo punto escludono le verdure verdi. In genere sono pazienti che hanno anche difficoltà nelle relazioni con gli altri, che tollerano male la vita comunitaria, che faticano e talvolta è necessario cambiare rotta.
Ultima cosa, il posto vicino all’operatore a tavola è riservato a chi ha più bisogno, di aiuto (mica tutti sanno utilizzare correttamente le posate!), di rassicurazione, di controllo…


Debora mangia il giusto con gusto? Con gusto sicuramente, sul giusto…
Mi riesce meglio fare l’operatrice piuttosto che la paziente.
Debora ha incontrato sul suo cammino la dieta chetogenica, ovvero l’eliminazione dei carbiodrati raffinati, unici carboidrati concessi quelli che naturalmente si trovano all’interno delle verdure. Come funziona? Bisogna diventare selettivi e mangiare solo verdure verdi ed evitare, come il Covid (più attuale rispetto alla Peste): pasta, pane, pizza, focaccia, dolci e nel primo periodo anche la frutta.
Mannaggia tutte cose che adoro, ma che devo considerare acerrimi nemici, perché nella mia testa funziona il tutto o il niente, la via di mezzo con il cibo non funziona.
Perché via… diciamolo! Per dimagrire NON devi mangiare. Un po’ come il detto “se bella vuoi apparire un poco devi soffrire”. Che ingiustizia!
Avrei dovuto dubitare quando i nonni mi dicevano: “Mangia che diventi grande!”
Che grande???
Grassa,… mannaggia!

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Commenti su "Cibo che cura"

  1. Grazie Debora! Che piacere ricordare la tavolata: pranzare ,cenare insieme… Ora che abbiamo dovuto ridimensionare anche questo tipo di incontro forse ne comprendiamo meglio il valore e quindi l’importanza di recuperare l’abilità che è necessaria per farlo bene. Mi ha colpito molto come inizia questo intervento non c’è differenza tra Debora fuori o dentro la CT mi ha ricordato un discorso di Bruno Callieri su essere psichiatra e fare lo psichiatra e l’autenticità necessaria per essere davvero curanti che riguarda tutti quanti operano nella nostra disciplina.

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