Si tratta di un tema molto vasto rispetto al quale solo un approccio multiprofessionale può individuare trend basati su evidenze. Mi limito ad alcune considerazioni dal mio punto di osservazione, quello di psichiatra responsabile di una struttura residenziale.
L’impatto delle determinanti sociali sui tassi di mortalità e morbilità di tutte le malattie è stato dimostrato da molto tempo. La crisi economica in atto comporta che le persone con patologie psichiatriche abbiano più difficoltà di accesso alle cure e ricevano trattamenti di minor qualità con conseguente aumento del rischio di marginalità. In un paese come l’Italia con un SSN universalista quanti-qualitativamente a pelle di leopardo il fenomeno ha declinazioni geograficamente variabili.
All’interno di questo quadro di riferimento possiamo focalizzare alcune specificità.
Il numero di operatori dei DSM italiani è calato in modo significativo negli ultimi 5 anni e il calo si è concentrato maggiormente sulle professionalità delle assistenti sociali e degli educatori. Al di là di ogni considerazione sull’efficienza e l’efficacia ciò ha comportato un peggioramento della qualità delle cure e, in particolare, sulle sue componenti sociali.
La residenzialità psichiatrica è correlata spesso al fallimento dei trattamenti territoriali e all’esclusione sociale. La cosa è più complessa e non affrontabile in questa sede. Quello che possiamo dire è che il numero dei posti letto in SR in Italia è relativamente stabile negli ultimi anni e si colloca intorno a 52-53 posti letto per 100 mila ab. (dati del sistema informativo nazionale). La sua distribuzione è invece molto diversa tra nord e sud del paese. Questo comporta che in un certo numero di casi l’accesso alle cure aumenti i rischi di sradicamento e le difficoltà di reinserimento sociale.
Un ulteriore complicazione dei trattamenti residenziali è l’alto numero tra gli ospiti di autori di reato solo parzialmente correlabile al superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Si tratta di una tendenza a sostituire l’irrogazione di pene giudiziarie (regolamentate in modo assai poco flessibile) con obblighi di cura basati sulla non imputabilità. Il fenomeno, che un tempo si limitava a gravi reati commessi da pazienti gravi, riguarda ora anche piccoli reati commessi da persone con disturbi di personalità e dipendenze da sostanze. In questo modo il sistema giudiziario-penitenziario ribalta la difficile gestione di questi casi sul SSN, compresi costi assai elevati.
Su questo fenomeno non conosco dati nazionali. Nelle strutture residenziali del Gruppo Redancia la percentuale degli autori di reato sul totale di quasi 800 ospiti trattati nel 2021 è del 21,6%. Si tratta di un trend in calo rispetto al 2020 (23,9%) e al 2019 (25,1%) dopo un quinquennio di aumenti esponenziali. Probabilmente è il risultato anche di un forte impegno finalizzato al superamento delle misure di sicurezza in occasione delle udienze del magistrato di sorveglianza.
Per concludere direi che il contrasto alla marginalità delle persone con malattia mentale da parte dei professionisti passa attraverso il miglioramento del sistema di cure e la collaborazione con le altre agenzie, in particolare servizi sociali e sistema giudiziari. I professionisti della salute mentale non devono mai dimenticare che in tutte le ricerche svolte i soggetti maggiormente responsabili della stigmatizzazione dei pazienti sono proprio loro.