Ancora sul fattaccio della Vada Sabatia
di Beppe Berruti
Posso dire che mi dispiace? In questi giorni di scandalo, posso dire che mi dispiace?
Mi dispiace innanzitutto per quelle persone che hanno subito, perché erano indifesi. Perché non sanno farsi le proprie ragioni. Perché sono gli ultimi, o quasi.
Ma posso dire che mi dispiace anche per quelli che hanno fatto loro questo? Per quelli che se ne vergognano e quelli che non riescono neanche a vergognarsene. Non so niente di loro, ma sono certo che non sono degli aguzzini, dei torturatori. Mi dispiace che siano finiti in quella situazione.
Sono uno psichiatra. Gli psichiatri non hanno diritto a fare la morale a nessuno su queste cose. Per non fare più cose di questo genere abbiamo dovuto fare una legge che per certi aspetti è stata molto dura verso i nostri pazienti.
Credo che ne sia valsa la pena, ma non possiamo fare la morale a nessuno.
Però, per le stesse ragioni, abbiamo il dovere di offrire la nostra esperienza, quella della nostra storia e delle nostre istituzioni. Sappiamo che ospitare i più deboli, gli ultimi, è difficile, e richiede risorse umane particolari e una attenzione istituzionale costante e molto forte. Ogni giorno ci confrontiamo con l’amministrazione su questo punto. Sappiamo di rischiare ogni giorno il degrado, l’abbandono, che sono l’anticamera della violenza.
Non voglio entrare nella questione specifica, non ho i titoli, non ne so abbastanza, e tantomeno voglio giudicare.
Voglio però fare una cosa un po’ tremenda, cioè autocitarmi. Lo faccio a fin di bene, per incuriosire il lettore al nuovo numero del Vaso di Pandora, di cui ho avuto l’onore di scrivere l’editoriale. Lo faccio anche perché sia chiaro che è stato scritto prima del fattaccio. Spero di essere perdonato. Il pezzo è questo, è il finale, e parla di noi, degli psichiatri e degli operatori psichiatrici
“Leggere tutto questo mi ha condotto verso a un tema fondamentale, che per me ha rappresentato la guida alla lettura, o meglio il punto di arrivo della lettura di questo numero del Vaso di Pandora, ed è quello dell’etica, della nostra responsabilità come curanti, che è quella di tutti i medici, ma che è aumentata, e ognuno di questi lavori lo mostra a suo modo, dalla continua esperienza della necessità di definire momento per momento, caso per caso, il limite della libertà personale col e del paziente, nella consapevolezza che prendiamo continuamente decisioni fondamentali per la loro vita. Siamo attrezzati, siamo pronti per questo?”